Elezioni amministrative: la destra perde al primo turno, ma il centrosinistra non può ancora dire di aver vinto e convinto

9 Ottobre 2021
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Tonino Dessì

Continuiamo la riflessione sull’esito del primo turno con questo intervento di Tonino Dessì.

Su un punto si può senz’altro convenire con Matteo Salvini: la destra in questa tornata di elezioni amministrative ha perso più per demerito suo, che per merito del centrosinistra e del M5S.
La destra che ha perso in tutte le realtà più significative (fatta eccezione per la Calabria a impronta più berlusconiana) è quella incarnata da Salvini e Meloni, i quali hanno determinato le scelte dei candidati sindaci e, nonostante la rispettivamente opposta collocazione rispetto al Governo Draghi, hanno connotato la campagna elettorale per le amministrative prevalentemente su temi nazionali rivelatisi di scarso successo.
Le riserve, quando non le resistenze sulla campagna vaccinale, la ripresa dell’agitazione xenofoba contro i migranti, la comune proposta di eliminare il reddito di cittadinanza, persino il rilancio della suggestione nuclearista nella discussione sulla transizione energetica, non hanno fatto breccia nel Paese.
È anche verosimile che un certo impatto lo abbiano avuto sulla Lega la vicenda del portavoce Merisi, animatore delle più pesanti campagne xenofobe, omofobe e discriminatorie dell’apparato propagandistico salviniano, dimessosi a seguito di un’indagine giudiziaria a suo carico per questioni di stupefacenti, in concorso con due escort rumeni e su Fratelli d’Italia le rivelazioni giornalistiche di Fanpage sui finanziamenti neri procacciati a Milano e altrove da ambienti neofascisti e neonazisti con agganci persino in ambienti di criminalità comune.
Sono legittimi e condivisibili perciò, in una vasta area di opinione democratica e civile, il sollievo e persino la soddisfazione per il vistoso insuccesso del duo di competitori al primato nel centrodestra nel primo turno di questa tornata elettorale.
Meno convincente e meno coinvolgente una certa aria trionfalistica manifestata in particolare dalla Segreteria Nazionale del PD.
Intanto calma e gesso: le sequenze storiche rivelano che nè le elezioni europee (sia Renzi che Salvini, a turno, ci hanno sbattuto il muso), nè le varie tornate di elezioni amministrative sono decisive per qualsiasi pronostico sulle elezioni politiche.
In secondo luogo incombe ancora una possibile rivincita della destra a Roma nel turno di ballottaggio, in occasione del quale è in atto una esplicita pressione di Carlo Calenda e di Matteo Renzi, volta a a consumare fin d’ora il sabotaggio di qualsiasi processo di convergenza fra centrosinistra e M5S, condizionando l’indicazione di voto a Gualtieri a un generale ripudio di quel processo a livello tanto locale quanto nazionale.
Questa pressione ed eventuali scelte che ne conseguissero potrebbero favorire una vittoria del candidato sindaco della destra capitolina, consegnando soprattutto a Giorgia Meloni l’opportunità di vantare un sostanziale pareggio dell’intera tornata elettorale nonchè un successo interno ai fini della leadership della sua coalizione.
In terzo luogo, tanto in questa occasione quanto nella prospettiva delle elezioni politiche -ancora relativamente lontane, perché prima della soluzione del nodo costituito dall’elezione del nuovo Capo dello Stato non si potranno tenere e a quel punto la fase politica sarà diversa- non si può dire che il centrosinistra abbia presentato di sè un’immagine particolarmente convincente.
Si stenta infatti a individuare un orientamento complessivo sulle tematiche del governo locale, capace di fornire all’opinione pubblica del Paese un segnale della direzione che si vorrebbe imprimere all’attesa ripresa economica e sociale postpandemica.
Ma anche nelle singole realtà territoriali, comprese le grandi città, la caratterizzazione programmatica delle coalizioni non ha fatto emergere alcun significativo elemento di innovazione e di propulsione in alcuna direzione.
Il PD e l’insieme del centrosinistra per ora sembrano più che altro e più di altri aver delegato interamente al Presidente Draghi la direzione politica, fino a identificarvisi pressoché totalmente, il che rischia di coinvolgere in un’immagine di appiattimento tecnocratico moderato e subalterno anche il fragile M5S della nuova gestione Conte, uscito in precarissime condizioni da queste elezioni amministrative.
Una delega politica e programmatica che se ha in qualche modo rassicurato una componente di elettorato stressata da questi quasi due anni di crisi pandemica e sempre più refrattaria alla chiassosa e aggressiva demagogia sovranista, continua a lasciare il Paese come sospeso, tuttora in attesa di capire quale sia la reale strategia per l’uscita da una crisi economica i cui effetti non sono affatto ancora smaltiti e quali ne saranno i connotati, soprattutto sul terreno del lavoro e del contrasto delle disuguaglianze e della povertà.
In questa condizione di sospensione va interpretato anche l’astensionismo, che si è manifestato in misura superiore persino a precedenti, analoghe scadenze amministrative.
Tutti nuovamente se ne dolgono, ma non si dica che è proprio una novità: il trend delle elezioni politiche e di quelle regionali (pensiamo alle ultime in Sardegna) è da tempo quello di quasi metà degli aventi diritto che disertano le urne.
Cionondimeno, ogni volta tutti i partiti e tutti gli schieramenti, dopo aver lamentato il fatto, sollevato preoccupazioni per la tenuta della democrazia rappresentativa e nemmeno troppo velatamente colpevolizzato gli elettori-non elettori per la mancata fidelizzazione, o per la mancata adesione agli appelli sul “voto utile”, hanno continuato a lucrare di una ritrazione oligarchica della rappresentanza e possibilmente hanno fatto del loro peggio per incentivarla.
Perciò, se alle prossime elezioni politiche il centrosinistra e i suoi probabili alleati del M5S, dopo aver sconsideratamente favorito il taglio della rappresentanza parlamentare col relativo referendum, si presenteranno di nuovo, a conclusione di questa comune partecipazione al Governo Draghi, anche con la conferma di una legge elettorale ipermaggioritaria e con una selezione di candidati-nominati, non scommetterei affatto su una loro vittoria.

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