Referendum: le elettrici disertino le urne

28 Maggio 2009
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Maria Grazia Caligaris
Presidente Associazione “Socialismo Diritti Riforme”

Proseguiamo il dibattito sul (nefasto) referendum Segni-Guzzetta con questo intervento di Maria Grazia Calligaris, che ha il pregio di unire all’analisi generale  una particolare attenzione per il ruolo delle donne.

L’entità e la qualità della democrazia in Italia, ormai ridotta a ectoplasma, sono anche il risultato della sottovalutazione di una questione irrisolta: la presenza paritaria delle donne nelle istituzioni. Si tratta di un elemento problematico che non può più essere evaso in quanto strettamente connesso alla sopravvivenza della democrazia.
Anch’io sono convinta che i padri e le madri costituenti fossero pienamente consapevoli della necessità, per un’autentica democrazia, di dover rimuovere gli ostacoli alle disuguaglianze di genere. Nella nostra Carta, grazie anche alla presenza di qualificate donne impegnate su questo fronte, si riscontrano segni inequivocabili. Sicuramente lo sono l’articolo 3 e l’articolo 37 in cui si esprime il concetto di parità di diritti nel lavoro e nell’accesso alle cariche pubbliche. L’indirizzo individuato dalle norme costituzionali non ha trovato tuttavia risposta nei lustri successivi.
L’Italia postbellica naviga nelle acque del fascismo con una visione del mondo per la quale il rapporto tra i generi è diseguale ovunque ma innanzitutto in famiglia. Un peso enorme, radicato culturalmente, che si è aggiunto a stratificazioni concettuali sul ruolo “privato” della donna da cui anche oggi è difficile liberarsi. Nel rapporto con le istituzioni si è addirittura involuto perché si è perfino giunti a considerare le donne come oggetti per abbellire i Parlamenti, nel frattempo svuotati da qualunque funzione.
La mancata evoluzione dell’Italia in senso paritario ha in questi ultimi due lustri superato i limiti della decenza. Oggi la presenza nelle istituzioni, soprattutto per i giovani ma non solo, è un atto di “vassallaggio”. Siamo in pieno Medioevo politico istituzionale con investiture in base alla familiarità con il Padrone di turno quando non decise direttamente da “Papi”, l’ultima trovata assolutamente fedele ai tempi. Il fatto che si sia richiamata la legittimità costituzionale della legge elettorale vigente nel nostro Paese la dice lunga, del resto, sul suo fondamento e sulla qualità della democrazia.
E’ di questi giorni la sentenza della Consulta a proposito della Statutaria di cui è stata esaltata la rappresentanza di genere del 40% in Giunta. Tengo a sottolineare che in un sistema antidemocratico qual è la legge elettorale acquisita dalla Sardegna – in assenza di una specifica disciplina elaborata dal Consiglio regionale – è evidente che nessuna quota può essere garantista di politiche al femminile. E’ altresì lampante che le donne rivendicano in Sardegna e in Italia il diritto a scrivere la loro storia istituzionale, a elaborare modelli propri, a dare un segno tangibile del loro modo di concepire il rapporto con la politica e le istituzioni. Finora nella maggior parte dei casi non hanno potuto godere di questa libertà di essere e di fare ma hanno dovuto interpretare il ruolo che altri hanno disegnato per loro.
L’immobilismo sociale e politico, la confusione dei ruoli istituzionali, la mancanza di norme antidiscriminatorie in materia di promozione del positivo ruolo delle donne in politica e l’assenza di meritocrazia hanno finito per produrre il collasso a cui stiamo assistendo quotidianamente. Perfino il referendum Guzzetta-Segni è un esempio pericolosissimo di quanto l’opinione pubblica sia influenzabile e possa diventare preda del populismo. E’ uno degli indicatori più evidenti della debolezza dei partiti politici isteriliti da lotte intestine, soprattutto nel centrosinistra. In queste condizioni non possono più rappresentare un freno alla degenerazione della democrazia e a una sempre più spiccata egemonia di un’oligarchia plutocratica.
Personalmente non andrò a votare per il referendum del 21 giugno. Non vi andrò perché dietro questo referendum c’è un’Italia che non mi piace. Qualunque sia il suo esito sarà ancora una volta un colpo per la democrazia. E’ un referendum che sarà utilizzato per confermare il gradimento al Presidente del Consiglio e al suo partito e per riaffermarne l’investitura popolare. Ciò comporterà automaticamente un SI’ incondizionato alla modifica della Costituzione con il ridimensionamento del ruolo del Parlamento e il rafforzamento del Governo e con una sterilizzazione della Magistratura. Significherà anche una conferma che le donne sono oggetti e non persone a cui è affidato il compito di alleviare con la grazia e la gradevolezza del loro aspetto le fatiche della vita istituzionale innanzitutto del Premier. La certezza che l’Italia vuole tradire una volta per tutte lo spirito della Costituzione ed essere lontana dall’Europa dei diritti.
E’ necessaria una rivoluzione culturale e devono necessariamente farla i Partiti con donne e uomini che si sappiano intendere per il benessere sociale. Altrimenti la strada sarà sempre più difficile da percorrere e non si potrà che parlare di democrazia. Certo se ne parlerà nei convegni e forse in qualche buon salotto. La sua pratica però è differente.

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