I diritti dei cittadini e l’autonomia differenziata

13 Aprile 2023
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Alfio Desogus - Comitato sardo “No autonomia differenziata”

Per valutare in modo adeguato le prospettive e le iniziative assunte dal Governo sull’Autonomia Differenziata, è importante, se non decisivo, approfondirne le implicazioni e le conseguenze sui diritti dei cittadini.
Si avverte, infatti, il rischio che il ddl sull’Autonomia Differenziata (AD), approvato il 2 febbraio 2023, e riapprovato successivamente il 16 marzo 2023, rimanga appannaggio esclusivo delle commissioni parlamentari e delle istituzioni o comunque oggetto esclusivo del confronto tra forze politiche non disinteressate, anche perché componenti dell’attuale governo nazionale. Stante l’assenza di un vero e proprio dibattito pubblico al riguardo, la proposta governativa sulla AD potrebbe essere sbrigativamente percepita dall’opinione pubblica come un’altra occasione dell’ormai abitudinario e ricorrente scontro tra i detentori del potere politico o di spartizione di nuove competenze tra Stato e Regioni, che poco ha a che fare con i problemi quotidiani che condizionano la vita dei cittadini.
Perciò, in questa fase cruciale, risulta determinante evidenziare e sostenere iniziative diffuse e mirate per sensibilizzare i cittadini sul fatto che il ddl c.d. Calderoli potrebbe mettere a rischio l’esigibilità diffusa dei diritti legati alla cittadinanza.
Tra le 23 materie oggetto dell’attribuzione alle singole Regioni richiedenti, vi sono, infatti, il diritto alla salute, all’istruzione, alla mobilità e alla sicurezza nel lavoro, che, essendo costitutivi e fondativi della cittadinanza, sono quattro diritti costituzionali che richiedono equità, universalità nella loro attuazione e piena esigibilità.
A tale fine appare, perciò, necessario assicurare che il sistema dell’organizzazione dei servizi offerti dalle Amministrazioni per il soddisfacimento di tali diritti risponda, per tutti i cittadini, a criteri di qualità e tempestività delle prestazioni, di uniformità del trattamento salariale degli operatori impegnati; in particolare per alcuni di questi diritti, come la tutela della salute e il diritto all’istruzione, è anche fondamentale aggiornare la cultura stessa che sottende i servizi e le prestazioni resi ai cittadini: un esempio al riguardo è la continuità dei tempi scolastici e dell’istruzione primaria, che dovrebbe essere stabilita in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale.
Si tratta di diritti che, se non sono disponibili sul territorio, oppure, seppur disponibili, non hanno i requisiti della funzionalità e dell’effettiva fruibilità, sono destinati a essere soddisfatti in maniera assolutamente diseguale, non solo tra ceti sociali, ma anche tra città e campagna, e più in generale tra i territori che già ora godono di servizi di trasporto più o meno sviluppati. Si pensi, ai soli fini della raggiungibilità delle strutture, siano esse sanitarie o scolastiche, all’importanza del diritto alla mobilità, che in Sardegna da sempre è scarsamente garantito, se non addirittura negato.
È difficile contestare il fatto che la mancata fruibilità o la dequotazione dei diritti, specie nella storia isolana recente, abbia influito negativamente sulla società: è innegabile, infatti, che essa abbia diversificato la qualità di vita delle singole persone, in violazione dell’uguaglianza e della pari dignità, e abbia condizionato la stessa convivenza sociale tra cittadini e tra territori, pur appartenenti al medesimo Stato.
Negli ultimi decenni intere popolazioni, interi territori e intere Regioni del Sud Italia hanno dovuto fare i conti con uno Stato che, disattendendo i principi costituzionali su cui si fonda la Repubblica, ha di fatto negato tali diritti a tanti cittadini, mediante la riduzione progressiva delle risorse destinate al finanziamento dei servizi svolti in ambito pubblico, decretandone un inevitabile depotenziamento, accompagnata dal ricorso a una diffusa e crescente privatizzazione degli stessi. Nei fatti la riduzione delle risorse pubbliche disponibili e la scelta del libero mercato hanno ristretto il ruolo e la funzione politica dello Stato, penalizzando le popolazioni più povere e soprattutto quelle delle Regioni meridionali e insulari. Si pensi al fenomeno della migrazione dal Sud al Nord, spinta dalla ricerca di opportunità di lavoro o di studio (specie se riguardanti le specializzazioni scientifiche o tecnologiche) o dalla speranza di ottenere prestazioni sanitarie specialistiche adeguate, in particolare in caso di disabilità. Si pensi, ancora, allo stato in cui versano, ad esempio, le ferrovie in Sardegna, alla garanzia della continuità territoriale tra l’Isola e la Penisola, fondamentali per arrivare ad avere concretamente tali opportunità.
Anziché predisporre programmi di intervento corredati da risorse finanziarie destinate alle Regioni tuttora penalizzate, il ddl Calderoli affida la tutela di tali diritti fondamentali alle singole Regioni, con il solo risultato di aumentare le opportunità delle Regioni ricche e ignorare le attuali penalizzazioni e diseguaglianze delle Regioni più povere.
Si noti, tra l’altro, che le competenze verrebbero assegnate, non a tutte le Regioni, ma alle sole Regioni ordinarie richiedenti l’attribuzione. In maniera disparitaria, la procedura per l’attribuzione delle competenze non coinvolge, dunque, le Regioni a statuto speciale, per le quali sarebbe necessario, invece, il ben più lungo procedimento parlamentare di revisione costituzionale degli statuti. Gli effetti negativi di questa disparità si possono valutare se si considera, ad esempio, la discrasia temporale tra i tempi necessari per l’attribuzione delle nuove competenze alle Regioni a statuto speciale e la necessaria tempestività nell’utilizzo dei fondi europei del PNRR per l’effettuazione di investimenti.  Le Regioni ordinarie che hanno richiesto l’attribuzione delle competenze che consentono loro di gestire tali fondi, potranno farlo in autonomia in base a scelte che meglio rispondono alle esigenze dei loro territori, mentre per le Regioni a statuto speciale sarà lo Stato a operare tali scelte.
I possibili esiti del ddl sulla AD sono facilmente prevedibili: nel nuovo assetto istituzionale, le carenze evidenziate, purtroppo già presenti in alcune zone del territorio nazionale, e specialmente in Sardegna, tenderanno ad aggravarsi. Anziché potenziare i servizi in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale, verrà aumentata la differenziazione tra cittadini e tra territori. Già da oggi, si può prefigurare un futuro che, in nome dell’autonomia, sarà basato su un’economia differenziata e su una cittadinanza differenziata, che ci porterà a sostenere che nascere in Sardegna, non è solo uno svantaggio, ma una vera e propria fonte di disuguaglianza socio-economica.

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