La Consulta disattesa

26 Gennaio 2014
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Massimo Villone

Sulla proposta di legge elettorale Berlusconi-Renzi, pubblichiamo le osservazioni, pubblicate in un editoriale de Il Manifesto del 20.1.2014, di un autorevole costituzionalista, già presidente della Commissione affari costituzionale del Senato.

Fu vera e pro­fonda sin­to­nia tra Renzi e Ber­lu­sconi? Vor­remmo dubi­tarne, anche se la pro­po­sta appro­vata dalla dire­zione del Pd ha subito avuto il «sin­cero e pieno apprez­za­mento» di Ber­lu­sconi. Ma poco importa. Conta invece capire se la pro­po­sta è com­pa­ti­bile con la Costituzione.

Dob­biamo anzi­tutto con­si­de­rare che con la sen­tenza 1/2014 la Corte costi­tu­zio­nale ha tra­sfor­mato il tema elet­to­rale da que­stione sostan­zial­mente rimessa alla deci­sione legi­sla­tiva e delle forze poli­ti­che in una que­stione di diritti fon­da­men­tali giu­sti­zia­bili davanti alla stessa Corte.
Quei diritti — in spe­cie gli artt. 48, 49, 51 — qua­li­fi­cano la Repub­blica come demo­cra­tica, e assi­cu­rano la rap­pre­sen­ta­ti­vità delle sue isti­tu­zioni. Dopo la sen­tenza, l’intervento del legi­sla­tore deve tro­vare giu­sti­fi­ca­zione in un obiet­tivo costi­tu­zio­nal­mente accet­ta­bile (prin­ci­pio di neces­sità) e rag­giun­gere l’obiettivo con il minimo di non arbi­tra­rio sacri­fi­cio (prin­ci­pio di ragio­ne­vo­lezza e pro­por­zio­na­lità). In ogni caso, senza ledere il nucleo pre­scrit­tivo incom­pri­mi­bile del diritto stesso. Non bastano più a soste­nere una pro­po­sta i man­tra del bipo­la­ri­smo e della governabilità.
Veniamo alla pro­po­sta: tre soglie di accesso al 5, 8 e 12%; pre­mio di mag­gio­ranza del 18% con soglia del 35%, e fino a con­cor­renza del 55% dei seggi; dop­pio turno per il pre­mio se nes­suno rag­giunge il 35% dei voti; mini­col­legi e liste bloc­cate brevi, con pri­ma­rie per la scelta dei can­di­dati. Si direbbe un sistema a metà strada tra il Por­cel­lum e il sin­daco d’Italia, con soglie per l’accesso e per il pre­mio accor­ta­mente costruite sui son­daggi secondo le con­ve­nienze dei due par­titi maggiori.
Due le domande: se la pro­po­sta è costi­tu­zio­nal­mente com­pa­ti­bile, e se fun­ziona. Sul primo punto il dub­bio di inco­sti­tu­zio­na­lità è forte. Il mix tra alti sbar­ra­menti, forte pre­mio di mag­gio­ranza e dop­pio turno rende l’accesso alle isti­tu­zioni rap­pre­sen­ta­tive un per­corso minato per tutti, salvo i due mag­giori par­titi desti­nati a con­fron­tarsi nell’eventuale bal­lot­tag­gio. E non sem­bra un obiet­tivo costi­tu­zio­nal­mente accet­ta­bile che una legge elet­to­rale sia volta a favo­rire deci­si­va­mente que­sto o quel par­tito, con­du­cendo alla ste­ri­liz­za­zione di con­sensi rice­vuti da altri par­titi. Né sem­bra neces­sa­ria, ragio­ne­vole e pro­por­zio­nata la com­pres­sione dei diritti — pur sem­pre diritti fon­da­men­tali della per­sona — in fun­zione dell’interesse dei par­titi mag­giori. Una soglia di sbar­ra­mento volta a ridurre la fram­men­ta­zione non è di per sé costi­tu­zio­nal­mente pre­clusa. Ma altra cosa è inse­rire una soglia molto alta in un mec­ca­ni­smo volto a con­cen­trare la com­pe­ti­zione poli­tica tra due sole forze di grandi dimen­sione. Per di più pren­dendo, con­clu­si­va­mente, chi ha il 35% dei voti per dar­gli con ope­ra­zione pura­mente arit­me­tica il 53% dei seggi, con il paral­lelo effetto di divi­dere il 47% dei seggi tra chi ha col­let­ti­va­mente con­se­guito il 65% dei voti. La distor­sione della rap­pre­sen­tanza è forte, certa e predeterminata.
Anche sulle liste bloc­cate brevi pesa l’ombra della inco­sti­tu­zio­na­lità. Comun­que sot­trag­gono — som­man­dosi — l’intera rap­pre­sen­tanza poli­tica alla scelta dell’elettore. Che inol­tre, non volendo soste­nere una pre­senza sgra­dita tra i com­po­nenti di una lista, deve cam­biare il voto, o non votare affatto. Effetti nega­tivi per niente cor­retti dalla pre­vi­sione di pri­ma­rie. Non essen­doci iden­tità di pla­tea tra votanti nelle pri­ma­rie ed elet­tori, il pro­blema della pre­clu­sione di ogni scelta per l’elettore rimane tal quale.
Ma, almeno, fun­ziona? Pro­ba­bil­mente no. L’esperienza del dop­pio turno per i sin­daci ha evi­den­ziato come il pre­mio di mag­gio­ranza esalti la fram­men­ta­zione e spinga ad anti­ci­pare già al primo turno la for­ma­zione di coa­li­zioni. Le schede elet­to­rali sem­brano len­zuoli. Gli effetti nega­tivi riman­gono, incluso in spe­cie il ricatto dei par­ti­tini. Men­tre la distor­sione sulla rap­pre­sen­ta­ti­vità dei con­si­gli comu­nali può essere fortissima.
Sono da tempo con­vinto che la vera rispo­sta è abban­do­nare l’opzione di un sistema elet­to­rale che con­ceda deci­sivi e arti­fi­ciosi van­taggi a que­sto o quel par­tito. Ripri­sti­nare una rap­pre­sen­tanza che in prin­ci­pio rico­no­sca a cia­scun sog­getto poli­tico una pre­senza nelle isti­tu­zioni com­mi­su­rata al con­senso. E dare voce, non negare la parola, soprat­tutto quando la poli­tica è chia­mata a scelte dif­fi­cili e dolo­rose, come oggi accade in tempi di grave crisi. La gover­na­bi­lità è un bene impor­tante, che va però rife­rito non solo alle isti­tu­zioni, quanto al paese.
Renzi ha anche offerto un con­ten­tino a Letta, con una riforma del senato che può dare al governo l’agognato anno di vita. Pec­cato che sia una pro­po­sta pes­sima. Un senato non elet­tivo: che dif­fe­renza c’è con una camera di nomi­nati? Meglio chiu­derlo. O, forse, meglio aprire le teste a qual­che pen­siero vera­mente inno­va­tivo. Que­sta sì che sarebbe una riforma.

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