L’Italia nella prima guerra mondiale

12 Agosto 2014
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Piero Pieri

Dal volume

L’Italia nella prima guerra mondiale, Einaudi, 1965

Il piano del generale Cadorna
Si potrebbe invero dubitare che il Cadorna sarebbe avanzato a cuor leggero oltre la linea Villach-Lubiana; comunque il suo piano non ebbe neppure un principio d’attuazione. Egli aveva 35 divisioni contro 14 austriache e una tedesca (l’Alpenkorp), ma, come sappiamo, l’esercito italiano il 24 maggio non era affatto pronto: pur con sei classi già mobilitate e la radunata già iniziata il 1°aprile, accorsero poi dal 4 maggio al 16 giugno ben 43 giorni (al posto del mese previsto con calcolo già largo) perché l’esercito fosse pronto! Il piano del Cadorna contemplava l’irruzione dell’esercito italiano oltre l’Isonzo, a un di presso sulla linea Villach-Lubiana, partendo dalla sinistra, rappresentata dal grosso della 4″ armata e dalla «Zona Carnia ». La 4a armata avrebbe dovuto portarsi col grosso a Dobbiaco e a San Candido (Innichen); e con un’aliquota a Brunico: questa avrebbe dovuto proseguire lungo la Rienza fino a Franzenfeste (Fortezza), recidendo alla base il saliente trentino - alto atesino. Il grosso invece sarebbe sceso lungo la Drava e il Gail, suo affluente, verso Villach, per dare la mano al corpo rinforzato della Carnia, il quale doveva aprirsi la via direttamente su Tarvis (Tarvisio), per le due strade della Val Fella e dell’alto Isonzo. La 2″ armata avrebbe intanto occupato Caporetto, il Kolovrat e il Korada, mentre la 3″ armata avrebbe dovuto raggiungere l’Isonzo fra Gradisca e Montefalcone.
Insomma, la marcia su Lubiana avrebbe dovuto essere preceduta e assicurata da un’ampia manovra di tipo napoleonico sulla sinistra, che garantisse il possesso di Tarvis e di Villach: e la 4a armata, già nel periodo della radunata doveva dare inizio alla grande operazione, superando gli antistanti sbarramenti austriaci di Alto Cordevole - Valparola, Landro - Platzwiese - Son Pauses, e di Sexten, e dando alla sua azione «spiccato carattere di vigore », mentre alla Zona Carnia eran prescritte, per il periodo della radunata, le semplici operazioni preliminari d’investimento delle fortificazioni di Malborghetto da un lato, di Raibl e del Predil dall’altro; e nessuna operazione del genere spettava alle due armate dell’Isonzo. Quanto alla la armata, essa aveva un compito strategicamente difensivo dallo Stelvio all’incirca al passo di Rolle, in gran parte attorno al saliente trentino. Ma per attuare un simile piano sarebbe stato necessario che la mobilitazione occulta fosse praticamente ultimata il 23 maggio, e che il parco d’assedio si trovasse alla stessa data in posizione contro gli sbarramenti avversari. E invece esso nel suo insieme non fu pronto che ai primi di luglio; inoltre sebbene gli sbarramenti avversari fossero talora a portata di tiro dal confine, sarebbe stato necessario aver provveduto a vie d’accesso pel trasporto delle grosse artiglierie e aver preparato le necessarie installazioni per aprir subito di sorpresa il fuoco sulle fortificazioni nemiche; e invece tali lavori o mancavano o non erano ancora pronti: le nevi invernali li avevano impediti per molti mesi! Per di più le direttive del Cadorna del l° aprile mentre raccomandavano di dare alle operazioni « un carattere più deciso, inteso a sorprendere l’avversario, più che a parare le sue minaccie », raccomandavano anche: «Prima di agire pel raggiungimento di un obiettivo, le LL. EE. dovranno accertarsi ch’esso sia commisurato alle forze disponibili… e soprattutto dovranno per quanto possibile, essere evitati scacchi parziali od imprese troppo rischiose, le quali minaccino di trarre a rincalzo truppe non ancora orientate, e possano comunque turbare l’andamento della radunata delle singole unità, che affluiscono successivamente alla frontiera ». Si sarebbe potuto, in parte almeno, girar l’ostacolo per l’alto, attraverso forcelle difficili, spesso sopra i duemila metri; ma per questo sarebbero occorse molte truppe alpine. E invece, se il corpo della Carnia disponeva di ben 16 battaglioni alpini dei 50 disponibili, e tre di guardie di finanza, accanto alle sue due divisioni di fanteria, la 4″ armata, colle sue cinque divisioni di fanteria, non ne aveva che sei. E il famoso Attacco frontale del Cadorna tutto insegnava, fuorché il principio dell’infiltrazione, che rappresentò il maggior progresso tattico della prima guerra mondiale. Per di più le poche artiglierie di grosso e grossissimo calibro erano disseminate su troppi obiettivi: tre sbarramenti da espugnare assegnati alla 4a armata, e precisamente verso Innichen (San Candido settore 4a armata), verso Dobbiaco e verso Brunico, mentre sarebbe stato necessario concentrare lo sforzo unicamente contro Innichen; in tal modo si sarebbe rimasti più vicini col grosso al corpo della Carnia e si sarebbe urtato contro l’ostacolo complessivamente meno arduo. Due sbarramenti doveva superare il corpo della Carnia, mentre sarebbe stato opportuno concentrare lo sforzo contro quello solo di Malborghetto. E cosi pure la 2a e 3a armata avevano due compiti separati, anziché quello solo di puntare su Gorizia e la valle del Vipacco, con un robusto fiancheggiamento che avrebbe dovuto consentire l’occupazione del Carso triestino e di Trieste. La 4″ armata poi, che aveva 5 divisioni in tutto, avrebbe dovuto impiegarne una o due per la marcia verso Franzenfeste; così che l’azione iniziale, particolarmente importante e delicata, lungo la Drava e il Gail, sarebbe rimasta affidata a tre sole divisioni, o poco più, con tre o quattro battaglioni alpini in tutto. Dispersione di forze, in sostanza, violazione del principio della massa, o se vogliamo dir meglio, dell’economia delle forze. Il Cadorna a questo frequente rilievo rispose sempre e soltanto che delle 35 divisioni realmente disponibili, 6 solamente, quelle della la armata, erano attorno al saliente trentina, 22 erano destinate al compito principale, e 7 di riserva dalla zona del Garda sarebbero pur presto state trasportate sull’Isonzo: dunque 29 divisioni, i 6/7 delle forze per la grande offensiva!.
La quistione non verte sul numero complessivo delle divisioni destinate all’offensiva, ma sulla molteplicità degli obiettivi: le 22 divisioni avevano troppi compiti, soprattutto rispetto alla scarsissima disponibilità d’artiglieria e all’ancor più scarso munizionamento. Se poi a tutto questo e a quanto si è detto in precedenza si aggiunge la scarsa o nulla iniziativa d’alcuni comandanti di grandi unità, si comprenderà facilmente come non uno solo, non diciamo dei maggiori obiettivi, ma anche soltanto dei minori fosse raggiunto; come la sorpresa iniziale e la possibilità d’approfittare della debolezza soprattutto numerica della copertura nemica nei primi giorni andasse frustrata, e come la guerra stagnasse in una logorante guerra di posizione, in una serie di sforzi staccati, sterili e sanguinosi. Gli Austriaci si ritrassero quasi ovunque sul loro confine militare, ossia sopra posizioni « ideali per la difensiva» al dire del Falkenhayn; e la nostra penetrazione fu maggiore soltanto là dove il confine militare austriaco si allontanava maggiormente da quello politico.

 Piero Pieri, nato a Sondrio nel 1893 da antica famiglia toscana, ha partecipato alla prima guerra mondiale nel battaglione alpini di Belluno mettendosi in luce al comando di un plotone della 77ª Compagnia sulle dolomiti, tanto da essere insignito di due medaglie, una d’argento e una di bronzo. Dal 1927 insegna storia medievale e moderna nonché storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli fino al 1935, quando si trasferisce all’ateneo di Messina come professore di storia e preside della facoltà di Magistero, per concludere poi la sua attività di docenza all’Università di Torino nel 1939 come ordinario di storia. Qui lo coglie il secondo conflitto e l’8 settembre. Antifascista operò clandestinamente nelle file del Partito d’Azione, partecipando anche alla Resistenza nelle valli di Lanzo. Arrestato con la moglie e i figli, fu processato dal Tribunale speciale, ma riuscì a salvarsi. Dopo la Liberazione, e successivamente allo scioglimento del PdA, aderì al Partito radicale. Nel 1952 partecipò, in qualità di esperto militare al film di Piero Nelli -La pattuglia sperduta-. Discepolo di Gaetano Salvemini, di cui seguì le lezioni alla Scuola Normale Superiore di Pisa, è annoverato fra i principali storiografi  della prima metà del Novecento.

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