Italicum: l’estasi di Berlusconi

8 Febbraio 2014
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Carlo Dore jr.

 

L’immagine che Silvio Berlusconi ha offerto di sé stesso alla platea di attempati fedelissimi accorsi lo scorso sabato ad acclamarlo alla fiera di Cagliari non rispondeva in alcun modo a quella del leader sfibrato da disavventure personali e rovesci giudiziari tratteggiata dai media di tutto il mondo all’indomani della sua decadenza dallo scranno di senatore.
Mentre Cappellacci era costretto a recitare ancora una volta il ruolo di semplice comprimario dinanzi al consueto florilegio di battute da caserma e barzellette di dubbio gusto che da sempre scandisce la diffusione del verbo berlusconiano, il fu Cavaliere poteva rinnovare il rito autocelebrativo del ritrovato ruolo di “padre della patria”: la riforma elettorale gli ha restituito la centralità perduta tra cene eleganti e fondi neri, il dialogo con Renzi ne ha ribadito la condizione di azionista di maggioranza della politica italiana. L’Italicum è l’arma con cui ridurre al silenzio moralisti e pubblici ministeri; l’Italicum è la formula per riconquistare (seppure per interposta persona) il piano nobile di Palazzo Chigi e per assicurarsi, eventualmente, un Capo dello Stato in stato di grazia.

L’Italicum: l’estasi di Berlusconi.

In maniche di camicia sul palco del Nazareno, Renzi gonfia il petto a beneficio di supporter della prima ora e di novizi folgorati sulla via della Leopolda: la rottamazione ha funzionato, Matteo è riuscito ad ottenere in due mesi quei risultati a cui i suoi predecessori avevano aspirato per quasi un quarto di secolo. Modi da caudillo, toni da zingarata: lontano dagli schemi del politically correct, Matteo somiglia tanto al vecchio Caimano.  

Le graziose vestali della nuova segreteria suggellano con un sorriso i punti centrali dell’ennesimo patto scellerato: rimane il proporzionale con premio di maggioranza; rimangono le liste bloccate, per rendere la selezione delle candidature appannaggio esclusivo dell’Uomo solo al comando; compare la soglia di sbarramento sulla strada dei piccoli partiti; la disposizione sui partiti territoriali assicura la sopravvivenza a quel che resta della Lega Nord.

Dal Porcellum all’Italicum: la grande riforma è tutta qui.  I più attenti commentatori non risparmiano giudizi al veleno: questo accordo suona come una resa incondizionata, la leadership di Renzi rischia di esaurirsi nella retorica del “furbo-stolto”, l’Italicum è l’estasi di Berlusconi. Protestano i giuristi democratici, lamentando la sostanziale elusione delle indicazioni fornite dalla Consulta nella sentenza demolitrice del congegno di ingegneria giuridica partorito dai saggi di Calderoli; protesta l’opposizione interna al PD, estrema ridotta di un progressismo costituzionale incompatibile con la logica della “proposta che non si può rifiutare”. Matteo fa spallucce e tira dritto, tra un “Fassina chi?” e uno sberleffo a Cuperlo: le primarie vengono concepite come una sorta di delega in bianco, la grande riforma è la prima fiche da giocare sul tavolo di quelle scadenze elettorali attese, forse con un eccesso di ottimismo, come l’ennesimo successo annunciato.

Il resto è fredda cronaca: da Alfano a Casini, da Maroni a Fitto, l’intero centro-destra si ricompatta attorno al suo vecchio leader, risorto dalle ceneri dei servizi sociali con tanto di stimmate da padre costituente; mentre il PD, smarrito ogni alleato nelle strettoie dell’Italicum, potrebbe ritrovarsi prigioniero di quella stessa “vocazione maggioritaria” che, ispirando il progetto veltroniano del “partito gazebo”, fu la principale causa della più rovinosa sconfitta mai subìta dalla sinistra italiana.

Cinque anni dopo, la storia sembra ripetersi: anche allora il fu Cavaliere imperversava sul palco della Fiera di Cagliari, imponendo a Cappellacci di lasciare mestamente campo libero alla sua girandola di invettive, promesse mancate, menzogne prodotte in serie; anche allora il “dialogo sulle riforme” gli aveva permesso di trasformare il predellino della Brambilla nel trono di Palazzo Chigi. Ora come allora, l’eterno ritorno dell’uguale: come nel peggiore film di seconda visione, tra liste bloccate, premi di maggioranzee norma salva-Lega, l’Italicum rischia infatti di produrre un solo vincitore. L’Italicum: l’estasi di Berlusconi.

(cagliari.globalist.it)

 

 

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