Brigata Sassari. L’animalita’ dei pastori sardi causa dell’irrimediabile arretratezza e… anche dell’eroismo della Brigata Sassari. Dalla subalternita’ ai savoia al movimento combattentistico e sardista

18 Agosto 2022
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Andrea Pubusa

Mi hanno donato un libro sulla Brigata Sassari, che sto leggendo volentieri  perche’ colma uno dei tanti miei gravi buchi sulla storia sarda.
A primo acchito mi ha colpito un ritornello  che attraversa il giudizio sui pastori sardi: la loro animalita’. Dal De Maistre al Gemelli ai “riformatori” sabaudi dell’800 e’ la animalita’ dei pastori che li rende feroci e irrecuperabili a qualsiasi attivita’ di miglioramento e di sviluppo.
Un giudizio senz’appello, che sta alla base della politica ostile dei “riformatori” sabaudi dell’800. L’insieme di leggi che dal 1820 al 1865 incidono sulla terre e sulla loro proprieta’ in Sardegna sono volte a contrastare l’attivita’ pastorale e dei piccoli agricoltori a favore dei grandi, nella convinzione che siano costoro a determinare lo sviluppo dell’isola, anziche’ ricercare la rendita parassitaria per mezzo delle affittanze ai pastori e ai contadini stessi.

Il fatto curioso e’ che questo giudizio si mantiene quando nella Grande Guerra, la belluinita’ dei pastori, la loro indole istintiva e selvaggia diventa un carattere fortemente positivo nella guerra di montagna con assalti improvvisi, scontri alla baionetta, uso dei coltelli. La forza fisica, l’attitudine alla fatica, l’uso de sa leppa o s’aŕresoja, strumento immancabile per il pastore sardo ne fanno un invincibile nemico  nel corpo a corpo. I diavoli rossi, cosi’ furono chiamati, erano temutissimi dagli austriaci che, quando potevano scappavano al loro apparire. La grande stampa nazionale, seguita dai quotidiani isolani, lancia il mito del sardo “intrepido e feroce”. L’animalita’ torna centrale anche nei Diari díi guerra, scritti dalla burocrazia militare,  dove il richiamo all’antico razzismo e’ evidente nel ricorso per il soldato sardo ad aggettivi  ed espressioni come “feroce”, “agile”, “animalesco”, “belluino”, “agilita’ selvatica”.
A questo carattere  in certo senso naturale nel pastore sardo si accompagnava una fedelta’ quasi religiosa alla monarchia e al re, una schiettezza nei rapporti con gli altri soldati, una relazione di grande fiducia negli ufficiali sardi, coi quali correva, piu’ che stima, affetto. Questi ufficiali parlavano sardo, curavano la truppa, erano dalla parte dei soldati.
Le imprese dei sardi divennero cosi’ fin da subito esempio di patriottismo e la bellinuita’ la loro migliore dote. La grande stampa nazionale inizio’ a suonare la tromba del patriottismo che poi verra’ ripresa dal fascismo e da Mussolini. “Su sardu est membru de fidelitade/diadema de sa tua potestade”, dice in versi Giovanni Cherchi Tilocca di Villanova  Monteleone. L’animalita’ dei pastori e contadini della Brigata il segreto della loro superiorita’ come soldati. Come il contadino Raimondo Scintu di Guasila che da solo entra nella trincea nemica e intima ai presenti, terrorizzati, di deporre le armi e di incamminarsi, prigionieri, verso le linee italiane. Li comanda come si usava fare con le pecore, col gregge. Eccezionale!

Vien da chiedersi quale grado di subalternita’ culturale e politica avvolgeva questi sardi dopo le malefatte e le vessazioni dei Savoia nel corso di tutto l’800 e nella repressione terroristica dei moti angioyani. Ed infatti la scissione da quella dipendenza fu il portato della guerra stessa. I sardi si accorgono che i nemici sono anch’essi pastori,  contadini, operai, povera gente. La guerra e’ massacro fra poveri per cause e fini a loro estranei. Quella guerra non puo’ essere la loro. E poi si accorgono che i generali sono privi di competenze militari, di umanita’ e buon senso. Quando vedono il re poi avvertono nella minuscola statura la sua poverta’ morale.  Rifiutano di cantare “Deus sarvet su rei”, bandiscono il cliche’ dei sardi forti figli d’Italia “soldati fedeli e silenziosi”, dalla “obbedienza forte e cieca”, veicolato dagli alti comandi. Si verificano clamorosi casi organizzati di insubordinazione contro alcune folli e criminali decisioni dei comandi e di taluni comandanti. Si fa strada, sollecitati dagli ufficiali, intellettuali sardi, un progetto di trasformazione rivoluzionaria della Sardegna. Autogoverno contro il ferreo accentramento sabaudo, cooperazione contro l’individualismo e l’isolamento, riforma agraria, democrazia locale e nei rapporti con lo Stato. Si pensa di soppiantare la monarchia con la repubblica. Nasce il combattentismo sardista, che Lussu dirige e orienta su una prospettiva di radicale trasformazione demicratico-socialista e descrive magistralmente in tanti scritti.

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