Dappertutto abbarbicati alla sedia, anche negli ordini forensi!

17 Luglio 2021
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 Andrea Pubusa

Gente! Si parla un gran male, e a ragione, dei politici. Se ne denunciano tanti difetti, anzitutto quello d’essere abbarbicati alla sedia e di non volersene mai scozzare. Ne ho conosciuto molti, rigorosissimi sul limite dei mandati quando riguardava gli altri, a cui dovevano succedere, e di opinione opposta quando  venne il loro turno. Ne ricordo uno, che ai tempi, quando toccò a lui passar la mano, teorizzò addirittura il diritto naturale alla candidatura perpetua. Che l’elettorato passivo sia un diritto, come quello attivo, è fuori discussione, ma qui si parla d’altro: se è opportuno, se è nell’interesse generale lasciare sulla stessa sedia le stesse persone per molti anni o addirittura decenni. La risposta è negativa per tante buone ragioni, prima fra tutte che la permaneza eccessiva nella carica crea grumi di potere nefasti per lo svilupp, per il rinnovamento e per la democrazia. Certo è un bene anche la salvaguardia dell’esperienza e di chi ha dato buona prova, ma per questo potrebbero addottarsi procedure e maggioranze qualificate per le deroghe alla regola sacrosatnta dei due mandati.
Ma l’avvitamento alla sedia è prerogativa solo dei politici? No, signori belli, è dappertutto così. Pensate che questo è diventato uno dei mali degli ordini forensi. Gli avvocati (eletti alla presidenza o nei consigli degli ordini non vogliono più lasciare e si candidano per la conferma anche quando non potrebbero più farlo dopo il secondo mandato. Lo scontro è duro e ovviamente si combatte a colpi di articoli di legge, nelle aule di giustizia, davanti al giudice civile. Anche qui - come detto- c’è il limite dei due mandati previsto per legge come vincolo di eleggibilità negli organismi rappresentativi, ma viene aggirato perché la sentenza di merito del tribunale civile, che inibisce il terso mandato, non è immediatamente esecutiva, dunque è necessario aspettare che la decisione passi in giudicato. E’ necessario cioé che vengano esauriti, dopo anni, i giudizi sulle impugnazioni. Per questo, il presidente dell’Ordine di Roma ed  altri, nonché i molti componenti dei consigli sono rimasti in carica, benché siano al terzo mandato e anche oltre. Sono rari quelli che si dimettono, dando volontaria esecuzione alla sentenza. E tuttavia i presidenti e i consiglieri fuorilegge continuano a svolgere le loro delicate funzioni e parlano perfino di riforma della giustizia! Sembra una voce nel deserto quella di chi invoca moralità e rigore, come il segretario di Anf, Luigi Pansini. «Occorre giungere all’appuntamento spazzando via ogni incertezza, ogni interesse personalistico e ogni degenerazione del carrierismo politico forense». Sulla stessa linea anche Antonino La Lumia e Antonio de Angelis, che in un comunicato congiunto di Mf e Aiga hanno ribadito la «necessità che l’Avvocatura tutta sia rispettosa della disciplina della propria vita istituzionale. Il chiarissimo dictum del tribunale non può che chiamare tutte le rappresentanze forensi a un definitivo e convinto gesto di responsabilità». Un chiaro invito alle dimissioni; qualche avvocato si esprime in toni più forti: da quattro giorni l’avvocato Giuseppe Caravita di Toritto è in sciopero della fame contro il reinsediamento dei vertici del Cnf. Ma nulla: la sedia è mia e me la gestisco io, rispondo gli altri. C’è il rischio d’invalidazione delle loro decisioni, ma l’aspetto più devastante è quello morale, del costume. Se anche chi dovrebbe difendere i diritti e la legalità fa altro, manca da tutte le parti un appiglio per risalire la china. In ogni caso, l’avvocatura, al pari spesso della della magistratura, anziché essere la chiave di soluzione dei problemi della giustizia, sono la causa della sua crisi. Minchia!

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