Le 10 tesi sull’educazione secondo Tullio De Mauro

27 Dicembre 2015
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Gianna Lai

 Si è tenuto a Cagliari qualche tempo fa  il Convegno del Giscel ‘I Quarant’anni delle 10 Tesi sull’Educazione Linguistica. Riflessioni e suggerimenti per la scuola’. Tullio De Mauro ha svolto la relazione introduttiva dal titolo ‘Alle radici delle Dieci Tesi’ che, significativamente,  affronta in termini critici il modo di concepire lingua e scrittura nella scuola tradizionale. Ecco la sintesi dell’interevento del grande linguista.

De Mauro tratta il tema dell’educazione linguistica nella nostra scuola, partendo dallo svolgimento del Tema in classe, che già nei primi anni del Novecento autorevoli interventi denunciano come  responsabile di sviluppare un atteggiamento retorico. Ma  in senso cattivo, in quanto abitua gli studenti a scrivere non si sa perchè, non si sa per chi, e ciò porta a degenerazioni di stile, non capendo i ragazzi a che cosa deve  ancorarsi il loro livello di scrittura, se non a quello che credono sia lo stile alto. Ancora le Dieci Tesi per riprendere la discussione sui guasti che provoca questo pilastro dell’educazione media e superiore: si educa alla immoralità, dice qualcuno, e non si risparmiano critiche aspre contro la  pratica del Tema mensile, a lungo introiettata da questa nostra classe dirigente italiana.
(Il 1^ tipo di riflessione su educazione linguistica) (Ancora)  Le 10 Tesi per riprendere la discussione sul Tema, responsabile di  creare uno stile che, non avendo referenti, è a sua volta  autoreferenziale. Calvino diceva, ‘quando si scrive una pagina, bisogna essere strabici, un occhio su quello che si scrive, l’altro rivolto al lettore cui è destinato lo scritto’.
Cosa si sarebbe potuto fare, chiede il prof. De Mauro: già nelle Scuole Magistrali, erano  note  ‘Le lezioni di didattica’,  uscite nel 1913 ad opera di Lucio Lombardo Radice (Direttore generale nel primo Governo Mussolini, presso il ministro Gentile), che raccomandava di venir fuori dallo steccato del Tema, e praticare la scrittura nella esperienza  diadattica delle varie materie. Le discussioni, i libri letti, le lezioni, tutto si può scrivere, sostiene  Lombardo Radice, obiettando a chi è ancorato acriticamente al tema. Ci si deve abituare ai vari tipi di scrittura, il  destinatario può essere se stesso e poi i compagni e il professore, per far prevalere l’idea che esistono diversi stili di scrittura, esistono i modi dell’argomentare, il saper criticare, ecc., una volta definiti gli obiettivi.
  Solo negli anni Settanta, prosegue De Mauro,  ha cominciato col Giscel a farsi più credibile nella Scuola l’esigenza di uscire dalla convinzione che, obiettivo unico, restava il Tema della licenza liceale, per aprirsi ad una pluralità di stili e di scritture, già in uso nella società contemporanea, e quanto mai necessarie alla comunicazione quotidiana.
  Per quanto riguarda l’altro livello di osservazione sull’educazione linguistica, quello riferito alla scuola elementare, fin da bambino, ricorda De Mauro, son stato  sempre convinto che in Italia tutti avessero conseguito la licenza elementare, come ne erano convinti borghesi e intellettuali. Non è così, ci sono stati in Italia, all’inizio del Novecento, investimenti importanti per i Licei classici, cui ha corrisposto un vero disinvestimento per la Scuola elementare, dati i forti dubbi, facilmente rilevabili nella lettura dei documenti dell’epoca, sulla necessità addirittura di garantirla questa educazione elementare. Poi il fascismo fa venir meno l’ideale della Quinta elementare obbligatoria, in campagna si è prosciolti dall’obbligo dopo la Terza elementare, ed essendo la base dell’economia del Paese prettamente agricola, la stragrande maggioranza degli italiani lavorava in agricoltura, scarsissima restò dapertutto l’istruzione elementare.
