Marcello Fois oggi a Cagliari con Miele Amaro

24 Maggio 2012
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Gianna Lai

Il Circolo dei lettori “Miele Amaro”, dopo “Respiro Corto” di Massimo Carlotto, presenta oggi “Nel tempo di mezzo” di Marcello Fois, pubblicato anch’esso per Einaudi nel 2012.
L’appuntamento con Marcello Fois, candidato al Premio Strega 2012, è per oggi
Giovedi 24 maggio ore 19:00 al Ghetto degli Ebrei via Santa Croce Cagliari. Partecipano, con l’autore, Francesco Abate e Paolo Maccioni.
Ecco una recensione del libro di Fois a cura di Gianna Lai.


‘Elementare come il disegno dell’imbuto, o dell’ape, nell’abecedario’. Per Vincenzo, l’esile legame tra la Sardegna e la guerra è la foto di Antonino, soldato di Lula disperso in Russia, forse nella ‘città santa’ di Stalingrado. E, nel viaggio da Gorizia a Nuoro, il passaggio esistenziale verso l’età matura, che non era potuto giungere a compimento durante gli anni trascorsi in orfanotrofio e in seminario. Si materializza la condizione di Vincenzo, solo di fronte all’impiegato della Capitaneria, che deve più volte ripetere le domande e richiamarlo alla realtà, il pensiero ancora rivolto al viaggio nel mare in tempesta, ai racconti di guerra dei profughi jugoslavi, agli odori e ai profumi che accompagnano la luce del mattino. E nel silenzio della collina di querce, attraversata da un povero rigagnolo dove lavarsi, c’è subito dopo la riconciliazione col corpo, una nuova ‘contezza di sè, della propria fisionomia’, fino a quel momento, imprecisa, vaga, nascosta. In una Sardegna spopolata e affamata, malarica, talora riarsa e desertica, talora battuta da piogge torrenziali, l’esplorazione di un futuro, quanto mai imprevedibile e aleatorio, fa riemergere in Vincenzo il passato, i momenti significativi della fanciullezza, le letture appassionanti nella biblioteca della scuola. E mezzo Tiresia e mezzo Mosè gli appare il vecchio cieco e scalzo, che incontra nel suo cammino, e che per primo gli indica la strada. E la salvezza, in un prete molto simile a quelli della sua infanzia, che lo accoglie e lo sfama, anche se non può alleviargli la fatica della vita ritrovata. Quella paura per il futuro incerto, che quasi gli impedisce di varcare il cancello della casa di Nuoro, e che non viene meno neppure quando si apre ai parenti, nel racconto della sua misera vita, e del suo lungo, difficile viaggio, è un altro pezzo del passato che si aggiunge alla nuova esistenza. In un ambiente tuttavia chiuso e arretrato, segnato da una sofferenza familiare incancellabile, dove Vincenzo è posto al centro dello scontro tra una zia passatista, possessiva e autoritaria, e un nonno decisamente aperto, più evoluto e comprensivo. Tutti e due man mano più definiti come personaggi, e caratterizzati, in particolare, nei numerosi dialoghi che li vedono sempre rigidamente contrapposti. Con una certa ansia segue il lettore questo andirivieni tra presente, passato e presente, che lo induce a fare previsioni, a sperare che l’autore si sveli, man mano che cambiamenti e trasformazioni ricollocano i personaggi nel nuovo ordine del mondo, e ne definiscono i destini. Bello il modo di descrivere la formazione e la crescita di Vincenzo, il suo inserimento nel tessuto del paese, anche se non viene meno l’inquietudine, i segni di un’infanzia ‘inespressa, o non del tutto espressa’. Perchè cresce col lavoro nell’ERLAAS, tra ‘ragazzi meravigliosi ed eroici’, una nuova maturità, e nuove amicizie, che aiutano a capire il mondo, e a combattere le avversità. E la malasorte, contro la quale bisogna mostrarsi all’altezza. E la solitudine, lui che ‘della solitudine sapeva proprio tutto’. Così la vita riprende, perchè nascono nuovi amori, straordinari e struggenti, nel racconto di Vincenzo al vecchio nonno Michele Angelo, che aprono a emozioni, a sentimenti affatto conosciuti prima, a un viso di donna bellissima che si chiama Cecilia. Ma può bastare per rendere vane memoria e sofferenza, per neutralizzare i dolori del passato che ritornano aggressivi? Ora la scrittura assume nei dialoghi un andamento più drammatico e, mantenendo tutta la sua ricchezza espressiva, la lingua cambia registro, diventa popolare, adotta la parlata regionale. Il dialogo si spezza, lascia spazio al ricordo che riemerge nel personaggio con rabbia, appesantito da toni recriminatori. E si ‘apre la cella per fare uscire le parole, fino ad allora chiuse in galera’, nell’urto violento tra Michele Angelo e Marianna. Originali e significativi i dialoghi finali, che si aprono a più voci, senza che i personaggi siano visibili al lettore. Fino a quando la narrazione riprende in prima persona, per ridare significato e unità agli ultimi drammatici avvenimenti, per rimettere ordine nel caos delle storie. In una prosa limpida e chiara, e sempre molto espressiva. I personaggi vivono perennemente dentro la dimensione del ricordo triste e lacerante, che si accompagna nella realtà quotidiana al sogno, poco discosto dalle visoni, dalle allucinazione. Fantasmi, ed ombre che non si collocano negli angoli appartati e segreti della casa, ma in primo piano, tra gli abitanti, perchè tutti ne possano prendano atto. Sentono il bisogno di dire la loro i morti, di annunciare ‘lo sguardo agghiacciante della sorte’, e predispongono gli eventi nella mente degli uomini che li ospitano. Forse per rendere più contradditorio e stridente agli occhi del lettore il confronto con la modernità dei tempi, dopo la fine della guerra e la nascita della Repubblica? E dei luoghi, dopo le devastazioni edilizie che distruggono la campagna, nel preteso passaggio dal paese alla città? ‘Era come trovarsi in un tempo sospeso a metà, nel tempo di mezzo’ dice l’autore, ‘non moderni, non antichi, ma sensibili, esposti al contagio’. Uno spirito pessimista aleggia nel romanzo, tra il realismo delle vicende narrate e la sofferenza irrisolta dei protagonisti. E se la Storia è sempre presente ad inquadrare eventi e personaggi, a caratterizzare rapporti e definire comportamenti, resta ancora protagonista più importante il paesaggio, che primeggia fin dalle prime pagine, per sottolineare la drammaticità del racconto, il disorientamento di Vincenzo in quell’autunno che non si decideva ad arrivare, dopo lo sbarco a Terranova, l’angoscia di Cecilia durante la lunga nevicata del ‘56. E le cavallette e le zanzare, come le piaghe bibliche. E Nuoro, la protagonista, con ‘la furia egoista, il livore diffuso’ del dopoguerra, e l’ipocrisia, e le voci maligne che schiacciano gli uomini, anche se cercano di resistere, e le donne, ‘educate a comandare solo a patto di essere schiave’.

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