La violenza sulle donne:un eccidio. Perché non turba quanto dovrebbe?

29 Agosto 2016
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Nonostante la rabbia, faccio fatica a pensare che il mondo si sia popolato improvvisamente di assassini che anelano al sangue delle loro donne La violenza sulle donne: un eccidio Perché non turba quanto dovrebbe?
di Dacia Maraini da 27 Ora Corriere.it 8.5.2012

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Non vorrei che per decidere se si tratti di femminicidio o meno, ci si perda in discussioni inutili, dividendoci come facciamo sempre, ciascuna arroccata nelle sue sicurezze.
Non ha importanza che nome diamo a questo eccidio. L’importante è trovarsi d’accordo che si tratta di un massacro. E che cerchiamo di capire perché la coscienza sociale non ne sia turbata quanto dovrebbe.
E perché si tenda a considerarlo un evento che riguarda solo il carnefice e la vittima, come se l’intero tessuto sociale non fosse ferito e colpito gravemente da questa carneficina.
Apriamo il giornale con trepidazione ogni mattina, sapendo purtroppo che a giorni alterni, saremo messi di fronte alla notizia di una giovane donna che avendo detto no a suo marito, al suo fidanzato, al suo amante, è stata trucidata. Ieri, oggi, domani. Troppe mani maschili si accaniscono contro le donne «amate», pronte a cacciare loro in corpo decine di coltellate o a strangolarle o a prenderle a forbiciate, per poi gettarle giù da un ponte, dentro un fosso, convinti che nessuno li scoprirà mai.
Alla faccia dell’amore!
Sono bravissimi questi «amanti» poi a recitare la commedia: mostrano ai fotografi una faccia coperta di lacrime, si mettono a disposizione della polizia per cercare la donna sparita, abbracciano mamma e papà per consolarli della grave perdita. Spesso vengono creduti.
Perché a recitare sono bravissimi. Dispongono di una doppia personalità. Si accaniscono sul povero corpo e poi lo piangono con un tale dolore che tutti proviamo pietà.
Come è possibile, ci chiediamo, che menta con tanta spudoratezza?
Ma ormai i casi sono talmente frequenti che la polizia va subito a vedere gli alibi dei mariti e dei fidanzati perché quasi sempre è lì che si nasconde il colpevole. Poi vengono fuori le intercettazioni (esecrate dai maneggioni di ogni specie, ma benedette dal cittadino perché si tratta di prove concrete e immediate contro processi che durano lustri), vengono fuori gli esami del sangue, le immagini di qualche video di sorveglianza e scopriamo che sì, è proprio lui l’assassino. Quello che abbiamo visto in un’altra immagine, sorridente accanto all’amata, che ritroviamo fra i parenti, a volte con un bambino in braccio «che gli somiglia come una goccia d’acqua».
Ormai sappiamo che, accanto ai tanti casi certi, perché finiti con la morte di lei, ci sono migliaia di casi che non vengono alla luce, di uomini che perseguitano ossessivamente le donne che dicono di amare, con minacce, inseguimenti, intimidazioni.
Nonostante la rabbia, faccio fatica a pensare che il mondo si sia popolato improvvisamente di assassini che anelano al sangue delle loro donne.
Le spiegazioni sono tante, ma certo hanno a che vedere con il modo in cui la cultura di massa tratta le donne. Con l’incapacità di insegnare ai bambini ad avere rispetto per l’altro. L’idea arcaica che Io ti amo e quindi ti posseggo è ancora moneta corrente e costituisce la base di molti, troppi rapporti sentimentali. L’amore-possesso, quando è posto in discussione dal pensiero autonomo dell’amata,   mette in crisi l’identità stessa dell’amante che per paura, si trasforma in mostro.
Mi rimane la domanda: Perché la coscienza sociale, le nostre coscienze, non sono turbate quanto dovrebbero?
 

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