Sardegna, sì al referendum (ma castra la casta?)

7 Maggio 2012
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Amsicora

Il vento dell’antipolitica ha soffiato almeno quanto quello che ieri ha investito la terra e il mare di Sardegna. Raggiunto il quorum del 33%. See - come è quasi sicuro - i sì prevarranno, verranno cancellate le quattro province regional e ridotte le indennità dei consiglieri. Alle 22, ora di chiusura delle urne, ha votato il 35,50 per cento degli aventi diritto cioè 525.651 sardi. Dieci i quesiti proposti, i più attesi quelli per l’abrogazione delle quattro Province di recente istituzione (2001), Carbonia Iglesias, Medio Campidano, Olbia Tempio e Ogliastra, e per tagliare le indennità dei consiglieri regionali. Gli altri cinque sono invece consultivi: si sondano gli elettori per abolire le altre quattro Province storiche (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano), portare da 80 a 50 il numero dei componenti del Parlamento sardo, cancellare i consigli di amministrazione degli enti regionali, istituire un’Assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto autonomistico, eleggere direttamente il presidente della Regione attraverso le primarie.
Domani inizia lo spoglio dall’esito scontato.
Nello slogan dei promotori, la chiave di una svolta auspicata: «Dieci referendum per cambiare la Sardegna» e certo qualcosa cambia. Aveva ragione l?unione delle province sarde a temere il voto e a ricorrere al Tar e alla magistratura civile nel vano tentativo d’impedire la consultazione. Chi invece ha cavalcato propagandisticamente i referendum è stato Ugo Cappellacci: appelli, spot in tv, comunicati giornalieri per dire ai sardi di andare a votare, avendo già espresso in precedenza che per lui le quattro nuove Province non hanno senso. La vittoria degli anticasta rischia così di favorire chi della casta è il massimo esponente: l’attuale presidente della Regione. Cappellacci della casta ha al massimo grado tutti i caratteri, anzitutto la sproporzione fra la rilevanza della carica e l’incapacità di esercitarne le funzioni efficacemente e dignitosamente. Certo che per lui qualsiasi indennità, anche se fosse di un solo euro, è troppo alta!

1 commento

  • 1 Marcello Madau
    7 Maggio 2012 - 10:03

    Ciao Andrea. Si può discutere su questo o quel referendum, sul fatto di abolire le provincie ‘in eccesso’, diminuire i consiglieri (io preferirei mantenerne il numero e diminuire gli stipendi), e altri ancora.
    Ma questa modalità di proporre dieci referendum tutti in una volta mi sembra una maniera inaccettabile e ‘consumistica’ di pensare la democrazia, che svilisce lo stesso istituto referendario, che umilia i tempi e i modi di un vero approfondimento.
    Una maniera formale, tutta politica, di intenderla, rivelatrice di chi li ha promossi. Non vi è nulla in comune con la pratica dei referendum sull’acqua e sul nucleare, vissuti dai movimenti e animati in una continua discussione, perché sinceri.
    Anche allora è mancata la comunicazione istituzionale, ma a differenza di oggi il coinvolgimento della gente e la conseguente esistenza di una vera informazione, di una vera discussione sono apparsi evidenti e reali.
    Mi sono astenuto, io che non amo certo l’astensionismo, da questa che mi è sembrata una parodia della democrazia speculare alla sua degenerazione, opera di attori che interpretano parti diverse.
    Se i soldi pubblici spesi per la consultazione serviranno almeno a far capire questo, non saranno spesi male.
    Ora il risultato dei referendum andrà valutato nel tempo. Mi auguro davvero che le forti preoccupazioni per i rischi, e l’apparenza di democrazia in queste misure che molti di noi vedono concretamente, motivato, si dimostrino infondate. Temo che la casta, che qualcuno anche sinceramente vedeva combattuta con questi referendum, grazie a questi risultati con la diminuzione dei consiglieri e non degli emolumenti, si rafforzerà. Speriamo che essi non preludano ad un nuovo, pesante centralismo ‘regionale’, del quale ci sono molte avvisaglie (nel settore del quale mi occupo, nella pericolosa proposta di una Fondazione unica per la gestione del patrimonio culturale della Sardegna).
    Dal mio punto di vista, la distanza della democrazia formale da quella sostanziale si allarga, e i luoghi delle pratiche e delle conquiste democratiche saranno altri.

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