Il reincarico a Mattarella estrema spiaggia di un sistema in crisi

31 Gennaio 2022
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 Tonino Dessì

Sembrerebbe che oltre a Mattarella chi sia uscito più rafforzato dall’esito delle elezioni per il Quirinale sia Draghi, kingmaker di ultima istanza del suo kingmaker.
La formula di governo che Draghi presiede (per meno di un altro anno) è però al capolinea.
Poi si vedrà se i due kingmaker saranno in grado di gestire reciprocamente una successione al Quirinale.
Tutto sarà in mano a uno scenario politico, di partiti e di leader, profondamente diverso da quello con cui va a concludersi la corrente legislatura.
Uno scenario che dipenderà anche dalla legge elettorale (nuova, inevitabile? forse proporzionale?) con cui sarà eletto il prossimo Parlamento.
Il Parlamento ormai in scadenza ha imposto all’intera leadership politico-partitica inconcludente una soluzione dettata soprattutto dall’istinto di sopravvivenza, purtuttavia rispondente a un’opinione che anche i sondaggi hanno rivelato prevalente nel Paese.
Una sorta di “senatus consultum ultimum” (come se ci fosse pure qualche consapevolezza che ai confini europei incombono pericoli reali di guerra), accompagnato anche dal distico di queste occasioni eccezionali: “videant consules ne quid res publica detrimenti capiat”, intendendo per consules appunto Mattarella e Draghi e nessun altro.
Tuttavia il prossimo sarà un Parlamento assai diverso, con la rappresentanza popolare decurtata di un terzo a seguito dell’ultimo referendum costituzionale.
Non è detto che sarà più rappresentativo nè più forte nè più saggio.
Ieri Giuliano Amato, nella sua riflessione da neo-Presidente della Corte Costituzionale (eletto all’unanimità, anche perché il più anziano del collegio, destinato pure lui a durare poco più di un semestre prima del pensionamento), ha rilevato che la soluzione, da più parti ancora rilanciata, dell’elezione diretta del Capo dello Stato, meramente giustapposta al sistema costituzionale vigente senza altre strutturali correzioni, non potrebbe mai assicurare che alla carica venga eletto un “rappresentante dell’unità nazionale”, perché ovviamente quella modalità assumerebbe tutti i connotati di un’elezione di parte.
La penso, limitatamente al punto, nello stesso modo e a maggior ragione, dopo questa vicenda (credo differentemente da Amato), resto convintamente favorevole alla vigente previsione costituzionale dell’elezione parlamentare, che configura un’ampia convergenza.
La si potrebbe correggere al più e al meglio con accorgimenti tipici di un ordinamento federale e con la modifica delle rappresentanze e delle funzioni fra le due Camere, ma questo sarebbe un altro orizzonte.
Il fatto è che ancora una volta la Costituzione ha funzionato, ma nessuna Costituzione è destinata a sopravvivere a lungo se implode il sistema politico e cortocircuita il suo rapporto col Paese.
E anche un Paese come l’Italia, vocazionalmente tendente a sfangarla in ogni circostanza nonostante le disfunzioni della politica e delle istituzioni, chissà quanto può reggere senza risentire di un crash di sistema. 

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