Ordinanze orribili e civiltà della storia autonomista

29 Aprile 2011
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Amsicora

Continuiamo il dibattito sulle ordinanze stravaganti di taluni sindaci con questo intervento di riflessione più generale.

Se il nostro ordinamento fosse retto o ispirato dalle ordinanze di certi sindaci, il nostro Paese non sarebbe molto diverso da quello di Gheddafi. Non ci sarebbe la Festa del Lavoro, la più internazionale delle  ricorrenze laiche, quella che il Primo Maggio unisce i lavoratori di tutto il mondo. Non sarebbe possibile riunirsi in più di tre nelle panchine pubbliche, insomma scomparirebbe la libertà di riunione e di circolazione. Anzi, le panchine, secondo taluni sindaci, dovrebbero sparire tout court da molte piazze. E perché? Semplice. C’è la possibilità che in esse siedano in più di tre gli estracomunitari. E quel Sindaco che ha privato della mensa i figli degli indigenti in ritardo col pagamento della mensa scolastica? Anche Cofferati, indimenticato difensore dell’art.  18, da sindaco di Bologna, non ha resistito alla tentazione: sgomberi di disperati come nella Roma del fascista, non del tutto pentito,  Alemanno. Il competitore di Rienzi, allora assessore a Firenze, aveva ordinato uno stop ai lavavetro. Se n’è perso il nome, senza rimpianti. Cacciari è invece vivo e vegeto politicamente. Lui se l’era presa coi mendicanti.
Un  album degli orrori e dell’inciviltà, in contrasto coi principi fondamentali della nostra Costituzione che pongono la persona, la sua dignità e il lavoro a fondamento dell’ordinamento.
Se poi andiamo a vedere le ordinanze di protezione civile, estese a tutti gli eventi, gare ciclistiche e di bocce comprese, il vulnus è ancor più grave. Si mette da parte il principio di legalità, si  deroga alle procedure ordinarie e se ne vedono le finalità e i risultati: appalti ad amici e conoscenti, sperpero di risorse pubbliche, escort in cambio di commesse ed altre simili amenità. Pane per le inchieste delle procure e per le aule di giustizia. Una problematica, questa, all’attenzione dei giuspubblicisti più avvertiti nel tentativo di ristabilire il primato della legge e il principio di legalità, che è un pilaztro di uno Stato di diritto.
Ha ragione la nostra lettrice Serenella in un commento di giovedì, il potere d’ordinanza del sindaco è esercitabile solo in casi di necessità ed urgenza. Normalmente si ricorre a provvedimenti e regolamenti, che vengono adottati secondo le ordinarie procedure, con partecipazione e dialogo con i  cittadini interessati o con le parti sociali, sindacati e associazioni varie. Ma da cosa deriva questa libido d’autoritarismo? E’ anch’essa il prodotto di un sistema elettorale che sembra dare un’euforia autocratica a chi è scelto con elezione diretta.
E’ una deriva triste, se si pensa che nei comuni si è giocata una vicenda gloriosa della storia del Paese. E’ nei Comuni che a fine Ottocento sono nati gran parte degli istituti del Welfare e della democrazia. Regolamenti d’ornato e di pianificazione territoriale, edilizia popolare, pubblicizzazione dei servizi locali, a partire dalle tranvie, dalle aziende del latte, scuole e biblioteche popolari e perfino regolamenti di giustizia amministrativa. Lo Stato ha poi fatto propri tali istituti con legge (notissima quella sulle aziende municipali del 1903) talora peggiorando la disciplina locale.  Il “diritto comunale” - come fu chiamato - era volto a soddisfare esigenze fondamentali delle persone, sopratutto di quelle più deboli. E per questo molte amministrazzioni locali furono soggette agli strali dei prefetti, che spesso annullavano o non approvavano, in sede di controllo, quegli atti dei Comuni, provvedendo spesso allo scioglimento dei consigli comunali, di solito a maggioranza socialista o anche cattolica.
Pure in epoca più recente questa vivacità democratica dei Comuni ha avuto modo di manifestarsi, frutto di solito delle amministrazioni di sinistra più avanzate. Gli istituti di partecipazione a Bologna coi comitati du quartiere, su stimolo anche di Dossetti, consigliere comunale di opposizione. La riscoperta  dell’estate in città ad opera dell’indimenticato assessore Renato Nicolini dell’indimenticata giunta dell’indimenticato sindaco Petroselli. Ma anche il cattolico La Pira non scherzava. A  Firenze, in pompa magna, con la scorta dei vigili in moto, si recava nelle fabbriche occupate o salvava la casa per le famiglie bisognose o si recava in Vietnam a dialogare con Ho chi min, assediato dai soldati americani.
Perché allora non tornare a questa ispirazione? Perché dare ai Comuni un volto meno umano di quello dello Stato? I sostenitori di Rienzi vedono nel suo gesto sul Primo Maggio un atto di rinnovamento e coraggio contro la “conservatrice” CGIL. Dovrebbero però riflettere sul fatto che i suoi atti oggi non verrebbero posti in essere neppure da un sindaco finiano…il quale, poi, non andrebbe mai ad Arcore! C’è di che riflettere sopratutto quando questi atti provengono da amministratori del centrosinistra. Non vi pare?
 
  

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