L’economia giusta e il futuro del mondo

28 Ottobre 2010
Nessun commento


Gianfranco Sabattini

Edmondo Berselli, editorialista e direttore di importanti quotidiani e periodici italiani, ha scritto poco prima di morire “L’economia giusta”; si tratta di un volume in cui l’autore ha cercato di individuare, in questo momento di crisi generalizzata dell’economia del mondo occidentale, una via di uscita. La verve con la quale ha narrato la maturazione dei guasti del tempo presente non è riuscita a fare velo sul pessimismo che lo ha sorretto allorché, formulando la possibile via di fuga dalla crisi, ha previsto che dovremo abituarci ad essere più poveri.
A tutti i sistemi sociali occidentali nel governo delle loro economie, caduto il keynesismo ed il monetarismo, è sembrato, dopo aver sperimentato l’inefficacia dell’inflazione, dell’indebitamento pubblico e di quello privato per il sostegno della domanda, che con la deregulation potesse affermarsi una definitiva “rivincita del mercato”. Sennonché, la rimozione delle regole ha affievolito qualsiasi presidio posto a tutela dell’interesse generale, nel senso che ha causato la tendenza, all’interno di ogni singolo sistema sociale, a ridurre l’intera società civile a una folla di contraenti e lo Stato a grande mediatore fra interessi individuali in conflitto. Dietro il vuoto regolativo, che ha determinato il prevalere brutale della logica di funzionamento dei mercati finanziari, le società politiche dei sistemi sociali moderni coinvolti nella crisi si sono illuse di poter ammansire gli “animal spirits” del libero mercato attraverso la scelta del modello di governo delle singole società valutato più rispondente ai criteri affermatisi nel 1959 a conclusione del congresso dei socialdemocratici tedeschi svoltosi a Godelsberg. Si è trattato allora di scegliere tra il modello anglosassone e il modello renano. Il modello anglosassone, in quanto portatore dei limiti propri della logica del libero mercato, implicava la “gestione” di equilibri fortemente conflittuali ed instabili; il modello renano, per contro, in quanto portatore di più contenuti impatti sociali, implicava la “gestione” di equilibri più stabili e meno conflittuali. Il modello renano, perciò, è sembrato potesse offrire la possibilità di una forma di governo dei sistemi sociali più aperto al contenimento dei conflitti sociali.
In Germania, il pensiero sociale che ha supportato il modello renano è stato denominato “economia sociale di mercato”, la cui logica di funzionamento implicava che la dinamica economica, benché fondata sul libero mercato, non potesse regolare da sola l’insieme della vita sociale, nel senso che necessitava di fattori di equilibro esterni, per essere bilanciata da politiche pubbliche i cui contenuti dovevano essere determinati e garantiti dallo Stato. Tuttavia, anche il modello renano, a partire dall’inizio degli anni Novanta, è entrato in crisi; da quel momento in poi, le strutture che avevano retto il funzionamento dei sistemi sociali del secolo scorso si sono disgregate e le formazioni politiche che hanno continuato ad ispirarsi ai principi di Godelsberg hanno sperimentato un processo continuo di disfacimento.
Di fronte a questi motivi di crisi profonda, quali sono, allora, si chiede Berselli, le modalità per rilanciare la crescita interrotta dei sistemi sociali? A tale scopo, per Berselli, occorrerà una “nuova sintesi umanistica”, per fare i conti con un inevitabile aumento della povertà, considerato che non sarà possibile in futuro conservare tutti gli strumenti del welfare realizzato. In altre parole, occorrerà che i singoli sistemi sociali guardino alla loro storia per ricordare che dispongono dell’esperienza di un passato di ridistribuzione, lasciato in eredità dalle democrazie cristiane e dalle socialdemocrazie europee. Il ricordo del passato, non riuscirà ad innescare un nuovo processo di crescita, consentirà però di resistere alle ricorrenti crisi economiche, insegnando a vivere con meno ricchezza, meno prodotti, meno consumi. Ragione, questa, per cui alle società civili dei paesi occidentali converrà che si pongano la domanda di quale cultura dovranno dotarsi per acquisire la capacità di adeguarsi alla stagnazione; ciò perché, se il mondo va più piano, anche tutte le società civili devono rallentare. Per queste ultime, varrà la pena provarci, con un po’ di storia alle spalle e con un po’ di intelligenza e d’umanità davanti.
Si tratta di una conclusione pervasa da un profondo pessimismo chiusa alla razionalità ed alla capacità dell’uomo di porre rimedio ai limiti che hanno sempre condizionato il corretto funzionamento dei sistemi sociali. Se le disfunzioni di questi sono da ricondursi all’iniquità dei meccanismi distributivi, perché limitarci a ricordare, a titolo consolatorio, degli esiti compensatori di una continua ridistribuzione, anziché pensare ad un uso più appropriato rispetto al passato delle risorse utilizzate per realizzare un’equità distributiva di natura caritatevole? Occorrerà acquisire una cultura non della povertà, né della minore ricchezza, bensì dell’idea che una società più giusta sul piano distributivo, nella certezza che la maggior giustizia sociale è destinata a ripercuotersi positivamente su ogni aspetto della vita degli uomini.

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento