Antonio Polito e quel pasticciaccio brutto dell’art. 18

29 Settembre 2014
1 Commento


Gonario Francesco Sedda
Antonio Polito è convinto [Il luogo del delitto, Corriere della sera, 25 settembre 2014] che Matteo Renzi abbia ragione riguardo all’eliminazione dell’art. 18 anche nella forma fortemente depotenziata secondo l’ultima riforma Fornero. «In realtà – ha scritto – il nostro mercato del lavoro è ingiusto, inefficiente, balcanizzato. È da quel dì che va riformato. Forse è perfino troppo tardi. […] Ed è davvero inimmaginabile che lo si possa fare lasciando in piedi l’articolo 18».
Il cosiddetto mercato del lavoro è dato dalla domanda di “lavoro” (proveniente da imprese e istituzioni) e dall’offerta di lavoro (la messa in vendita della “capacità lavorativa” in cambio di un salario o di uno stipendio). La “qualità” del mercato del lavoro dovrebbe dipendere sia da chi domanda lavoro sia da chi lo offre. Se il mercato del lavoro fosse “ingiusto”, potrebbe esserlo per le imprese soltanto o per i lavoratori soltanto o per entrambe le parti. Non risulta che la grandissima precarizzazione del lavoro – particolarmente quello dei giovani – sia considerata ingiusta nel mondo delle imprese. Né risulta che queste ultime abbiano operato per correggere tale supposta “ingiustizia”. Le imprese italiane hanno ritenuto e ritengono giusto flessibilizzare (e precarizzare) il mercato del lavoro, hanno chiesto e chiedono di tagliare i lacci e laccioli che lo tengono “ingessato”. Negli ultimi decenni i governi amici (“democratici”, liberaldemocratici, ordoliberali, liberisti) hanno risposto positivamente alle richieste degli imprenditori, in assenza di una vera e efficace opposizione dei sindacati.
Dunque il mercato del lavoro è ingiusto per chi lavora e “vive” nella precarietà.
In quale senso questo mercato del lavoro sarebbe anche inefficiente? Sembrerebbe che l’inefficienza riguardi gli ostacoli che impediscono alla domanda di incontrarsi con l’offerta. Ma il vero problema è che scarseggia la domanda e abbonda l’offerta e questa non può incontrarsi con una domanda che non c’è. Non è una semplice questione di funzionalità. E poi questa “inefficienza” è comunque fruttuosa per le imprese, che possono praticare bassi salari, godere di incentivi e di riduzioni fiscali e contributive.
È in atto da decenni un’offensiva “conservuzionaria” del blocco dominante sul piano economico e culturale, politico (di governo) e istituzionale con lo scopo di portare a compimento una grande “restaurazione”. E così vengono una dopo l’altra campagne (diversamente graduate) di “riformismo regressivo”. Uno dei risultati di quelle campagne è il cosiddetto mercato del lavoro balcanizzato (diviso tra lavoratori di serie A e di serie B). L’appartenenza alla serie A non riguarda solo l’art. 18 ormai fortemente depotenziato, ma anche il valore della contrattazione nazionale come perno di quella aziendale. L’esistenza della serie B è un risultato dell’iniziativa vittoriosa del blocco dominante.  E per le imprese anche questo è un risultato fruttuoso nel breve/medio periodo e promettente sul piano strategico.
Ma che altro avrà scritto A. Polito per poter affermare come «davvero inimmaginabile» che si possa riformare il mercato del lavoro «lasciando in piedi l’articolo 18»? Nulla! Non riesce a immaginare un mercato del lavoro riformato lasciando in piedi l’articolo 18, ma neppure – neppure! – uno “nuovo senza l’articolo 18”. Dopo averci tramortito con tre aggettivi (ingiusto, inefficiente, balcanizzato) si dà per disinformato: «si litiga intorno a una delega di cui non si conosce ancora il contenuto. Non lo conosce neanche il ministro del Lavoro Poletti: interrogato in materia, ha risposto di chiedere a Renzi». E Matteo detto il “Bomba”, il bambino quarantenne, gioca a nascondino: “No, io non ve lo dico … lo dico quando mi pare … non è democratico discutere sapendo quali sono le mie vere intenzioni”.

1 commento

  • 1 Lucia Pagella
    30 Settembre 2014 - 18:38

    Sarebbe opportuno ricordare che l’art. 18 ( ovvero, dopo la legge Fornero , l’ex art. 18 ) non tutela(va) soltanto il diritto al mantenimento del posto di lavoro quando non vi fossero i i giustificati motivi soggettivi o la giusta causa addotti dal D.L.ma anche la libertà e la dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale. e per fare ciò basterebbe solo ricordare l’oggetto della legge 20 maggio 1970, n° 300. In parole povere con tale articolo si voleva evitare che i lavoratori fossero oggetto di ricatti da parte dei datori di lavoro.
    A me sembra che tale tutela sia talmente ovvia che in un paese civile non dovrebbe avere neppure bisogno di una previsione specifica. Ma i tempi cambiano, ai produttori si sostituiscono i finanzieri ed al centro della tutela, per dirla con Papa Francesco, non vi é più l’uomo ma il capitale.
    Una norma che impedisce di rendere schiavi i lavoratori privandoli dei loro più elementari diritti, di sottopagarli mentre i manager percepiscono cifre da capogiro é oltretutto una legge che genera serenità e, quindi, produttività
    Ma sembra che l’art. 18, sia pure nella forma depotenziata prevista dalla legge Fornero che di fatto lo anulla per la generalità dei casi, non consentirebbe di rendere efficiente il mercato del lavoro e, quindi, impedirebbero ai produttori stranieri di investire in Italia. Ma vogliamo scherzare?
    A parte l’esiguità delle fattispecie in cui oggi si può parlare di questo tipo di tutela, dove li mettiamo gli inciampi disseminati sul camino di chi vuole darsi da fare da una burocrazia avida, occhiuta ed imbecille? Ed una volta perorso tutta la via ad ostacoli che dire di quelli che il presunto investitore dovrà scavalcare per evitare le ” raccomndazioni ” dei politici e della criminalità organizzata ? e che cosa pensare del pizzo e delle tasse spropositate che si devono pagare solo perché si vuole avere una vita migliore?
    Poiché, però, al peggio non c’é mai fine, quando i geni che stanno distruggendo l’avvenire di nostri giovani cominceranno ad avere come modello non più la Germania ma la Cina?

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