Suicidio all’Università

15 Settembre 2010
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Simone Canese - ricercatore

La notizia. Dottorando si suicida all’università. Per me non c’è futuro, ha detto. Cercava lavoro per sposarsi. I genitori, un omicidio di stato
“La storia di questo ragazzo mi fa venire i brividi. E’ presto per commentare questo gesto. Quando uno decide di togliersi la vita è possibile che ci siano un milione di cose in mezzo”. Simone Canese ha 41 anni, è di La Spezia, nel curriculum una laurea in Scienze Biologiche e un dottorato in Scienze Ambientali a Genova. Così commenta la morte di Norman Zarcone, il dottorando siciliano di 27 anni che si è suicidato ieri gettandosi da un terrazzo della facoltà di Lettere di Palermo.
Canese è un ricercatore precario dell’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), lo è da cinque anni, da 11 è a Roma, è uno dei 100 studiosi che un anno fa, sotto Natale, occuparono il tetto del loro Istituto per due mesi, protestando contro i tagli del Governo alla ricerca, che avrebbero significato l’addio a quei 1200-1300 euro al mese che costituiscono la busta paga. “Se quello che spende il Governo per la ricerca è sempre di meno - dice - poi ha poco da dire parole. Tutti noi ricercatori, noi precari passiamo attraverso questa esperienza per la quale é passato questo ragazzo siciliano. Molti di noi mettono tutto quello che loro hanno nello studio. Molti di noi ci si dedicano più che al 100%. Quando poi tutto questo 100% ti manca, è logico che vai in crisi”. Ora, lui come altri, ha avuto il rinnovo di un contratto a tempo determinato per tutto il 2010. Ecco che quindi fra tre mesi si ritroverà nella stessa situazione di un anno fa.
“Fra tre mesi - prosegue - si ripresenta il solito problema, e sicuramente in maniera più grave, perché di anno in anno i tagli che stanno facendo sulla ricerca sono sempre di più. Questo vuol dire che ci sono meno soldi per la ricerca, meno soldi per i contratti, soldi per le assunzioni non ce ne sono, la situazione è complicata. Adesso a dicembre si presenterà il nodo, penso, per un centinaio di persone, 100-150. Però molti sono quelli che sono andati a casa già nel giugno 2009 e non sono rientrati, dopo 10-15 anni di precariato. Molti dei miei colleghi, pur precari, hanno ruoli internazionali riconosciuti da varie parti. Questo perché il fatto di essere un precario, di avere un contratto a termine, non pregiudica la carriera. La cosa brutta è quando ti dicono che il lavoro che fai, che tutto l’impegno che tu hai messo per anni non serve a nulla. Anche noi sul tetto abbiamo avuto momenti molto duri. Dopo 60 giorni di tetto molti ragazzi erano stanchi e provati psicologicamente. Questo però è stato poco visibile”

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