Pierluigi, ci vuole una magia!

25 Marzo 2013
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Carlo  Dore jr.

 Pierluigi Bersani percorre in solitudine la discesa che, dal Quirinale, si dipana verso l’ingresso della Camera dei Deputati: in solitudine, con la consapevolezza che solo una magia potrà favorire l’ascesa dei progressisti al governo di un Paese attanagliato dall’autoritarismo egocratico di Berlusconi e dal populismo reazionario di Grillo; in solitudine, affidando le speranze di cambiamento di un popolo intero alla luce che muore tra i tetti di Roma; in solitudine, con le mille fazioni di un partito mai unito pronte a rivendicare lo scalpo di un segretario troppo “a sinistra” per farsi amare dai cantori del nuovo che avanza; in solitudine, come chi combatte da anni con l’ingrata (e forse ingenerosa) etichetta di “mago a metà”.
 Pierluigi, mago a metà: abile ad intuire per primo i rischi insiti nella strategia veltroniana del partito liquido, ma non abbastanza deciso nel contrastare la corsa dell’ex sindaco di Roma alla guida del partito; determinante per porre fine all’ultima epopea berlusconiana, ma poco risoluto nell’orientare la gelida azione dei tecnici di governo; risoluto nel neutralizzare l’intifada dei rottamatori, ma poco incisivo nel momento di sovrapporre la serietà della sua proposta politica ai latrati del duetto tra comici. La magia inizia, ma pare spezzarsi sul più bello: serietà e competenza non sembrano argomenti paganti nell’epoca della politica-spettacolo, e Pierluigi si ritrova da solo, a fare i conti con la maledizione del mago a metà.
 Mentre completa il percorso tra il Quirinale e Montecitorio, Bersani inizia ad esplorare le macerie di un sistema politico prossimo al collasso: Renzi affila le armi, in attesa di un’altra rottamazione annunciata; Grillo scaglia l’ennesimo anatema via web, scatenando gli istinti bellicosi dei suoi sempre meno convinti adepti; Berlusconi risfodera la maschera dello statista per proporre un altro patto scellerato, manifestando la disponibilità a barattare un pugno di voti con un salvacondotto in grado di paralizzare definitivamente l’azione delle Procure. Il mago a metà scuote la testa, indifferente ai malumori della sempre più nutrita pattuglia di dissidenti: le istituzioni non sono un mercato delle vacche, con il PDL non possiamo trattare.
 Ma i numeri continuano a palesare la cruda realtà dei fatti: sulla carta, la maggioranza proprio non c’è, per governare serve una magia. Bersani lancia un’altra occhiata verso il cielo di Roma: la luce non è ancora scomparsa del tutto, un filo di speranza è ancora intatto. Bisogna tentare, vale la pena di tentare: lo chiedono i militanti presentatisi in massa alle primarie per rivendicare l’orgoglio che deriva dall’appartenenza ad una storia collettiva; lo chiedono i milioni di cittadini che, sostenendo il Partito democratico, hanno dimostrato di credere che il modello di “Italia giusta” declinato durante la campagna elettorale coincidesse con la prospettiva di un’Italia migliore; lo chiede un Paese costretto a vivere da anni sul baratro di una crisi senza ritorno, pericolosamente sospeso tra la prospettiva di una svolta democratica e quella, assai più inquietante, di una deriva autoritaria.
 E allora, avanti con gli otto punti: avanti con un programma  ispirato ai valori della legalità, della moralità e della giustizia sociale, avanti con il tentativo di coinvolgere le coscienze libere presenti tra gli scranni di Palazzo Madama in un progetto di cambiamento non più derubricabile a mero libro dei sogni. Coinvolgere le coscienze libere in un effettivo progetto di cambiamento: sarebbe una magia. Tocca Pierluigi, mago a metà.

(articolo pubblicato su cagliari.globalist.it).
 

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