Così, al Censimento del 1951, il 60% della popolazione non possiede la licenza elementare, sei  italiani su dieci; solo il 10% prosegue negli studi, un solo italiano, su questi dieci, si laurea. Abbiamo cercato di capire perchè, dice il Professore. A partire dal governo Giolitti, inizi Novecento, lo Stato italiano spende per una Scuola elementare completamente allo sbando dallo Stato Unitario in poi,  più o meno la stessa cifra degli altri paesi europei, che invece stavano cancellando gli ultimi residui di analfabetismo sul loro territorio. Una volta affrontata l’evasione radicale, a partire dal 1901 tutti si iscrivono a scuola, ma meno di 1/3 degli iscritti arriva alla fine. Cerchiamo ancora di capire perchè. La prima consegna imposta dal Governo è non tollerare mai neanche una parola dialettale in classe. I maestri parlano in dialetto, conoscono poco l’italiano, eppure il mandato resta sempre bandire l’uso del dialetto tra gli alunni. C’era, alla base di tali provvedimenti, un’idea di sicura ispirazione patriottica, volta a  sradicare i dialetti nei territori, che erano le lingue vive e vere della popolazione italiana, lo diceva Manzoni, e così il bambino continuava ad entrare in una scuola che parlava un’altra lingua diversa dalla sua. I linguisti avvertivano che i dialetti sono  lingue, e che avevano il loro prestigio come  elemento di coesione, usati da tutti, borghesi e proletari. Essi non derivano dall’ italiano,  prosegue De Mauro, anzi, tutti  divergono fortemente dalla lingua italiana, ne sono molto lontani. Per questo solo il 40%, 50% dei bambini giungevano a frequentare la Quinta  elementare in Italia, il cento per cento di loro essendo entrato a scuola parlando un’altra lingua, una lingua diversa.
Oggi l’attualità delle 10 Tesi, è data dall’impetuso spostamento di popoli portatori di una lingua non italiana. Diceva Lombardo Radice che  non si deve inculcare il disprezzo per i dialetti, ma sfruttare tutti i dialetti presenti per costruire, attraverso quella varietà, una lingua alta italiana. Ed arriva, Lombardo Radice, a sposare l’idea di adottare libri di testo diversi nelle scuole di ciascuna  Regione, e di un confronto tra dialetti e italiano per acquisire e apprendere meglio e più facilmente l’italiano stesso. ‘Scoperta dell’acqua calda’, e si avvia alle conclusioni il Professor De Mauro, così importante nel momento in cui si scopre che la condizione linguistica italiana non era nè patologica nè stravolgente, semplicemente il carattere specifico italiano era dato dalla  varietà dei  dialetti e dalla così profonda diversità che esisteva tra loro. Non c’è paese europeo in cui i dialetti siano così carichi di legami con la storia, una importante specificità, Venezia, Palermo, Torino. Ma oggi sappiamo che in tutti i Paesi del mondo coesistono pluralità di lingue e idiomi completamente diversi. L’Italia non è l’unico paese multilingue di cui l’educazione linguistica deve farsi carico per garantire, rispetto ai dialetti, l’acquisizione della lingua italiana. Significa progettarsi per la pratica didattica, dedicare grande attenzione alla varietà e alle capacità espressive individuali, riconoscendole come vera ricchezza. E’ quello che dicono di aver fatto gli scrittori italiani, a partire da Manzoni, fino a Montale, secondo cui c’è un controcanto dialettale nelle sue stesse poesie.  Il ragazzo deve imparare che esiste  una pluralità di mezzi espressivi alla quale  fare riferimento ed  acquisire consapevolezza, fin dalle elementari, che una cosa si può dire in tanti modi diversi. Bisogna imparare a capire quali possibilità e raggi di azione sono contenuti nelle espressioni che si scelgono, perchè la lingua è un organismo flessibile, fatto per poter dire le cose in tanti modi: il nodo della questione è capire che c’è libertà e responsabilità nelle scelte linguistiche, per garantire le quali tutti devono direttamente sentirsi partecipi.

  

1 commento

  • 1 Annarita Matteucci
    30 Dicembre 2015 - 21:14

    Magnifico il discorso del Prof. De Mauro ed altrettanto prodigioso sarebbe avere Lui come eminente guida della Scuola e di tutta la Formazione in Italia.

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