Cinzia Sciuto - Micromega

«Questa non è la storia di due parti che finalmente trovano la pace.
È la storia di due popoli che domani si sveglieranno sotto due cieli molto diversi:
uno libero di guarire, l’altro intrappolato tra le rovine».
Nagham Zbeedat, Haaretz, 9 ottobre 2025
La giornata di lunedì scorso potrebbe passare alla storia come la data che segna l’inizio di una nuova era: quella di un ordine internazionale fondato non più, neppure formalmente, sul diritto, ma esplicitamente, sulla forza. La forza delle armi, del denaro, del potere. È il mondo forgiato sul modello degli Accordi di Abramo: patti economici e commerciali in cui la pace non è la precondizione della giustizia, ma il presupposto per fare affari.
È in questo spirito che Donald Trump ha costretto Benjamin Netanyahu ad accettare un “accordo di pace” con Hamas. Nessuno si faceva illusioni sullo spirito di questo accordo – che abbiamo comunque salutato con sollievo, perché unica opzione sul tavolo per fermare lo sterminio dei palestinesi e riportare a casa gli ultimi ostaggi – ma i discorsi pronunciati lunedì scorso alla Knesset da Trump, Netanyahu e Lapid, così come la dichiarazione firmata a Sharm el-Sheikh dal presidente Usa insieme al presidente egiziano al Sisi, all’emiro del Qatar al Thani e al presidente turco Erdoğan, ne sono la prova definitiva: una farsa che suggella la nascita di un ordine politico fondato sul potere personale e sulla violenza legittimata.
In tutti quei discorsi e in tutti quei testi, infatti, ci sono tre grandi assenti.
Il primo grande assente sono i palestinesi. Nel discorso di Trump alla Knesset sono stati citati esclusivamente in relazione al terrorismo di Hamas e al 7 ottobre. In più di un’ora di intervento, non una parola sulle 70 mila vittime palestinesi: non un accenno, neanche per umana compassione, e neanche nella formula ipocrita dei “danni collaterali”. Nulla. Mentre nella dichiarazione di Sharm el-Sheikh i palestinesi sono citati quasi en passant, in una riga in cui si dice “che una pace duratura sarà quella in cui sia i palestinesi che gli israeliani potranno prosperare proteggendo i propri diritti umani fondamentali, garantendo la propria sicurezza e vedendo la propria dignità rispettata”. Tutto qui, fine. Nessun riferimento esplicito al diritto all’autodeterminazione e a uno Stato palestinese, né al diritto al ritorno, elementi che pure erano contenuti (seppur in forme vaghe) nei venti punti che costituivano la proposta di pace avanzata da Trump.
Il secondo grande assente è la Cisgiordania, completamente sparita da ogni testo e da ogni discorso. Non un accenno alle colonie illegali, non un impegno al loro smantellamento, anzi: mentre si firma la “pace”, sul campo le occupazioni e le violenze dei coloni continuano con rinnovato vigore. Ed è legittimo pensare che proprio la Cisgiordania sia stata la moneta di scambio del “deal” di Trump, che tanto si vanta di “saper fare affari” anche quando si tratta di esseri umani.
E infine il terzo grande assente: il diritto internazionale. Cancellato, ignorato, neppure evocato per dovere di forma. Tutto si basa su rapporti personali, quasi feudali. Nel suo discorso alla Knesset, Trump ha chiamato per nome alleati e amici: è un ordine mondiale costruito su relazioni clientelari di vassallaggio, non su princìpi universali. Nessun accenno all’Onu, alla Corte penale internazionale, alla necessità di riconoscere e in qualche modo riparare i crimini di guerra perpetrati da tutte le parti coinvolte.
Scriviamo queste righe in un momento di grandissima preoccupazione: la tregua che ha consentito lo scambio fra ostaggi e prigionieri palestinesi resta di una fragilità estrema. Hamas fatica a recuperare i corpi degli ostaggi e Israele è pronto a usare questo come pretesto per impedire l’entrata degli aiuti umanitari, chiudere di nuovo il valico di Rafah e riprendere i bombardamenti. Tutto può saltare da un momento all’altro, proprio mentre i palestinesi tornano (per l’ennesima volta in due anni) tra le rovine di ciò che chiamavano casa.
E se mai riuscirà a concludersi questa prima fase – che richiederà settimane, forse mesi, visto che i corpi degli ostaggi deceduti sono ancora sepolti sotto le macerie – allora inizierà quella più complicata: bisognerà fare pressioni affinché Gaza venga ricostruita nell’interesse della sua popolazione, non degli affaristi e dei palazzinari che si spartiranno gli appalti, e non degli attori più interessati a fare di Gaza un “hub”, snodo logistico e bacino di forza lavoro per il progetto di ridisegno del Medio Oriente lungo le linee già prefigurate dagli Accordi di Abramo. E bisognerà fare tutti gli sforzi possibili – anche quando in questo scenario sembrerà una impresa disperata – per rimettere al centro il diritto internazionale, il nostro unico strumento contro la deriva barbarica dell’ordine internazionale a cui stiamo assistendo.




1 commento
1 Aladinpensiero
20 Ottobre 2025 - 07:51
Anche su #aladinpensiero : https://www.aladinpensiero.it/?p=170133
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