Rieccoli i “cani da guardia” dell’austerità!

29 Ottobre 2013
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Gianfranco Sabattini

Sul “Corriere” di domenica 6 ottobre, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, alla vigilia della presentazione all’Unione Europea ed al Parlamento italiano della legge di stabilità, intervengono per suggerire ad Enrico Letta di avere coraggio e di non essere democristiano nelle sue determinazioni. I due non cessano di stupire per la loro pervicace propensione a proporre misure di politica economica che hanno l’effetto solo di tenere il Paese sotto il tallone dell’austerità; e tale propensione intendono manifestarla nei confronti dell’attuale governo, dopo averla fatta valere nei confronti del governo-Monti, con i risultati che tutti conoscono, per i “solchi” profondi che hanno lasciato, e che ancora permangono, sulla pelle degli italiani.
Alesina e Giavazzi, così come all’inizio del governo-Monti, “suggeriscono”, con un articolo di fondo sullo stesso “Corriere”, che la politica economica per il risanamento dei conti pubblici debba evitare di tassare il capitale e la ricchezza accumulata perché i mercati non la tollererebbero; ciò in quanto i mercati sono più propensi a giustificare la tassazione del reddito corrente, piuttosto che la ricchezza accumulata. Ora, senza valutare gli esiti prodotti dallo loro ricetta proposta ed accolta allora, non esitano a riproporla nella speranza che anche il governo-Letta l’adotti.
Cosa propongono i due “crociati dell’austerità”? Nulla di nuovo rispetto al passato; essi, infatti, per rilanciare l’economia suggeriscono che siano introdotti incentivi alle imprese, in modo che con l’approvazione della legge di stabilità sia salvaguardato il precario equilibrio “tra le attese dei partiti e la rigidità dei vincoli di bilancio”. A sostegno del loro consiglio, Alesina e Giavazzi ritengono sia utile tener conto del fatto che, nel momento attuale, l’economia italiana presenta due facce, nel senso che, per quanto il quadro complessivo si conservi problematico, non mancano i “segni di fiducia e le aree di forza”. Ci sono infatti due Italie; una fatta di imprese produttive e competitive che esportano e un’altra costituita da imprese inefficienti che operano solo nel mercato interno e che sopravvivono perché protette. Perché il Paese ricominci a crescere, perciò, basterebbe spostare e riorganizzare, affermano Alesina e Giavazzi, le risorse, in modo da allargare lo spazio occupato dalla prima delle Italie e, a tal fine, sarebbe indispensabile rimuovere le rigidità del mercato del lavoro.
La Cassa integrazione, per i due paladini dell’austerità, è un ostacolo allo spostamento ed alla riorganizzazione delle risorse ed anche alla riforma del mercato del lavoro, perché la sua conservazione non incentiva i disoccupati a cercare lavoro presso imprese più efficienti e dinamiche. Occorre, perciò, sostituirla “con sussidi alla disoccupazione basati su incentivi a cercare attivamente lavoro”; bisogna inoltre ridurre le tasse sul lavoro, ora tanto alte da ostacolare le imprese nel fare il salto di qualità verso una maggiore capacità competitiva. Questa strategia sarebbe attuabile se si riuscisse ad ottenere dall’Unione Europea la possibilità di fruire dei vantaggi connessi a “qualche anno di flessibilità sui vincoli fiscali” per facilitare, sia le riforme del mercato del lavoro, che “le riduzioni graduali di spesa che le devono accompagnare”.
Vien fatto di osservare immediatamente che la ricetta di Alesina e Giavazzi non troverebbe certo delle difficoltà ad essere accolta dall’Unione Europea, considerato che la Germania, il Paese che la sta egemonizzando, da tempo “capisce solo quella musica”. Meraviglia, però, che gli stessi Alesina e Giavazzi, anziché orientare i loro consigli in senso tradizionale, non si aprano alla necessità di suggerire riforme ben più profonde di quelle da loro proposte e, forse più credibili a livello europeo; riforme cioè che prevedano l’introduzione graduale in Italia di un reddito di cittadinanza, come Monti, nella sua “Agenda” elettorale per il risanamento dell’economia italiana, proponeva; sarebbe un provvedimento quest’ultimo che concorrerebbe a rendere più flessibile il mercato del lavoro, riordinando la Cassa integrazione senza continuare a comprimere la domanda interna.

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