Carbonia. Repressione e licenziamenti, la Federazione minatori non si ferma. Nel Convegno di agosto, presenti partiti e sindacati, tranne la DC, le gravi responsabilità della SMCS, priva persino dell’Ufficio Tecnico, il cuore pulsante invece, di ogni seria direzione aziendale

6 Marzo 2022
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Gianna Lai

 

 

 Nuovo post domenicale sulla storia di Carvonia, dal 1° settembre 2019.

 

Ma non c’è un minuto da perdere a Carbonia, neppure sul fronte centrale della difesa delle miniere, i minatori stretti tra repressione e licenziamenti, perché si fanno sempre più numerosi, in quelle settimane, i cumuli di carbone che giace invenduto sui piazzali dei cantieri e del porto di Sant’Antioco. Né si comprende a cosa possano servire i macchinari del piano Erp, in arrivo dagli USA per Carbonia, come avrebbe sottolineato L’Unità del 26 agosto, se il programma resta quello dello smantellamento, se quei macchinari non sono adatti alle miniere sulcitane, dalle volte così basse in galleria.

E prova a fare ordine, nel caos della politica governativa e nella inefficienza e cattiva amministrazione della SMCS, il Convegno dell’8-10 agosto 1948, organizzato in città dalla Federazione dei minatori, gli iscritti complessivi in Sardegna giunti ormai a 25.000 unità 1). “Convegno per l’esame della situazione del Sulcis”, l’annuncio ne L’Unità del 28 luglio 1948, viene indetto da minatori e tecnici del “Comitato per la difesa delle miniere” e preceduto da numerose assemblee, presso la Camera del lavoro e i dopolavoro cittadini. Inviti estesi ai consultori, ai dirigenti SMCS, agli esponenti di organizzazioni politiche e sindacali. Renzo Laconi e Velio Spano a sollecitare la partecipazione di deputati e senatori sardi, dai comunisti ai democristiani, al Psd’Az e al nuovo partito di Emilio Lussu, per sviluppare un intervento di natura politica, oltre che sindacale, e coinvolgere nuovi interlocutori e preparare nuove alleanze. Verso la costruzione di un fronte compatto contro il precipitare della crisi, nella sala consiliare del Municipio, la relazione di Martino Giovannetti, della Federazione Regionale Minatori, alla presenza degli onorevoli Cocco Ortu per i liberali, Lussu per il Partito sardo d’azione socialista e A. F. Branca, Segretario regionale dello stesso, Melis per il Psd’Az, Spano e Laconi parlamentari comunisti. E i consultori regionali Dessanay e Borghero per il PCI, e ancora Contu, Melis e Soggiu per il Psd’az, Asproni dell’U. R., Tocco del PSLI, Fois e Pala del Psi. Tra gli interventori Branca e Borghero, assenti invece la Democrazia Cristiana e i dirigenti della SMCS i quali, dice L’Unità del 10 agosto, così commentano l’organizzazione del Convegno sul “foglio dell’azione cattolica: una riunione che altro non è se non una delle solite costituenti socialcomuniste”. Giovannetti chiede subito al governo di imporre a tutte le industrie un consumo del 10% di Sulcis, articolando il suo discorso nello sviluppo di due argomenti principali: il primo, prospettive dell’industria, con particolare riguardo ai suoi aspetti commerciale e finanziario; il secondo, quali le misure da adottare per gli enti locali, quali per gli organi centrali. Problema commerciale: aumenta vertiginosamente il carbone invenduto tra S. Antioco, porti continentali, piazzali di miniera, per un totale di 190 mila tonnellate di cui 100 mila costituite da minuto, il più difficile da vendere. Collocato solo il 50% della produzione di giugno, che si aggira intorno alle 80-82mila tonnellate, mentre il piano di ripartizione del carbone estero, per luglio, ammonta a 719 mila tonnellate, di cui 11.681 destinate direttamente persino alla Sardegna. Una spiccata ingerenza politica ha sempre prevalso sulla tecnica commerciale e rispetto allo studio dei problemi tecnici, dice ancora il relatore, i prezzi politici e il blocco delle vendite seguiti nel passato, hanno concesso a terzi, vedi imprese che commerciano il combustibile, esosi benefici, limitando l’azienda per ogni futura possibilità di sviluppo della miniera. Eliminati i prezzi politici, son subentrate le concessioni di ingenti scorte di carboni esteri a imprese industriali, clienti esclusivamente di carbone Sulcis. “Questi i prezzi del carbone estero, americano lire 10.500, per officine e gas lire 8.550, il Sulcis a Sant’ Antioco lire 7.500, a Milano dalle 11 alle 12.500 lire”. La crisi commerciale provoca una situazione insostenibile per il bilancio dell’azienda, a breve si prevede un contributo statale di 600 milioni, mentre “pare sia allo studio degli organi governativi un nuovo piano di risanamento”.Attualmente, prosegue Giovannetti, il 