Il voto romano e la Sardegna: la “marea nera” nel Golfo di Cagliari?

13 Maggio 2008
2 Commenti


Carlo Dore jr.

Quando su “L’Unione Sarda” del 27 aprile è apparsa l’intervista in cui Mauro Pili, descrivendo i caratteri propri del “Popolo Sardo delle Libertà”, lasciava trasparire il suo intendimento di correre di nuovo per la Presidenza della Giunta nelle elezioni del 2009, gli elettori del centro-sinistra isolano hanno tirato il più classico sospiro di sollievo. «Vuoi  vedere», hanno probabilmente pensato gli ultimi eredi della tradizione di Berlinguer e Lussu, «che il Caimano, nel tentativo di favorire il ritorno del suo eterno delfino a Villa Devoto, riuscirà a rilanciare le ambizioni di vittoria di un Soru in piena crisi di consenso? Vuoi vedere che la “marea nera” che dal 13 aprile sommerge l’Italia è destinata, come nel 1994, a non attraversare il Tirreno? »
Tuttavia, quel sospiro di sollievo era destinato a trasformarsi nell’arco di una giornata in un lungo brivido di terrore, dinanzi al surreale spettacolo offerto da Gianni Alemanno che marciava impettito alla volta del Campidoglio, accompagnato dal boato di una folla plaudente dalla quale emergevano, sinistri ed inquietanti come gli ultimi strascichi di quegli incubi capaci di resistere al sopraggiungere dell’alba, i saluti romani e le croci celtiche.
Le prime analisi del voto capitolino hanno infatti evidenziato una semplice realtà: la sconfitta di Rutelli non deve essere semplicemente interpretata come un naturale strascico del plebiscito ottenuto da Berlusconi alle elezioni politiche, né può essere esclusivamente addebitata all’incapacità del candidato democratico di rilevare le contraddizioni ed i limiti che caratterizzavano i continui proclami da “sindaco-sceriffo” dell’ex leader della destra sociale. No, Rutelli ha perso perché la sua candidatura non ha incontrato il sostegno di un’ampia fetta di elettorato progressista, evidentemente delusa dalle precedenti esperienze di governo del vice-premier uscente; Rutelli ha perso perché non è stato in grado di intercettare i consensi di quella stessa fetta di elettorato che è viceversa risultata decisiva per favorire l’ascesa di Nicola Zingaretti alla Presidenza della Provincia di Roma.
Ora, le spaccature che hanno lacerato l’area democratica della Città Eterna sono drammaticamente simili a quelle che dilaniano il centro-sinistra sardo, da quattro anni alle prese con un estenuante dibattito interno tra i sostenitori di Renato Soru, che rivendicano il diritto del Governatore a proporsi per il secondo mandato, e gli eterni detrattori di Mr. Tiscali, i quali (sulla base di argomenti talvolta condivisibili) hanno ripetutamente negato la loro disponibilità a riconoscerne la leadership nella prossima legislatura. La logica conseguenza di questa irrisolvibile contrapposizione potrebbe tradursi in una realtà di gran lunga più paradossale di quella offerta dai network di Roma la notte del 28 aprile: la “marea nera” che invade il golfo di Cagliari, Mauro Pili che attraversa le strade del capoluogo per dirigersi verso la sede del governo regionale.
Di fronte ad un simile status quo, i progressisti sardi hanno quantomeno il dovere di porsi una domanda: come si ferma la marea nera? Come si esce dal vicolo cieco che conduce al baratro di un’ennesima sconfitta annunciata? La risposta è: non se ne esce, se non attraverso un estremo atto di coraggio da parte di tutti i partiti che al momento sostengono la Giunta. Prendendo atto della volontà del Governatore di proporsi ancora alla guida di quello che fu l’Ulivo in Sardegna, le principali forze dell’attuale maggioranza di governo sono chiamate ad abbandonare una volta per sempre le logiche di stampo verticista tradizionalmente impiegate per la determinazione delle candidature ed a misurare l’effettivo peso elettorale di Soru attraverso primarie di coalizione ispirate a regole serie e rigorose, caratterizzate in quanto tali dalla partecipazione di tutti gli esponenti della sinistra locale che si ritengono in grado di rappresentare un’alternativa di governo più credibile di quella offerta dal Presidente in carica.
Una volta scelto il candidato attraverso una procedura democratica analoga a quella che, nel 2005, lanciò Nichi Vendola alla Presidenza della Regione Puglia, questo candidato dovrà però contare sul convinto sostegno di tutti i cittadini afferenti all’area progressista, sostegno derivante dalla ovvia consapevolezza del fatto che qualunque laeder del centro-sinistra (si chiami Soru o Tore Cerchi, Guido Melis o Francesco Sanna) sarà in ogni caso quello che Lidia Ravera definirebbe “un candidato riformabile”, un candidato cioè sensibile (seppure in minima parte) a quell’insieme di critiche, indicazioni, suggerimenti e contestazioni che la società civile quotidianamente propone e che sarebbero fatalmente destinate a cadere nel vuoto con l’avvento delle destre al potere.
L’esperienza del voto romano costituisce forse l’ultimo campanello d’allarme che può indurre la sinistra sarda a superare le divisioni degli ultimi quattro anni attraverso un estremo sforzo unitario: lo sforzo unitario diretto ad impedire che la “marea nera” attraversi ancora una volta il Tirreno.

