Diritto alla salute e Programma Regionale di Sviluppo

24 Febbraio 2010
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Antonello Murgia

E’ giusto sottolineare il problema delle malattie rare, come è stato fatto su questo blog alcuni giorni fa, perché un diritto fondamentale è tale se garantito in tutti i suoi aspetti, senza preclusioni di sorta, ivi compresa la rarità della malattia. A questo problema è strettamente collegato quello dei c.d. “farmaci orfani”, che come F.P.-CGIL di Cagliari portammo avanti nel 2004, partendo dalle esigenze dei pazienti dell’Ospedale Microcitemico di Cagliari, fra i cui compiti c’è appunto quello di diagnosi, cura e prevenzione non solo della talassemia, ma anche delle altre malattie rare. La nostra proposta (che riprendeva un intendimento del 1999 dell’allora ministro Bindi) era di utilizzare lo Stabilimento Chimico-Farmaceutico di Firenze (che il Ministero della Difesa, da cui dipendeva, aveva dichiarato di voler chiudere a breve) per la produzione di farmaci per i quali l’industria farmaceutica non aveva, per la modestia della domanda da parte del mercato, interesse commerciale. Forse quella proposta ha avuto un ruolo trascurabile; la cosa importante è che il Chimico-Farmaceutico di Firenze è oggi ancora attivo ed ha, fra i suoi compiti istituzionali, anche la produzione di farmaci orfani.
I Padri Costituenti furono così sensibili e lungimiranti da scrivere, nell’articolo 32, che quello alla salute è un diritto dell’individuo (e non del cittadino, come previsto per gli altri diritti), un diritto universale che abbiamo perché siamo al mondo e che prescinde dalla cittadinanza. Oggi, però, un centro-destra ignaro di diritti universali ed estraneo ad un percorso di democrazia e civiltà che pur con difficoltà aveva consentito risultati importanti, è impegnato nella sistematica trasformazione dei diritti in merce, da offrire alla sua famelica clientela, favorito in questo da un’opposizione parlamentare debole e smarrita. Così, oggi, la salute sta diventando un diritto progressivamente meno esigibile non solo e non tanto per i portatori di malattie rare, quanto per le fasce più deboli della popolazione.
Memore delle sconfitte patite con un approccio frontale due legislature fa, il governo Berlusconi, conduce oggi l’attacco per vie traverse, dichiarando obiettivi opposti a quelli reali ed utilizzando la manovra economica per svuotare i diritti di contenuti (il sistematico sottofinanziamento del SSN ha la conseguenza inevitabile che da qualche parte si deve tagliare) e giustificare il cambio di rotta. Per non ripetermi rimando, su questo, agli articoli scritti in precedenza per questo sito (e in particolare a quelli agli indirizzi http://www.democraziaoggi.it/?p=355 e http://www.democraziaoggi.it/?p=406).
Vorrei invece soffermarmi sulle scelte che la Giunta regionale ed il suo Presidente hanno manifestato fin dalla campagna elettorale (“utilizzeremo i privati per abbattere le liste d’attesa” senza chiedersi come e perché le liste si sono allungate) e che poi hanno esplicitato nel Programma Regionale di Sviluppo (PRS) pubblicato il 3 settembre scorso.
Nel PRS si fa utilizzo di una terminologia accattivante (“dinamismo”, “modernità”, “opportunità storica per ridisegnare il Servizio Sanitario in senso liberale”, “l’amore per gli altri che soffrono”, etc.) per sostenere un progetto di privatizzazione in un settore nel quale la prevalenza del privato ha sempre dato pessima prova di sé ed in una fase storica nella quale, dopo il crollo dell’economia mondiale conseguente allo scoppio della bolla speculativa americana, anche i governi più liberisti come l’amministrazione Bush hanno adottato misure di regolamentazione del mercato. Così, l’Assessore regionale alla Sanità dichiara di voler ridurre un non dimostrato deficit prodotto dalla precedente amministrazione (che con i tagli di spesa effettuati ci aveva fatto uscire dal novero delle c.d. Regioni “canaglia”, cioè con la sanità in profondo rosso) e contemporaneamente innalza i tetti di spesa a favore delle strutture private. Tetti che proprio il suo predecessore aveva posto per limitare prestazioni sulle quali c’era il sospetto che fossero guidate più dall’intenzione di fare cassa che da reali necessità dei pazienti.
