Emilio Lussu e la sua lotta per la Repubblica

2 Giugno 2022
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Andrea Pubusa

Oggi 2 giugno, festa della Repubblica, ricordiamo l’impegno per fondarla di uno dei suoi padri, Emilio Lussu. Secondo il Capitano dei Rossomori la costruzione dello Stato democratico è un fatto rivoluzionario fondato sulle libertà anche territoriali.

Giommaria Angioy nel giugno del 1796 voleva contrattare col re l’autogoverno del Regno di Sardegna entro la Corona sabauda, allo stesso modo Emilio Lussu pensa alla ricostruzione dell’Italia, dopo la Liberazione, come momento per realizzare una rivoluzione democratica. Dovrà essere un atto di rottura rispetto al passato, una trasformazione radicale: Repubblica anzitutto e nuova Costituzione. Coi Savoia, traditori dei sardi prima e degli italiani poi, nessun compromesso: devono lasciare libero il campo. Repubblica, dunque, e Costituzione progressista d’ispirazione socialista e democratica.
Con quali forze? Proprio per la radicalità e profondità  del processo di ricostruzione del paese e di organizzazione della democrazia, non possono bastare le sole correnti socialiste. Occorre “una alleanza durevole e  un’identità d’azione” “di tutte le altre correnti, vecchie e nuove, della democrazia italiana, avverse alla reazione“. Un fronte democratico ampio, dunque, per alimentare un’unità d’azione politica “insieme a tutte le espressioni delle forze socialiste“. “Solo così si potrà garantire il rispetto verso le realizzazioni future di una democrazia progressista nei limiti di quella costituzione che tutti, democrazie socialiste e democrazie non socialiste, avranno fissato in comune“.
Una costituzione democratica con forte ispirazione popolare dovrà necessariamente fondarsi su un nuovo blocco sociale. “Proletariato e contadini, artigiani e tecnici, piccola borghesia e non pochi della media borghesia sono chiamati a costruire assieme l’Italia del lavoro”. Senza questa solida unità politica delle forze democratiche e il sostegno e l’azione dei ceti popolari non potrà compiersi la rivoluzione antifascista e consolidarsi l’essenza del nuovo stato.
E che fare?
Si dovrà dare una “soluzione radicale dei grandi problemi del capitale e della terra” e, dunque, la democrazia italiana dovrà realizzare il suo sviluppo  “illuminata da un ideale socialista e sorretta da una legislazione progressista“. Se non si abbattono i privilegi, le ingiustizie e i pericoli del passato, “nel corso di una generazione” si ricreeranno quelle diseguaglianze e quegli assetti di potere che si vogliono sopprimere.
Sorge il problema dei quadri dirigenti e della forma di stato. Per Lussu occorre un mutamento radicale del personale investito di funzioni pubbliche, politiche e amministrative, e questo non può avvenire se non facendo i conti fino in fondo, e senza sconti, coi responsabili del regime e i quadri dell’amministrazione compromessi con esso. “Né solo i ministri o i prefetti” “dovranno partire“. “Finché tutta la grande burocrazia di dentro e di fuori rimane in piedi non si può parlare di vittoria della democrazia“.  Sennonché il punto dolente di tutte le rivoluzioni è la continuità amministrativa, il funzionamento della macchina statale, e questa necessità induce a ricorrere alla vecchia burocrazia, già sperimentata, ma compromessa. Questa è una delle ragioni fondamentali dell’avvizzirsi delle rivoluzioni e dell’affermarsi del continuismo con nuove gerarchie.  Anche qui Lussu è radicale e netto. “Meglio valersi di inesperti che lasciare ai posti di comando autentici gerarchi che saboteranno la ricostruzione, o girella che, voltando casacca, renderebbero ridicolo il nuovo regime, con l’enfasi della metamorfosi“.