2 commenti

  • 1 Lello Concas
    14 Maggio 2008 - 08:48

    Tutto giusto. Salvo il termine “detrattori”, che chiamerei, più correttamente, critici della politica del Presidente. Manca però una condizione, politica sostanziale, e cioé che Soru può aspettarsi il voto di coloro che lo hanno criticato sopratutto per la sua propensione monocratica se sul punto fà ammenda. Come? Ad esempio, riaprendo il dialogo sulla Statutaria e sulle molte leggi pensate per un uomo solo al comando. O ancora preannunciando una squadra din governo con personalità forti e autonome del mondo politico-culturale sardo e rinunciando aigli assessori-commessi. Riaprendo un dialogo col Consiglio e con la società sarda. Questi sono punti di forte sostanza politica (forse la più alta) che non possono essere svalutati e non debbono sfuggire ad un giovane giurista come Carlo Dore.
    In mancanza, i buoni propositi di cui parla Carlo Dore sono destinati a rimanere tali. Il solo elemendo formale, la procedura d’investitutura, non basta e non bastano i buoni propositi; occorrono fatti politici chiari e inequivocabili. O Soru svolta e apre oppure rischia l’effetto Rutelli. Ma a cercarselo è lui, non i suoi critici.

  • 2 Giovanni Corrao
    14 Maggio 2008 - 20:04

    L’articolo, che affronta il vero problema politico del momento, è ben strutturato e condivisibile in linea generale, fatta salva la obbligatorietà di un “convinto sostegno progressista” per il candidato che uscirà dalle eventuali primarie.
    Soru è stato un problema sottovalutato ed eluso dalle forze del centrosinistra, che ad un anno dalle elezioni regionali dovranno necessariamente esprimersi sulla legislatura trascorsa e chiarire pubblicamente le proprie aspirazioni per il futuro. Soru ha dimostrato con i fatti di non essere un politico di sinistra. E’ un accentratore, un autoritario, un Governatore che non ha mai agito per gli interessi generali. Tutte le decisioni alla Regione sono state prese personalmente da Lui, spesso oltrepassando i limiti consentiti dai meccanismi pubblici burocratici, facendo persino sorgere legittimi sospetti sulle scelte effettuate.
    Indipendentemente dall’esito del confronto con il centrodestra, Soru non deve essere ricandidato alle prossime elezioni regionali semplicemente perchè ha dimostrato di non sapere né volere rappresentare il fronte di centrosinistra sardo. Vanno bene le primarie: ma nessuna legge, nè politica nè morale, può poi obbligare un cittadino a votare una persona che non è ritenuta adatta alla carica che vuol conquistare (vedi appunto il paradosso Rutelli-Zingaretti).
    Per chiuderla definitivamente con i candidati non meritevoli, e se vogliamo salvare i partiti nei quali militiamo, saremo costretti ad utilizzare l’arte del boicottaggio.

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