Urbanistica, edilizia, lavoro, bisogni

12 Dicembre 2010
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Aldo Lobina

“…Dopo tutto, anche se sono gli uomini a fare le città poi sono le città a fare gli uomini”. (Henry Drummond)


L’urbanistica è una materia complessa, oggetto di approcci multidisciplinari,che implicano conoscenze tecniche e professionali, frutto di studi di molte vite. Non è facile l’approccio per il cittadino comune e quindi per me, che ho la presunzione di poterne scrivere per dovere civico. Conscio del fatto che attorno a queste tematiche si giocano molte delle partite elettorali e molte amministrazioni locali realizzano il loro consenso o dissenso. Non è un caso che molti sindaci siano addirittura professionisti, proprio nel campo dell’edilizia Se è vero l’assunto della complessità, è altrettanto evidente che i cittadini di una Comunità sono chiamati di tempo in tempo a ragionare sui loro problemi urbanistici, che poi approvano attraverso i loro rappresentanti eletti, quando questi si dotano di nuovi piani urbanistici.
Il Piano Paesaggistico Regionale licenziato dalla Giunta Soru ha determinato la necessità per i comuni di dover adeguare i loro Piani Urbanistici.
Al di là della bontà della Legge Regionale, che ora non discuto, devo subito fare una prima considerazione: alcuni comuni avevano visto approvato il loro piano urbanistico non molto tempo prima che la Regione chiedesse gli adeguamenti, in pratica la predisposizione di altri piani collimanti con i suoi nuovi indirizzi. Se ad ogni cambio di amministrazione regionale i Comuni con PUC approvato fossero costretti a tali adeguamenti, nelle more di vedere conclusi gli atti procedurali relativi, ci troveremmo a non potere di fatto amministrare gli aspetti urbanistici del nostro territorio per molto tempo. Ogni nuova legge, ogni nuovo piano dovrebbe avere valore per il dopo, facendo salvo tutto quello che è stato regolarmente approvato in un arco di tempo relativamente recente, soprattutto quando gli adeguamenti sono più restrittivi rispetto ai piani che si propongono di voler modificare.
Queste osservazioni non sono senza conseguenze perché la natura degli adeguamenti che obbligano a rivisitare i piani urbanistici comportano di fatto perdite economiche rilevanti in termini di lavoro in quella che era una delle industrie più floride delle nostre realtà comunali. E’ sotto gli occhi di tutti la crisi del lavoro legato alle costruzioni. L’industria edilizia locale, con le botteghe collegate, ha subito un forte rallentamento e per la crisi generale in cui versa lo Stato Italiano e per le ripercussioni create dal legislatore. E le maestranze soffrono. Soffrono i falegnami, i muratori, i carpentieri e soprattutto viene soffocato anche l’apprendistato che conserva vivo l’artigianato: molte piccole attività infatti in sofferenza sono costrette a chiudere per la mancanza di lavoro e gli alti oneri finanziari. Altre forse lavorano pericolosamente in nero.
Ma non subiscono danni solo gli operatori, anche gli altri cittadini, che vedono rimandato un eventuale impegno economico su quel fronte a tempi in cui tutto sarà più costoso.
Un conto poi è l’urbanistica intesa come scienza, che come tale, per non essere una scienza esatta, gode di numerose possibilità interpretative, un conto è la pianificazione. Che deve piegare ai bisogni reali delle comunità l’utilizzo degli spazi aperti e chiusi e di consumo del territorio, che la civiltà moderna pretende giustamente sostenibile.
I bisogni sono legati alla popolazione e i piani guardano necessariamente all’incremento demografico prevedibile per potere soddisfare la domanda di abitazioni e l’individuazione di spazi da dedicare alle attività artigianali e commerciali, allo sport e al tempo libero. Non solo, i piani urbanistici affrontano i problemi legati alla socializzazione, modificano, se vogliono, il traffico favorendo o sfavorendo i pedoni, aprono modelli di sviluppo sostenibile con lo sfruttamento di energie più compatibili con l’ambiente, si occupano della necessità di migliorare il trasporto pubblico, individuano tutte quelle opportunità che contribuiscono a mantenere pulite le città e dovrebbero contenere indicazioni e suggerimenti per renderle più belle e sicure.
Mi è capitato recentemente tra le mani un testo scritto nel 1910 ad uso degi ragazzi della scuola media di Chicago. L’educazione civica veniva insegnata loro attraverso una serie di considerazioni che ponevano al centro la costruzione della città, la sua organizzazione, la riduzione degli sprechi e il riconoscimento che l’estensione continua della città imponeva scelte di contenimento dei consumi, per esempio della frutta, per lo spopolamento delle campagne, cui corrispondeva naturalmente una riduzione della produzione agricola. Il sussidiario invitava a considerare inoltre gli esempi di crescita della città di Parigi in confronto a quelli di Londra e conteneva molte altre utili suggerimenti: una vera e propria didattica urbanistica, intesa come acquisizione di fondamenti di civile convivenza, legata anche ai problemi di salute e sicurezza.
Scrivere un piano urbanistico è un atto di grande impegno. E’ una preoccupazione grande. Ci deve essere tanta passione civile da parte di tutti (in nuce quel testo di Chicago adombrava anche ipotesi di partecipazione popolare) perché una città mal progettata diventa disumana e sede di violenza e abusi di ogni tipo. Una città pulita, bella, di belle piazze, con molti spazi verdi, fruibile da tutte le fasce d’età forma uomini responsabili.
Anche se i cittadini comuni non sono urbanisti una loro adeguata partecipazione aiuterà a riscrivere meglio, a fare una proposta migliorativa, a guardare da angolazioni diverse lo strumento da cui nel medio termine dipende lo sviluppo delle nostre città, nel segno del progresso.
Riparlare di pianificazione dovrebbe spingerci a riconsiderare la necessaria e non più rinviabile organizzazione delle frazioni, dove esistono, e il problema della edilizia per le nuove famiglie, per quelle a basso reddito, per quelle di chi lavora nel precariato. Nei confronti di costoro, che sono sempre più numerosi, un piano urbanistico calibrato può offrire opportunità, che soddisfino il diritto naturale di una casa di proprietà o in locazione, ma una casa per tutti.

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