La disoccupazione e i pannicelli caldi (alla Monti)

3 Giugno 2012
Nessun commento


Gianfranco Sabattini

Di recente, su “la Repubblica”, Paul Krugman scaglia un anatema contro quegli economisti che sostengono, secondo lui ossessivamente, che la crisi economica attuale è di natura strutturale. Al contrario, per il premio Nobel, i Paesi colpiti dalla crisi non starebbero patendo le difficoltà di una “transizione strutturale”, ma starebbero invece “soffrendo di una generale insufficienza di domanda…che potrebbe e dovrebbe essere curata rapidamente con programmi governativi mirati ad incoraggiare la spesa”.
Krugman sostiene che ritenere la crisi di natura strutturale offre una buona scusa “per non agire, per non fare nulla che possa alleviare la piaga della disoccupazione”. Per questa ragione, rifiuta la previsione degli “strutturalisti” secondo i quali l’uscita dal “tunnel” della crisi non ammetterebbe soluzioni rapide, ma solo soluzioni di lungo termine. Queste soluzioni per Krugman non possono, però, essere condivise in quanto comporterebbero sacrifici a carico dei lavoratori e dei meno abbienti.
A sostegno della sua critica, Krugman si appella a Keynes, ricordando che per il grande economista inglese il lungo termine è “una guida fuorviante” per i problemi correnti, in quanto nel lungo termine saremo tutti morti. Il continuo parlare di crisi e di disoccupazione strutturali, perciò, non consente di risolvere realmente i problemi, ma di evitarli e di lasciarli insoluti. Strana critica quella di Krugman; l’unico orpello al quale “si aggancia” per sostenerla è un’affermazione decontestualizzata di Keynes, mancando tra l’altro di considerare che se l’improponibilità delle soluzioni di lungo termine è da attribuirsi alla circostanza che al verificarsi dei loro effetti saremo tutti morti, la proposta di soluzioni di breve termine per la cura della crisi strutturale attuale ci vedrà tutti “suicidati”.
Alla fine degli anni Trenta, le idee keynesiane sono state uno strumento utile per combattere la disoccupazione congiunturale. Tuttavia, all’inizio degli anni Quaranta del secolo scorso, le implicazioni della critica keynesiana riguardo alla possibilità di una disoccupazione tecnologica più persistente di quella congiunturale erano ormai largamente accettate dagli economisti; e il dibattito sulla disoccupazione dei fattori produttivi, approfondito soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, è stato orientato a contrastare la disoccupazione tecnologica con la “messa a punto” di politiche di sostegno della domanda aggregata destinate a costituire il fondamento dell’allargamento dello Stato sociale.
La critica keynesiana alla operatività del libero mercato era, però, rivolta a sistemi produttivi ancora caratterizzati da scarsità e dall’esistenza di ulteriori margini di accumulazione, per cui il fenomeno della disoccupazione poteva essere considerato transitorio e congiunturale e non strutturale. Il superamento delle condizioni di scarsità dei sistemi economici e l’esaurirsi di ulteriori margini di accumulazione ha reso inoperanti le procedure keynesiane perché del tutto insufficienti a giustificare le riforme necessarie per rimuovere dalla stagnazione i sistemi economici.
Le nuove condizioni operative delle economie, infatti, hanno creato non disoccupazione congiunturale, frizionale o tecnologica dei fattori produttivi, ma disoccupazione strutturale irreversibile; per risolvere quest’ultimo tipo di disoccupazione occorre una riorganizzazione dello Stato sociale, fondata sull’idea che per “difendere” la forza lavoro non è più sufficiente intervenire con misure anticongiunturali in senso protettivo solo dopo che la disoccupazione si è verificata.
Secondo quest’idea, il salario protettivo può essere configurato solo come salario di cittadinanza prossimo alla dotazione di risorse necessarie per il perseguimento, da parte di ciascun cittadino, dell’obiettivo di una piena libertà dal bisogno. Un salario così inteso risulta associato ad un insieme condizioni necessarie per consentire a ciascun cittadino di possedere la capacità, da posizioni autonome, di poter offrire o meno sul mercato i servizi della propria forza lavoro.
Questo insieme di condizioni non potrà essere realizzato nel breve termine, in quanto le riforme istituzionali che si renderanno necessarie richiederanno tempi lunghi; questi non esenteranno dalla necessita che sia affrontata nel breve termine la transizione al nuovo “quadro istituzionale”, caratterizzato dalla riforma del welfare State e del mercato del lavoro. Le due prospettive temporali di azione politica, infatti, dovranno essere tra loro collegate, nel senso che, rispetto agli obiettivi strategici di lungo termine (lotta alla disoccupazione strutturale e rilancio della crescita del sistema economico), quelli tattici di breve periodo dovranno essere orientati a rendere possibile il loro perseguimento.

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento