Che cosa augurarci per il nuovo anno?

28 Dicembre 2010
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Aldo Lobina

Se l’obiettivo di una realizzazione piena di tutti gli uomini e di ciascuno è una utopia, nella sua duplice accezione positiva di validità e desiderabilità da una parte e di meta ideale dall’altra, è anche vero che una carta del mondo che non dovesse contemplare il paese dell’Utopia, non servirebbe davvero, sarebbe incompleta. Ha ragione Oscar Wilde.
Anche il Bene Comune, come tutte le cose buone, che vanno cercate, non è descritto in una ricetta “ripetibile”, sempre uguale, alla quale apporre una data diversa tutte le volte che serve.
La sua è una ricetta “non ripetibile”, nel senso che non ha una definizione concreta, data, unica e valida per sempre.
Ogni generazione infatti ha il dovere di migliorare questa ricerca, rinnovandola, riscrivendola, se vuole sopravvivere.
Non è sufficiente a questo scopo impedire lo spreco di quanto di buono è stato fatto da chi ci ha preceduti (tale dispersione si aggiungerebbe alla “ruggine” corruttrice, obbligando a ripartenze svantaggiose da livelli più bassi). Serve anche sgombrare il campo da pregiudizi, convincimenti errati, ipocrisie, veti, personalismi ed egoismi. C’è poi una terza condizione, che forse è quella più rilevante, perchè attinge alla speranza più che alla volontà, speranza che è il coraggio di scorgere un paese migliore e farvi vela con umanità, cioè con intelletto e cuore.
Abbiamo assistito recentemente a numerosi tentativi di demolire un ordinamento statale più giusto, con l’introduzione di leggi ad personam indecenti; viviamo tutti nel nostro Paese le contraddizioni di una classe politica avulsa dai suoi problemi reali, che non rinuncia a niente, imponendo agli altri precariato e insicurezza , che diventano “male comune”. Tutto questo dovrebbe e potrebbe finire se ciascuno di noi ritrovasse il senso e la passione della corresponsabilità e dell’impegno. Sui problemi reali, sui modi diversi di affrontare i problemi.
Che cosa augurarci per il nuovo anno?
Innanzitutto di migliorare noi stessi. E poi.. un Paese (anche con la p minuscola) migliore di quello che abbiamo conosciuto, che salvaguardi la salute, l’istruzione e il lavoro. Che sappia stare vicino a chi è debole socialmente, che lasci spazio ai giovani e decida finalmente di affidarvisi per il bene comune, che è anche il fine comune, per dirla con S. Tommaso d’Aquino.

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