Ma come fare a reclutare questo personale nuovo? Qui il Capitano recupera pienamente le comunità locali. Lo si farà allevando una nuova generazione di politici e funzionari nella periferia, nel confronto coi problemi reali. Riemerge così l’opzione federalista e la esaltazione del governo locale, secondo la tradizione socialista e la riproposizione sardista del primo dopoguerra. Questa struttura fondata sulle regioni e i comuni è anche garanzia contro i colpi di mano al centro. “Presa Roma - osserva Lussu - il fascismo, pur ancora inviso universalmente al popolo dal Veneto alla Sicilia, si è considerato definitivmente trionfante“. L’autogoverno della Sardegna e delle altre regioni, dunque, non è solo a vantaggio del popolo sardo, ma di tutti gli italiani.
Costruzione del nuovo Stato sulla base di una Costituzione che recepisca le spinte democratiche ed egualitarie della Resistenza. Lussu teme però quella erosione di fatto, che trasforma le costituzioni formali nel loro esatto contrario. Teme le costituzioni materiali che si sostituiscono a quelle scritte e deliberate per l’affievolirsi dello spirito rivoluzionario e la comparsa del continuismo che ricostituisce le stratificazioni sociali, politiche e istituzionali, in cui il lavoro soccombe di fronte al capitale e la solidarietà e l’eguaglianza cedono di fronte al profitto e  al mercato. E’ il moderatismo il nemico più insidioso. Si insinua  silenziosamente nella politica, nelle istituzioni e nella burocrazia, si piega ai poteri forti e radica la restaurazione senza violenze e repressioni, ma con l’induzione fittizia del consenso.
A ben vedere, Lussu si trova di fronte gli antichi problemi della Sardegna: quello della terra e dei poteri economici, il feudalesimo e i baroni nel meridione. Ancora c’è in campo il tema delle comunità che vogliono contare e decidere (come non pensare agli strumenti di unione votati nei consigli comunitativi alla fine del 1795 e nella entusiasmante primavera del 1796?).  E c’è pure immancabilmente l’erosione di fatto delle prerogative parlamentari, previste nello Statuto, da parte del re, dei suoi governi e dei suoi funzionari, così da radicare, di fatto, una costituzione materiale diversa da quella formale scritta. E, in cima a ogni altra cosa, si staglia la madre di tutte le battaglie: chiudere coi Savoia quei conti che Angioy aveva coraggiosamente aperto nei suoi cento giorni da Alternos, a capo del movimento antifeudale.
Angioy e Lussu si son prodigati entrambi per un cambiamento epocale: Giommaria per la fuoriuscita dal feudalesmi e l’ingresso nella nuova era borghese, Emilio per l’affermazione di un ordinamento progressista e socialista. Il primo fu battuto dal re e costretto all’esilio definitivo, il secondo prima sconfitto sempre dal re, ma poi vincitore, parte dirigente del Movimento di Liberazione nazionale, che creò la Repubblica e approvò la Costituzione democratica. Quest’ultimo, però, anche lui alfine sconfitto dal continuismo burocratico e dal moderatismo politico, che hanno spento la carica rivoluzionaria della Resistenza. Aveva ragione il Capitano: se non si abbattono i privilegi, le ingiustizie e i pericoli del passato, “nel corso di una generazione” si ricreeranno quelle diseguaglianze e quegli assetti di potere che si vogliono sopprimere. Come ha detto Asor Rosa, breve è stata la stagione risorgimentale e ancor più breve quella resistenziale: oggi, con la scomparsa dei partiti popolari di massa che avevano alimentato la Resistenza, vince il liberismo, il mercato trionfa sulla solidarietà, il profitto sul lavoro. Senza rottura rivoluzionaria, la stessa democrazia è in pericolo. Il motore della Repubblica, la tensione perenne verso l’uguaglianza sancita nell’art. 3 della Costituzione, è stato soffocato. Riemergono umori pericolosi e l’orizzonte si tinge di scuro.

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