Anche il progetto organizzativo contenuto nella L.R. n. 3 del 7 agosto 2009, cui il PRS fa riferimento, non comporterà i risparmi dichiarati ma farà lievitare i costi, da un lato perché con l’istituzione di nuove Aziende Ospedaliere moltiplica gli enti e le conseguenti Direzioni (sistemando però amici e clienti), dall’altro perché la separazione della gestione amministrativa da quella sanitaria con l’istituzione delle Macroaree favorisce effetti di “dumping” da parte delle strutture sanitarie (se ad es. pago di più il parto cesareo rispetto al parto normale e non inserisco gli interessi del reparto all’interno di interessi più generali della collettività, è facile che il reparto aumenti inopinatamente i parti cesarei, come è appunto successo). E nella nostra realtà manca anche una consuetudine di controlli che potrebbe quanto meno contenere tali fenomeni. Inoltre, per proporre l’istituzione di Macroaree, nel PRS si cita il modello delle Aree Vaste della Toscana, avendo però l’intenzione evidente di applicare il modello lombardo nel quale sono soprattutto le regole liberiste del mercato a governare domanda e offerta (v. i voucher: il cittadino, a seconda della classe di appartenenza per età ed eventuale patologia ha diritto ad un assegno annuale che potrà spendere dove meglio crede, pubblico o privato che sia). E mentre la Lombardia ha una realtà produttiva molto più florida e può permettersi lo spreco di prestazioni inutili, per noi questo significherebbe sottrarre risorse a prestazioni essenziali.
Dopo aver dichiarato di voler avvicinare la sanità ai cittadini, il PRS punta soprattutto sugli ospedali; e, a parte un fugace accenno alle RSA, non affronta il problema del potenziamento del filtro sul territorio (case della salute, ospedali di comunità, hospice, etc.) che è indispensabile se si vuole davvero spostare il baricentro del sistema verso il territorio. In questo ambito la demagogia raggiunge vette finora inesplorate come la considerazione che “occorre … bandire iniziative clientelari o a bassa priorità quale quella dell’inutile ospedale di San Gavino”: si tenga presente che a fronte di uno standard di 4,5 posti letto/1000 abitanti, la ASL del Medio Campidano, vera Cenerentola sarda, ne ha solo 1,7 (che arriverebbero a 2,4 con l’adeguamento “clientelare “ e “a bassa priorità” deliberato dal precedente Consiglio Regionale).
Uno dei dati più preoccupanti è l’intento di “affidare alle istituzioni locali ed ai privati tutto quello che non è strettamente necessario che venga erogato direttamente dal pubblico” e lo si giustifica con l’argomento che “le lamentele da parte dei pazienti delle Case di cura private sono ridotte, mentre negli ospedali pubblici esse rappresentano quasi una costante”. Si utilizzano argomenti “da bar”, privi di sostegno scientifico e si tace il ben più obiettivo tasso di utilizzo delle strutture sanitarie (intorno al 50% per le Case di cura e all’80% per gli Ospedali pubblici), per favorire lo spostamento di attività a favore di grandi elettori dell’attuale maggioranza in Consiglio regionale.
Nella ASL di Olbia si punta a potenziare il ruolo di cerniera con Milano dell’erigendo ospedale S. Raffaele, cui si intende attribuire il ruolo di ospedale universitario con il compito di produrre “aumento qualitativo della formazione medica e infermieristica”. Trovo che l’intento di affidare l’istruzione/formazione ai privati, rappresenti una rinuncia ad un compito pubblico primario e favorisca discriminazioni nei confronti dei meno abbienti (le facoltà private sono nettamente più care di quelle pubbliche). Inoltre, è stato pronosticato da molti che il ruolo di cerniera con Milano consisterà soprattutto nel traghettare pazienti sardi verso il continente in un’operazione neocoloniale che non favorirà il rafforzamento delle professionalità locali e tanto meno la dichiarata volontà di avvicinare la sanità ai cittadini.
La territorializzazione della salute è un’esigenza ancora maggiore nella salute mentale, ambito in cui la istituzionalizzazione ha comportato invariabilmente violazione dei diritti e sopraffazione. La precedente amministrazione regionale aveva portato avanti un progetto che magari aveva necessità di essere costruito con maggiore coinvolgimento degli operatori ma che, con l’apertura di Centri di Salute Mentale 24 ore su 24, realizzava quel filtro sul territorio che anche l’attuale Giunta dichiara di voler perseguire; salvo poi nominare Commissari straordinari delle ASL che stanno disponendo l’abolizione dell’apertura sulle 24 ore.

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