Ma guarda, ci sono anche “progressisti” da poltrona!

19 Luglio 2009
3 Commenti


Antonello Gregorini dell’Urban Center - Cagliari

L’accumulo delle cariche politiche e degli emolumenti relativi é, forse, la modalità più frequente con cui il mondo della politica distrugge ogni speranza di riscatto.
Si é portati a credere, noi che siamo degli idealisti, che questa perniciosa pratica appartenga per lo più ai politici del centro destra, forse perché la sinistra ha sempre fatto della questione morale e del rinnovamento della politica uno dei suoi cavalli di battaglia. Come diceva Norberto Bobbio: la destra non ha mai avuto la pretesa di una superiorità morale e non ha mai sbandierato il vessillo della professione politica come “missione”; ha, di converso, sempre ammesso, spesso implicitamente, che in politica la “volontà di potenza”, la vanità, l’amore del potere, scrive le sceneggiature.
Nel leggere le cronache di stampa locale cagliaritana vedo che un cospicuo numero di consiglieri comunali, pur essendo entrati, con le ultime elezioni, in consiglio regionale, si sono ben guardati dal dimettersi. Come se queste due cariche non bastassero essi presiedono pure delle commissioni.
Fra questi, per quel che sono le mie conoscenze, uno appartiene al centra destra; gli altri, almeno quattro, appartengono al centro sinistra e, di questi, ben tre militano in quella che può essere definita sinistra estrema: comunisti; rossomori; la sinistra. Gli alfieri della partecipazione.
Evidentemente, loro, ritengono di non poter lasciare il posto in consiglio comunale perché chi dovrebbe subentrare non milita più nel loro partito o nella loro corrente: come se questa potesse essere una giustificazione.
Ho sempre pensato che qualsiasi carica pubblica comportasse un impegno tale, in termini di studio e di tempo, da non poterne giustificare nessun altro. Gli stakanovisti delle poltrone e degli emolumenti non sono esteticamente e moralmente accettabili.
Mentre la base di giovani, ammesso che esista, dalle sezioni di partito, dai movimenti e dalle associazioni, chiede di partecipare e di avere barriere all’accesso giustamente basse, questi signori si incollano alle poltrone adducendo giustificazioni risibili.
La casta si consolida senza pudori.

3 commenti

  • 1 Marcello Desole
    19 Luglio 2009 - 14:16

    La penso come te. Non solo: mi sto mettendo davvero il problema, visto che ho deciso di tesserarmi ad un partito per la prima volta e condividerne i pregi e i difetti (insieme ai miei), oltre che i processi democratici interni, se è il caso che un partito che aspira a liberare i sardi dal malcostume della spartizione dei posti di potere da parte dei partiti italiani accetti gli stessi meccanismi di adesione ai vari cda degli enti pubblici.

    Da un lato c’è troppa politica che orienta tali scelte, tali da apparire agli occhi dei cittadini che ne vengono a conoscenza quasi un sottobosco che va oltre le normali consultazioni elettorali, dall’altro si rischia ci sia troppa poca politica (intesa come realizzazione degli interessi della società) dentro questi meccanismi, se fossero affidati solo su curricula tecnici.

    E’ un problema non da poco e mi sento confuso.

    Lo stesso discorso Antonello lo estenderei al proceso avviato dell’Urban Center di Cagliari, che trovo “limitata” come entità a se stante, mentre riesco a percepirne le potenzialità e le capacità di coinvolgimento economico e culturale se esteso a tutta l’isola, attraverso il principio di sussidiarietà tra i comuni che hanno maggiori possibilità di costruire infrastrutture culturali e tecniche di questo tipo, ed i comuni che per ovvie ragioni non le hanno. Un rete, mettendo insieme attori culturali, economici, cittadini ed enti. Ovviamente occorre coordinazione e sinergia negli intenti. Anche in questo caso però si rischia di creare dei canali e meccanismi che possono essere fagocitati dalla politica. La domanda per me, ora, rimane aperta. Proviamo a pensare ad un processo partecipativo esteso che definisca anche queste cose.

  • 2 a. gregorini
    20 Luglio 2009 - 18:28

    Marcello

    Ogni iniziativa che volga ad ampliare la partecipazione e il controllo politico per noi dell’urban Center é meritoria.
    Consideraci disponibili a “creare rete”.
    Unico problema, come sempre, é quello delle risorse, del tempo e degli uomini.

    Per il resto stiamo avviando “un cantiere” sul Piano Particolareggiato del Centro Storico, argomento che ben conosci. Ho studiato e “decifrato” la relazione base fatta dal Professor Deplano e, con piacere, devo dire che gli indirizzi mi sembrano buoni.
    Per gli “urban center” il problema nasce in questo caso in questi termini, la faccio breve:
    Essendo un piano condivisibile si corre il rischio che presentandolo in un evento pubblico si cada in discorsi tautologici sia sul piano tecnico che politico.La gente ama la notizia: le critiche, la polemica. Ma se uno non trova molto da criticare, che fa?
    - Qual’é il nostro compito?

    In passato abbiamo avuto dei buoni progetti che poi sono stati mal o mai applicati (é conclamato anche dagli estensori del piano). Il solo presentarli, creare conoscenza di essi e di ciò che supportano, é di per se far politica. Dalla conoscenza nasce la coscienza civica che, in caso di mala applicazione, porta all’emersione delle incongruenze.
    Già questo sarebbe tanto.
    Che ne pensate?

  • 3 Marcello Desole
    25 Luglio 2009 - 08:10

    Antonello, il compito credo debba essere semplicemente quello di estendere i processi democratici. Prevenire i conflitti, far concorrere le idee, educarci anche a nuove e forme possibili dello spazio pubblico ma comunque condiviso, valorizzare l’importanza dell’interdisciplinarità nei processi complessi e stimolare la creazioen di reti tra le diverse competenze, usare questi meccanismi di democrazia e progettazione partecipata per formare le classi dirigenti tecniche che entreranno nella macchina amministrativa regionale (per me nazionale) sarda e quella delle aministrazioni comunali. Insegnare e imparare l’etica del progetto misurando o creando i meccanismi per la misura dell’impatto che le scelte dei piani alle varie scale socioeconomiche hanno. Non esiste il verbo su questi argomenti così come non esiste su come tessere i processi democratici anche nella stesura dei piani. Ci sono diversi giovani gruppi di progettazione nelle piccole realtà che stanno portando avanti in modo interessante e senza grandi risorse esempi di progettazione partecipata e possono essere dei catalizzatori di questo processo di rete socio-economica-culturale. Non è, credo, solo un problema di risorse ma di democrazia dell’inclusività, di cosa intendiamo per essa.

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