Art. 18: la soppressione un colpo alla civiltà giuridica

3 Ottobre 2014
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Andrea Pubusa

Sull’art. 18, data la sua rilevanza generale, voglio tornare per mettere in luce che l’eliminazione del reintegro viola non solo la dignità dei lavoratori, ma anzitutto elementari principi di civiltà giuridica. E ancor prima violenta la logica e il senso di giustizia. Parliamo del licenziamento disciplinare, per giusta causa. Volete spiegarmi perché se risulta in giudizio che la mancanza contestata al dipendente non è stata commessa, il lavoratore non dev’essere reintegrato? Risponde a ceuteri logici una scelta siffatta del legislatore? E risponde ad un senso elementare di giustizia?
Ma c’è di più e peggio. Esiste un principio generale del diritto, oltre che di civiltà, secondo cui se il giudice riconosce in capo ad un soggetto un diritto, questo dev’essere, se possibile, specificamente soddisfatto. Se Tizio deve restituire un quadro a Caio e il quadro non è andato distrutto, quest’ultimo ha diritto a riavere il suo quadro e non il valore equivalente in danaro (risarcimnto). Insomma, l’effettività della tutela, che è principio costituzionale desumibile dall’art. 24 Cost., nel porre la garanzia giurisdizionale a tutela dei diritti  degli interessi legittimi, implica la reintegrazione in forma specifica e non per equivalente ogni qualvolta  questa sia possibile. La soppressione della reintegrazione nel posto di lavoro, quando il licenziamento risulti, davanti al Giudice e non dinnanzi ad un soviet opraio, sfornito di una giusta causa, costituisce dunque una violazione del dettato costituzionale in un principio generale di grande rilevanza. Una legge che impedisca il reintegro infrange il principio di effettività della tutela  e si traduce in un’arrogante prevaricazione nei riguardi del cittadino-lavoratore. Viola l’art. 24 Cost.
Da questo punto di vista, il PD si assume una grave responsabilità, poiché da qualunque angolo visuale la si voglia guardare, la soppressione della reintegrazione (in luogo della sua estensione) costituisce una grave passo indientro culturale e giuridico per il Paese. Se si tien conto che lo Statuto dei lavoratori fu votato anche dalla DC, ci si rende conto che il PD attuale è un partito molto meno democratico e sociale dei vecchi democristiani, che, in fondo, nelle loro correnti più avanzate erano molto impregnati della cultura sociale cattolica.

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