50% dei 16.000 lavoratori del Sulcis risultano impiegati nel lavoro esterno, il rendimento in miniera fra i 380 e i 450 kg. giornalieri: contro la crisi bisogna istituire scuole professionali per la formazione di manodopera qualificata, assicurare una vera assistenza sanitaria e prevenzione delle malattie professionali e istituire colonie agricole, nell’adiacenza della miniera, dove trasferire i minatori invalidi, alleggerendo così l’onere che ne deriva all’azienda. E, per quanto riguarda le altre forme di economia, la costruzione di una centrale termoelettrica, cui si leghi l’apertura di nuove industrie di lavorazione del Sulcis, e la revisione degli impianti, con la relativa immissione di nuovi attrezzi e macchinari da lavoro, adatti alla configurazione della miniera stessa. Seguono, riportati da L’Unità del 10 agosto 1948, gli interventi del segretario della Camera del lavoro Antonio Selliti e del dirigente delle leghe minatori Pietro Cocco, indignati per l’uso indiscriminato della forza pubblica, lanciata con violenza a reprimere le agitazioni operaie. E, sui problemi della città, il sindaco Renato Mistroni, il comunista Roberto Orani, l’assessore delegato Tullio Mascia, già segretario del Psi cittadino, che rivendicano un nuovo ruolo per l’amministrazione stessa, reclamando la liquidazione dell’ACaI e la gestione della città direttamente nelle mani del Comune. ACaI, “doppione speculativo delle funzioni”, enorme l’apparato burocratico che controlla gli alloggi: per un miliardo di lire l’anno, l’onere che grava sulla produzione di carbone, mille lire, cioè, a tonnellata. E poi Renzo Laconi e poi Sebastiano Dessanay. E poi Velio Spano, come leggiamo su Antonello Mattone, che parla del disinteresse della Consulta sarda per il Sulcis, pur traendo vita un quinto dell’isola da questo bacino minerario: sterile lo sviluppo degli impianti di Cortoghiana, Nuraxi Figus e Seruci e, tuttavia, gravanti sul prezzo del carbone, mentre continua a mancarl’intervento del ministro, dopo lo stanziamento dei 18 miliardi di lire, definito nel novembre del 1947 e poi revocato nei mesi immediatamente successivi. Da qui la necessità di denunciare l’incuria del governo nel collocamento stesso del Sulcis, cui si chiede anche di fermare l’afflusso di carbone estero. Ma il tema centrale del Convegno resta la riorganizzazione tecnica della condotta del lavoro, ancora ferma ai tempi dell’autarchia, mancando da sempre, l’ACaI, di un vero e proprio Ufficio Tecnico. Per le miniere di tutto il mondo vero cuore pulsante, vero centro della direzione aziendale, ancor più indispensabile qui, l’Ufficio tecnico, unico soggetto in grado di analizzare “la natura del giacimento e delle coltivazioni, nel Sulcis particolarmente tormentata, da rendere difficile la sistemazione dei vari livelli. Il primo compito dell’Ufficio tecnico, affrontare uno studio regolare dei piani delle lavorazioni per combattere, innanzitutto, gli alti costi di produzione e garantire il più possibile in sicurezza il lavoro dei minatori”. Così leggiamo nella “Relazione generale del Convegno per l’esame della situazione del Sulcis, Carbonia 8 agosto 1948”, questione davvero spinosa, il problema dei tecnici, in un Paese come l’Italia, di così scarsa tradizione mineraria carbonifera. E si tratta di denuncia antica, che viene da parte del sindacato e dei dirigenti della sinistra a disvelare il vero volto di una miniera precaria, provvisoria, insicura e senza futuro. Già chiaro, perciò, fin durante il Convegno agli stessi partecipanti, quanto difficile sarebbe stato, con l’arrivo massiccio del carbone americano, il compito di imporre i necessari investimenti all’azienda. Quelli che, dal dopoguerra, con la riapertura della miniera, essendo così alta la domanda di carbone Sulcis, ne avrebbero sicuramente garantito la sopravvivenza. .Dopo la mozione finale unitaria, sottoscritta da tutte le forze presenti, a mettere in evidenza gli aspetti tecnici, economici e sociali della crisi, una rappresentanza di sindacalisti e dirigenti della Camera del lavoro, presieduta da Antonio Selliti e Martino Giovannetti, viene inviata a Roma, presso il ministero dell’Industria. Già definita la data.
Mentre proseguono le agitazioni operaie, contro i licenziamenti e contro la repressione, riprese con lo sciopero del 24 luglio presso la stazione ferroviaria di Carbonia; un’altra manifestazione di protesta, nello stesso giorno, presso il Porto di Sant’Antioco, i luoghi dove è ben visibile l’accumulo del Sulcis e avanza il processo di autocombustione dato dal lungo abbandono del carbone nei piazzali della miniera e del porto.

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