Casini, Bersani, Vendola, Di Pietro: che fare?

27 Giugno 2012
2 Commenti


Amsicora

Voglio andare contro corrente e dico che la preoccupazione di SEL e IdV per la dichiarazione pro Bersani di Casini mi sembra priva di senso. Sarebbe stato meglio se Pierferdinando (che nome!) avesse fatto pace col Cavaliere e fosse tornato nel recinto del PdL? Sono convinti  Vendola e Di Pietro che con una virata a destra di quest’area moderata le cose andrebbero meglio per la sinistra e per il Paese?
In realtà, sulle scelte di Casini e sopratutto sull’atteggiamento verso di lui del centrosinistra si è giocata una buona parte della storia italiana recente. Ricordate quanto risicata fosse la maggioranza dell’ultimo governo Prodi, specie in Senato? Come il governo fosse in balia degli umori di personaggi secondari, di collocazione varia e incerta? Era evidente che il governo Prodi necessitava di un allargamento e di un rafforzamento parlamentare. Fu allora che Casini ruppe con Berlusconi, spaccando il fronte del centrodestra. Quale migliore occasione per ricollocarlo nel contesto del centrosinistra, risolvendo i seri problemi di tenuta parlamentare di Prodi? Non se ne fece niente. Non ci fu neanche un serio tentativo. Bertinotti, Ferrero, Di Pietro e tanti altri non presero neanche in considerazione la questione. Mai allearsi con un moderato dichiarato! Il resto della storia è noto. Prodi è caduto e Berlusconi è risalito a palazzo Chigi dando vita ad uno dei periodi più tristi e squallidi della vita del Paese. 
Si può analizzare quella fase senza pregiudizi? Se ne possono trarre insegnamenti per l’oggi? Bertinotti, Ferrero e Di Pietro avrebbero avuto ragione a chiudere la porta a Casini se fossimo stati in un periodo di espansione del  centrosinistra, di sua piena autosufficienza. Ma così non era. Ed erano in gioco questioni fondamentali, a partire dalla difesa della Costituzione contro gli attacchi ben evidenti del Cavaliere e di Bossi. Solo questo avrebbe giustificato un allargamento della maggioranza. Ma c’è dell’altro. Anche la difesa di un quadro ch’era frutto delle conquiste dei primi decenni di vita repubblicana non era questione secondaria. Berlusconi non ha mai nascosto di voler dare via libera alle tendenze liberiste meno temperate. A farla breve la questione centrale di allora non era tanto un impetuoso balzo in avanti in senso progressista, ma ergere una linea di sicurezza per le conquiste fatte, rimettere a posto il Paese anzitutto sul piano del ritorno alla Costituzione e gettare così le basi per una nuova fase della storia del Paese. Si trattava insomma di sancire la fuoriuscita dal berlusconismo e voltare pagina, per poi ridare vita ad una fisiologica alternanza fra forze di diversa ispirazione.
Non aver avuto la capacità di capirlo ci ha portato al degrado e all’attuale impasse, con un governo che non è espressione di una normale dialettica democratica. Bertinotti, Ferrero, Diliberto e compagni hanno avuto una severa sanzione per la loro insipienza. Dalla presidenza di Montecitorio  e dalle sedi dei ministeri sono stati dall’elettorato ridotti ai margini della politica nazionale. Hanno compiuto il miracolo di rendere la sinistra italiana  integralmente extraparlamentare e, per di più, per volontà popolare! Conseguenza, questa, del non aver saputo vedere al di là delle proprie fila, del non aver dato al Paese alcuna seria prospettiva.
Oggi la questione si ripropone. Qual’è la posta in gioco fondamentale? Un riordino anzitutto coostituzionale  del Paese o la prospettiva di una travolgente prospettiva pogressista? La rimessa in ordine dell’economia reintroducendo elementi di equità o il ribaltamento delle gerarchie sociali? La risposta a queste domande è pregiudiziale per definire una politica credibile. Se si ritiene che ci sano le condizioni per un impetuoso balzo in avanti della sinistra, si può snobbare Casini. Se invece, la questione fondamentale è quella di avviare una fase di fuoriuscita dal berlusconismo e dallo stato di eccezione (anche costituzionale) in cui ci troviamo, allora allargare le alleanze al centro è  essenziale. Ci sono momenti in cui è saggio e necessario fare un passo indietro per prepararsi poi a farne due in avanti. Sono quei momenti in cui pensare di fare un passo in avanti senza aver creato prima un solido piano d’appoggio può portare a romperci l’osso del collo. Come è avvenuto con la caduta del governo Prodi. Meditate gente…  

2 commenti

  • 1 Pasquale Alfano
    28 Giugno 2012 - 19:01

    Caro Andrea hai fatto una buona analisi che condivido. Hai ragione a volte conviene fare un passo indietro per farne poi due avanti. Oggi l’Italia ha bisogno di un periodo che faccia ritornare una normalita’ costituzionale che il berlusconismo ha messo in grave difficolta’.

  • 2 Nicola Sanna
    30 Giugno 2012 - 01:17

    La smettiamo di definire “moderati” i clericali integralisti più intolleranti? Quelli che hanno appoggiato le più eversive imprese del puttaniere filomafioso? Portarli nel centrosinistra o sedicente tale sarebbe non evitare “uno spostamento a destra dei moderati”, ma provocarlo semmai anche in quella che doveva essere la sinistra e di riflesso in tutto l’asse politico. Significa validare le tesi della destra, sposarle per un calcolo sbagliato e rifiutare di offrire un’alternativa vera, che è quello che gli elettori vorrebbero. Il Pd vuole continuare a perdere i voti dei tanti che si nauseerebbero di fronte all’inciucio e all’imbarcare i più inaffidabili e ipocriti voltagabbana?

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