Forte “Il malato immaginario” di Arthemalle & C.

27 Gennaio 2013
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Gianna Lai

Nei giorni scorsi, all’ex Liceo Artistico, la Compagnia del Teatro Impossibile, diretta ada Elio Arthemalle, ha rappresentato l’opera di Molière, Il malato immaginario. Ecco le impressioni di Gianna Lai.

 Parla a voce alta della sua malattia e dei suoi disturbi, e fa la lista dei farmaci, purghe, lassativi e clisteri, che liberano il ventre e ’scaricano e svuotano le viscere’ degli uomini. Con violenza scuote il campanello per chiamare Antonia, e si lagna e impreca e strepita e grida che vogliono lasciarlo morire. Al centro della scena, indispettito, il malato immaginario tiene tutti in pugno, e diffonde e sprigiona una tale malevolenza e ostilità, che solo la moglie fedifraga e il medico-stregone sono in grado di placare. Come se l’imperativo fondamentale del vivere quotidiano fosse saper affrontare la malattia per tenere lontana la morte. Il mondo esterno, a sua volta, è facilmente tenuto sotto controllo attraverso un grande schermo, dove si stagliano la Piazzetta Dettori, i passanti infreddoliti, gli avventori di un piccolo bar. E anche al pubblico in Sala sembra che il tempo si fermi intorno ad Argan, così arido e insensibile alla vita e ai sentimenti, oppresso sempre da strani dolori e disturbi in ogni parte del corpo, in una parola, dalla paura della malattia. Sulla scena, a rappresentarlo, l’attore protagonista Elio Arthemalle, con la forza di una comicità che dà nuovo spessore al personaggio, sopratutto quando appare più evidente il vuoto e la solitudine che lo circondano e che lo renderanno, alla fine, malato reale. Il sapiente dosaggio di comicità e ironia umanizza anche quel continuo ripiegarsi su se stesso, il suo allontanamento dal mondo, quasi a volercelo far sentire meno ostile l’ipocondriaco, più ordinario e complicato insieme, più uomo del nostro tempo. E si materializzano i personaggi nello schermo della contemporaneità, perchè il palco non c’è, ma lo spazio scenico lascia ancor meglio immaginare l’interno di una casa borghese, dove gli adulti agiscono, sembra, infischiandosene completamente degli altri. Anzi, cercando ciascuno di trarre profitto dalle insulse regole sociali su cui si fonda la famiglia, chi vuol sempre comandare, chi fa finta di ubbidire, chi di amare. Fino a quando il rinsavimento generale innescato dalla prudente Antonia, dal prudente fratello, dalla ribellione di Angelica, non consente lo scioglimento del grumo che avviluppa tutti quanti, a teatro come, forse, nella vita di tutti i giorni.Potendo spingere lo sguardo dietro i due schermi, in quella sorta di Quinte attrezzate dentro la Scena stessa, il pubblico assiste direttamente all’alternarsi dei personaggi. Al divertente passaggio degli altri due attori da un ruolo all’altro, attraverso il semplice vestire abiti diversi, diverse parrucche e occhiali e rossetto, prima di apparire sullo schermo, che è il luogo della rappresentazione. Talchè ci appare grottesco il fratello con quelle labbra ancora imbellettate, residuo del trucco del precedente personaggio, forse adatte a sdrammatizzare il suo ruolo di mentore, che dà una svolta definitiva  alla storia.  Comico e divertente il gioco dell’identificazione del personaggio femminile interpretato dall’attore, e di quello maschile interpretato dall’attrice: trasformisti di talento, Valentina Fadda e Felice Colucci, ai quali basta  indossare una parrucca bionda, un velo da sposa, la crestina della serva, gli occhiali e il cappello, per rappresentare nuove situazioni,  e assumere sempre nuovi atteggiamenti, nuove personalità. E lo schermo ne mette in risalto l’espressività dei volti, la luce e l’intensità degli sguardi, sia quando tengono bordone al personaggio principale, che controlla lo spazio intorno senza lasciarsi  sfuggire niente di quello che  avviene dietro di lui. Sia quando vi si contrappongono, suscitandone ira e risentimento.   Imprevedibile nella messa in scena e nell’intreccio dell’azione,  efficace nel testo e nella  costruzione, così scarna ed essenziale, degli ambienti,  lo spettacolo di Elio ci porta direttamente dentro la  commedia, in quel mondo vero di attori che  narrano storie e le interpretano  nelle forme sentimentali, ironiche,  drammatiche, sarcastiche, secondo le scelte della regia. ‘Senza porsi minimamente il problema della verosimiglianza’, si legge nella locandina che annuncia lo spettacolo,  senza pretesa alcuna di esprimere giudizi sul comportamento degli uomini. Dove  gli spettatori non spengono i telefoni, perchè il malato risponde e commenta i messaggi, fotografando il pubblico e fissandolo in quello schermo che è il luogo della rappresentazione.
 E si può dire allora, per concludere, che  ben altra attenzione meriterebbe in termini di spazi e di interventi della politica comunale questo teatro, per indurre la  città a  comprenderne  la funzione culturale, che non è privilegio di pochi, ma crescita di mestieri nuovi,  di nuove professioni, e di un pubblico più consapevole. Diceva bene Tiziana di ‘Lucido Sottile’, salutando gli spettatori all’ingresso della Sala dell’Ex Liceo Artistico,  che il sacrificio imposto dalla mancanza di spazi adeguati rende più difficile, in generale, la vita dell’attore. Che sia davvero la fatica ad acuire l’ingegno, e a dar luogo a un così significativo lavoro della Compagnia  del ‘Teatro impossibile’ su un  testo classico europeo, quale ancora  oggi resta ‘ Il Malato immaginario’ di Molière?  
 

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