Francesco, puoi tornare su invidia e indignazione?

27 Gennaio 2013
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Francesco Cocco a domanda risponde

Nei giorni scorsi Francesco Cocco, in risposta ad alcuni frequenti riferimenti di Berlusconi all’invidia dei ceti subalterni verso i ricchi, ha trattato su questo blog del rapporto tra invidia, indignazione e lotta. Gli abbiamo chiesto di tornare sull’argomento…

- Caro Francesco, alcuni amici hanno avanzato delle osservazioni sulla tua riflessione sul rapporto invidia e lotta di classe. Non hanno capito bene…
- Credo che la ragione dell’incomprensione vada  ricercata nella estrema sintesi dell’argomentazione, a scusante della quale posso invocare la necessità di non oltrepassare la 40/50 righe, se si va oltre la riflessione diventa pesante e non si fa leggere…

- Ho invitato questi amici  ad intervenire sul blog ma  inutilmente…sai, preferiscono il telefono o il dialogo diretto all’impersonalità del computer…
- Comunque  i loro richiami mi paiono positivi perché evidentemente  Democrazia Oggi ha un numero di lettori che non si evidenzia scorrendo gli interventi. Così penso che l’animatore di questo strumento di confronto  possa ritenersi appagato della sua fatica perché gli interventi sono piccole  tessere  che contribuiscono al  grande affresco a sostegno della democrazia.

- Grazie, tenere il blog è un modo per continuare oggi quell’impegno democratico in altri tempi svolto con l’azione diretta nella battaglia politica. Ma, tornando al nostro tema, puoi chiarire i punti che possono essere risultati  fonte di equivoci?
- Con piacere, anche perché il tema è culturalmente e politicamente rilevante…

- Anzitutto cos’è l’invidia?

- L’invidia è un grave difetto, é un peccato che immiserisce l’animo umano e non è in alcun modo da confondere con l’indignazione. Quest’ultima, a partire  dall’ opera  “Indignatevi” di Stephane Hessel, da due anni in qua ha prodotto anche in Italia una copiosa letteratura democratica.

- Che rapporto vedi fra invidia e indignazione?

- Più siamo invidiosi meno siamo indignati. L’invidia impedisce di veder chiaro, ottenebra la mente ed in ultima istanza impedisce la doverosa virtù dell’ indignazione.

- Virtù? L’indignazione è una virtù?
- Sì, è un sentimento di giustizia da cui solo nasce una vera volontà di lotta. A tal proposito mi sono piaciute la parole di Vendola quando, in una recente intervista, ha dichiarato che nel  suo animo  non alberga l’invidia.

- Quindi, secondo te, avere una chiara visione della strutturazione della società in classi è la prima condizione per sviluppare una strategia di lotta…

- Certo se si dà un’interpretazione “plebea” (uso una categoria gramsciana) alla struttura in classi della società (all’incapacità, cioè, dei lavoratori di porsi come classe generale e quindi con orizzonti universali) è difficile individuare una chiara strategia.

- Ti riferisci all’oggi?

- Certamente, in fondo è quanto nell’ultimo quarto di secolo hanno fatto coloro che si proclamano (molto rinnegando) eredi della storia del movimento operaio. Ad una concezione classista è stata sostituita una  visione di stampo esclusivamente sociologico.

- Ciò  in sé non è necessariamente un male  perché le classi si evolvono e mutano i loro caratteri…

- Sicuramente non possiamo oggi parlare di classi come si analizzavano al tempo dei padroni delle ferriere. L’importante è non  dimenticare che la distinzione resta  tra i proprietari degli strumenti di produzione (siano capitali industriali o finanziari) e  chi si trova in contrapposizione: dall’altra parte, cioè, dei detentori degli stessi strumenti di produzione.

- Con quali conseguenze?

- Smarrire questa distinzione è come perdere la bussola per orientarsi nella lotta…

- L’invidia che c’entra?

- C’entra, eccome! Smarrire la distinzione significa anche precipitare verso visioni sociologiche dove le classi subalterne sono spinte a coltivare il vizio  dell’invidia che finisce per negare la virtù dell’indignazione.

- L’invidia, quindi, è il portato di un altro vizio la perdita della coscienza di classe…

- Proprio così, un vizio che nasce da una erronea visione della realtà, e - ciò che è peggio - rende subalterni, allontana la lotta consapevole ed efficace.

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