Contro la guerra folle, la verità della pace

6 Marzo 2022
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Condanniamo questa avventura del Cremlino che è una aperta violazione del diritto internazionale, con la stessa forza e chiarezza con cui questo giornale ha condannato le guerre occidentali (e non solo, a cominciare dall’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979) all’Iraq, alla Somalia, all’ex Jugoslavia, all’Afghanistan, alla Libia, a Gaza e alla Palestina, alla Siria.

Noi diciamo un forte, urlato quanto disperato No all’aggressione militare della Russia di Putin all’Ucraina che da ieri mattina mostra con la decisone di sorvoli di caccia militari su Kiev risvegliata dagli allarmi aerei, un aspetto che sarebbe criminale. Condanniamo questa avventura del Cremlino che è una aperta violazione del diritto internazionale, con la stessa forza e chiarezza con cui questo giornale ha condannato le guerre occidentali (e non solo, a cominciare dall’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979) all’Iraq, alla Somalia, all’ex Jugoslavia, all’Afghanistan, alla Libia, a Gaza e alla Palestina, alla Siria… Comunque le immagini della metropolitana di Kiev con bambini e donne terrorizzate sono una ferita della memoria: con un indicibile dolore personale, ci ricordano le notti dei bombardamenti Nato di Belgrado di 23 anni fa, che avremmo voluto fossero le ultime nella storia d’Europa.
Speriamo che non arrivi mai anche stavolta per le vittime civili il disprezzo dell’etichetta «effetti collaterali». Il nostro cuore dalla parte degli ultimi e dei deboli e la nostra ragione «internazionale» stanno in questo momento con i civili ucraini. E con quelli russi che manifestano per la pace, contro la guerra.
Non amiamo la geopolitica: alla fine è disposizione di bandierine su carte geografiche per giochi di guerra sempre contro le sorti del mondo.

Va da sé che ci troviamo di fronte allo stravolgimento degli assetti strategici mondiali. Siamo contro la guerra, nessuna ragione politica la giustifica, contro a prescindere da chi la muova, siamo contro i complessi militari-industriali siano essi occidentali, cinesi e russi: queste istituzioni che presiedono ai Pil nazionali e alle politiche di potenza preparano scenari distruttivi e di morte come questo. Sarebbe ora che la politica ne prendesse atto invece di relegare questioni come la pace, lo stop alla crescita della spesa militare, il disarmo, la dismissione delle diffusissime armi nucleari in Europa, in uno scantinato negletto e dimenticato; come se non riguardassero l’allocazione delle risorse non solo energetiche, l’uscita dal disastro pandemico, la transizione ecologica. La pace è una costruzione non solo una volontà.

Ecco invece che questi argomenti tornano al centro della scena con i lampi dei missili sugli schermi tv. Certo più difficili – se non impossibili – da affermare in questo momento drammatico. Che vede un interventismo democratico italiano dell’ultim’ora dopo che per 8 anni di guerra civile, 14mila morti e due milioni di profughi, sulla crisi ucraina ha colpevolmente taciuto. Cosa dicono infatti l’amministrazione americana e la leadership atlantica alla Russia: «Volevate meno Nato, così ne avrete di più». Una risposta ovvia, che però implicitamente riconosce che la strategia dell’allargamento della Nato ad Est era ed è una minaccia. Ora il rischio è che l’Alleanza atlantica non avrà più freno. E questo anche grazie all’iniziativa di guerra di Putin che non ha pretesti. Tantopiù che 24 ore prima del riconoscimento delle indipendenze di Lugansk e Donetsk, si può dire che Putin solo schierando le truppe alla frontiera aveva «vinto» la partita, rimettendo la palla dell’adesione alla Nato dell’Ucraina e del rilancio degli accordi di Minsk nel campo avversario, dividendolo. Insomma non è vero che Putin non avesse altra scelta che l’invasione, come dice.

Quale è la patologia-ideologia che muove il presidente russo. La più evidente è quella della sortita dall’umiliazione della fine della potenza sovietica e dalla vendetta contro le mosse belliche occidentali che l’hanno ratificata. Ma siamo sul crinale di una scelta folle, contraddittoria e suicida. Dell’Urss in Russia sono rimasti gli asset economici che privatizzati hanno costruito la genia degli oligarchi ex funzionari di partito, e le fabbriche d’armi ora più che rinnovate. A Putin non interessa il socialismo, nemmeno quello reale, figurarsi la rivoluzione bolscevica, non a caso ha bisogno di attaccare Lenin che vedeva invece nella prima Costituzione dell’Unione sovietica del 1924 come decisiva l’indipendenza delle quattro repubbliche socialiste che allora la componevano. Se è vero che il crollo dell’Urss avviene su una faglia nazionalista, ora bombardando Kiev Putin bombarda la sua stessa storia, ferisce le stesse radici russo-ucraine, cancella l’eguale identità slava – altro che ritorno della Grande madre Russia. E così facendo distrugge la credibilità della nuova Russia come potenza «altra» che finora aveva ascritto a suo merito. Dopo il suicidio dell’Urss, con Vladimir Putin siamo al suicidio della Russia.
Non è tornata l’Unione sovietica ma la guerra calda – sullo sfondo di una minaccia nucleare – nel cuore d’Europa, sulla pelle dei civili e del futuro del mondo, alimentata dalla follia nazionalista. Subito un cessate il fuoco, Putin si fermi e si ritiri, ha già distrutto abbastanza.

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