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L’Aquila, quegli “equivoci” sul terremoto e sulla sentenza

21 Luglio 2024
1 Commento


 

Nessun risarcimento per le famiglie di sette giovani vittime del sisma. Ed è polemica sulla decisione della Corte d’Appello che conferma il primo grado

 

 

Gennaro Grimolizzi Il Dubbio

 

 

 

La sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila sul risarcimento in favore delle famiglie di sette studenti (Nicola Bianchi, Ivana Lannutti, Enza Terzini, Michele Strazzella, Daniela Bortoletti, Sara Persichitti e Nicola Colonna) morti dopo il terremoto del 6 aprile 2009 ha confermato la pronuncia di primo grado di due anni fa ed esonerato da ogni responsabilità la presidenza del Consiglio e gli scienziati della Commissione Grandi rischi.

Nel giro di poche ore, quando si è diffusa la notizia della decisione dei giudici è montata la rabbia. Sono stati tanti gli aggettivi appiccicati alla sentenza che si è espressa in ambito civile: “choc”, “ingiusta”, “vergognosa”. Il motivo della delusione ha riguardato la parte relativa alla possibilità che i giovani morti quindici anni fa sotto le macerie dello stabile di via D’Annunzio 14, nel centro storico dell’Aquila, avessero ricevuto idonee rassicurazioni da parte della Protezione civile, continuando a rimanere nella casa dello studente – poi crollata -, a dispetto dell’intensificarsi dello sciame sismico.

Condotta rivelatasi incauta, confermata in appello, anche per il giovane Nicola Bianchi, il quale avrebbe saputo di vivere in un edificio poco sicuro, ma decise di restarvi perché avrebbe dovuto sostenere un esame universitario. Appuntamento mai verificatosi a causa del terremoto di magnitudo 6.3 del 6 aprile 2009 che lo uccise e provocò a L’Aquila in totale 309 morti e più di 1.600 feriti.
In Corte d’appello i giudici hanno seguito la linea tracciata dal Tribunale, respingendo di nuovo l’istanza delle sette parti: nessun risarcimento e spese legali per un ammontare superiore a 15mila euro a carico delle famiglie delle vittime.
Uno snodo importante della vicenda processuale è rappresentato dalle attività svolte dalla Commissione Grandi rischi neanche una settima prima del sisma che mise in ginocchio L’Aquila. Secondo i giudici della Corte d’Appello, gli studenti non sarebbero morti nei crolli provocati dal terremoto delle 3.32 del 6 aprile 2009 perché rassicurati e, di conseguenza, indotti a rimanere nei loro alloggi dalla Protezione civile attraverso la Commissione Grandi rischi, ma per una “condotta incauta”; per non aver, in sostanza, valutato adeguatamente tutti i rischi connessi al contesto venutosi a creare prima delle devastanti scosse.
Il clamore suscitato dalla sentenza d’appello ha preso il sopravvento, generando un equivoco: nessuno ha inteso tranquillizzare la popolazione in merito a un pericolo legato alle continue scosse di terremoto. E il pericolo, riguardo ai movimenti tellurici (imprevedibili nella loro massima potenza), non può considerarsi inesistente. Su questo punto la Corte d’Appello dell’Aquila si sofferma, rilevando che «in linea generale, il compendio probatorio acquisito (convocazione della riunione, verbali della stessa, deposizioni testimoniali), al di là del convincimento del capo del Dipartimento di Protezione civile emerso nel corso della conversazione casualmente intercettata tra lo stesso (Bertolaso) e l’assessore regionale (Stati) ha smentito o, comunque, non ha dato conferma della tesi che gli esperti partecipanti alla riunione del 31 marzo - ad esclusione del De Bernardinis, vice di Bertolaso, il quale, peraltro, alla stessa non diede alcun contributo scientifico - avessero, a priori, l’obiettivo di tranquillizzare la popolazione e, quindi, di contraddire o minimizzare quanto desumibile dai dati oggetto della loro valutazione scientifica. Tesi che le parti appellanti ripropongono in termini meramente assertivi senza misurarsi con le risultanze istruttorie».
La Commissione Grandi rischi riporta i punti di vista degli esperti. Tutti concordano su una cosa: non è possibile prevedere con esattezza il verificarsi di un terremoto, allo stesso tempo, però, parlare, in riferimento ad alcuni eventi prodromici, di rischio inesistente è inappropriato. Tra gli scienziati della “Grandi rischi” presenti il 31 marzo 2009 anche Franco Barberi (presidente vicario della Commissione, all’epoca ordinario di Vulcanologia nell’Università Roma Tre). L’accademico affermò che era «estremamente difficile fare previsioni temporali sull’evoluzione dei fenomeni sismici» per cui «si può fare riferimento alla conoscenza storica, da cui emerge l’elevata sismicità del territorio abruzzese». «La domanda da porre agli specialisti – aggiunse in quella occasione – è se nei terremoti del passato c’è testimonianza di sequenze sismiche che precedono forti terremoti».

Un punto sul quale si arrovellarono gli esperti della Commissione Grandi rischi riguardò “se” e “quando” ci sarebbero stati dei terremoti. Claudio Eva (ordinario di Fisica terrestre a Genova) sostenne che «essendo la zona di L’Aquila sismica, non è possibile affermare che non ci saranno terremoti».
Sulla prevedibilità dei terremoti, Enzo Boschi, nel 2009 presidente dell’Ingv, spiegò nella riunione del 31 marzo 2009 che «guardando l’Italia nel suo complesso, probabilmente c’è una logica che governa lo sviluppo dei terremoti e ancora più questa logica può riguardare l’intero pianeta Terra». «Ma questa logica – precisò – non è ancora nota e non è perciò possibile fare previsioni. È invece noto che il Comune di L’Aquila è classificato in zona 2 e, dunque, è caratterizzato da una sismicità che richiede una particolare attenzione verso le costruzioni, che vanno rafforzate e rese capaci di resistere ai terremoti». Barberi concluse affermando che «non c’è nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata precursore di un forte evento». Qualche riga dopo, sempre nel verbale della “Grandi rischi” del 31 marzo 2009, il vulcanologo spiegò che «le misurazioni del gas radon ai fini previsionali dei terremoti» sono «un problema molto vecchio e a lungo spiegato senza arrivare a soluzioni utili» con la conseguenza che «qualunque previsione non ha fondamento scientifico».
Il terremoto del 6 aprile 2009, oltre a causare morte e distruzione, provocò una lunga scia di polemiche con uno scontro tra la Protezione civile, allora guidata da Guido Bertolaso, e alcuni scienziati, fra i quali Enzo Boschi (scomparso nel 2018), a capo dell’Ingv. Non mancò un feroce scambio di accuse sulla possibilità di prevedere il terremoto che distrusse L’Aquila in un clima dominato dall’ansia chiarificatrice – dettata da ragioni politiche - e dall’esigenza di trovare qualcuno sul quale addossare ogni responsabilità. La difficoltà a prevedere un terremoto, evidenziò quindici anni fa la comunità scientifica, non significa escludere un evento tellurico di forte intensità o distruttivo. Questo tema è entrato anche nelle aule di Tribunale.

1 commento

  • 1 Aladin
    23 Luglio 2024 - 06:53

    Anche su aladinpensiero online: https://www.democraziaoggi.it/?p=8713

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