Quale lavoro in Sardegna? Intervista a Giacomo Meloni

28 Settembre 2018
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Gianna Lai 

In vista del Convegno del 5 ottobre al Banco di Sardegna sul lavoro, indetto dal Comitato di inziativa costituzionale e statutaria con Domenico De Masi, ecco il punto sul lavoro in Sardegna in questa intervista a Giacomo Meloni, segretario generale della CSS. 

Giacomo Melon

Il lavoro in Sardegna, solo precario e malpagato, se si escludono alcune realtà industriali presenti nel nostro territorio, e destinato alle qualifiche più basse? Sempre colpa della crisi la grave disoccupazione che impoverisce l’intera Isola?

Su un milione e 560 mila abitanti, 550 mila lavoratori attivi, stabile la disoccupazione giovanile, e i nuovi lavoratori, quasi sempre a tempo determinato, precari e stagionali, secondo le forme più variegate delle nuove tipologie. Le più penalizzate, le fasce giovanili, con basse qualifiche. E’ lavoro che sfugge, sopratutto tra le figure professionali che chiamiamo autonome, artigiani e agricoltori, nelle loro piccole aziende a carattere familiare, lavoro malpagato e in nero, ma non è sparito il lavoro, si tratta di attività che il fisco non riesce a controllare. Lavoro precario e malpagato nell’edilizia, nel turismo stagionale, e nei grossi centri commerciali, nella grande distribuzione, a gestione, per lo più, di multinazionali straniere, che realizzano grossi profitti in Sardegna, drenandone risorse e mettendo in ginocchio, o facendo del tutto sparire, i venditori al dettaglio.
E dalle piattaforme attingono i datori di lavoro, mentre non funzionano i Centri regionali per l’impiego e, insieme alla deindustrializzazione che ha colpito l’intero territorio isolano, viene meno la stessa formazione professionale, già fortemente compromessa nella gestione dei corsi, sempre merce politica di scambio.

Ma ci sono prospettive nuove per l’industria, è possibile che i tempi cambino, partendo dai luoghi dove il lavoro ancora esiste?

Non si prevede oggi che si aprano nuove industrie in Sardegna, sicché dopo il vuoto lasciato dallo lo scempio dei Poli, si chiude la stagione fondata sugli incentivi regionali senza alcun controllo per l’uso del danaro pubblico e per l’occupazione. Non si registra espansione nell’industria del cagliaritano, certamente il territorio più sviluppato in termini produttivi e che mantiene i livelli di occupazione, ma lo stesso Porto-canale, dove si è perso, secondo Confapi, il 70% del traffico in questi anni, mette a rischio il posto di 500 lavoratori. Tiscali vende ai cinesi, suscitando gravi preoccupazioni nel Sindacato per la tenuta dell’occupazione, in crisi poi i Call center, quel lavoro che non produce sviluppo, precario per eccellenza e malpagato. E Saras non assume, non è fonte di nuova occupazione, da fuori viene la tecnologia per produrre energia elettrica, né mai si è riusciti a far pagare all’Azienda interamente le tasse in Sardegna. Né, come si sa, l’Isola ha mai beneficiato di benziana e di energia basso costo, perché non deve essere interrotto il flusso produttivo continuo verso il Continente, sicchè noi acquistiamo il frutto della Saras di ritorno, pagandolo a prezzo pieno, pur essendo direttamente prodotto qui in Sardegna. In quelle condizioni di lavoro, in quella compromissione della salute di chi ci lavora e di chi vive a Sarroch, nell’inquinamento gravissimo dell’intero territorio, che certo non possono essere barattati con sconti all’acquisto sul prezzo di vendita!

L’energia è fattore determinante nello sviluppo di una Regione, questa Giunta è stata in grado di sviluppare un programma, ha definito un discorso che faccia intravedere un pò di futuro?

Non avrà vita lunga il petrolio, sempre più costosa la ricerca e l’estrazione, ora che fonti energetiche alternative e nuove tecnologie si sviluppano rapidamente. L’Europa, guarda in quella direzione, ma lo stesso possiamo affermare da noi in Italia, e dire che Saras ci ha fatto uscire da Obiettivo 1, il nostro Pil superiore alla media richiesta per poter ottenere i benefici europei. Il metano è fonte energetica già prevista di breve periodo, ma per quale industria? quale polo produttivo dovrebbe beneficiarne? Si prevede forse un nuovo insediamento industriale destinato a sfruttare tutta questa energia? Abbiamo già in Sardegna il triplo dell’energia che ci serve, in un contesto internazioanle che va ormai verso l’elettrico. In 20-30 anni il mondo cambia e qui siamo già in ritardo rispetto alle rinnovabili, su cui si punta da tempo in Europa. Noi della CSS non possiamo non essere contrari a progetti regionali di produzione energetica che sia fondata su fonti inquinanti, siamo cioè contrari alla politica regionale sull’uso delle fonti energetiche, priva come è di ogni orientamento verso le fonti alternative e rinnovabili, verso le nuove tecnologie, proprio perché scarso o nullo resta l’impegno di questa Giunta sulla Ricerca, se si esclude l’aereospaziale di San Basilio, in crisi perenne ormai il CRS4.

Se diamo dunque uno sguardo generale alla politica regionale di questi anni, all’andamento delle politiche destinate ai giovani, quale conclusione, quale giudizio finale esprimere?

Intanto mancano gli investimenti, ma mancano, a dir la verità, imprenditori degni di questo nome qui in Sardegna, del tutto improbabili quelli che aprono grazie ai contributi regionali e che, senza, chiudono immediatamente. Mentre non sempre si garantisce il giusto riconoscimento a quelli che, con grande fatica e rischiando capitali, ma rispettando il lavoro, sanno fare impresa e resistere alla concorrenza dei più grandi. Così, a un’industria assistita, corrisponde direttamente una massa di lavoratori assistiti, cassa integrazione per anni e anni, e poi indennizzi a agricoltori e allevatori nei territori occupati dalle basi militari, nei territori delle lavorazioni inquinanti abbandonate, indennizzi ai pescatori dei mari intorno. Una politica dell’assistenza che cambia il profilo delle persone, ne corrompe le coscienze, ne fiacca la volontà di lotta. E costringe i migliori all’emigrazione, giovani volenterosi e impegnati, che la scuola dell’obbligo ha spinto in massa, negli scorsi decenni, a proseguire gli studi fino al diploma e alla laurea, non volendo assistere inermi a questo disastro economico e sociale. E costringe i più deboli alla resa incondizionata, espulsi direttamente dalla scuola stessa, ormai deprivata delle sue vere prerogative, esplicitate nell’ articolo 3 della nostra Carta costituzionale, mentre la Giunta ineggia alla spendita di tanto danaro pubblico destinato a contrastare la dispersione, per niente scalfita, anzi, destinato sempre più spesso ad alimentare la scuola privata, in alternativa alla pubblica.

Si può dire quindi, che questa Giunta non ha mai affrontato le questioni del lavoro in termini strutturali, mancano o non svolgono funzione alcuna, neppure i Centri per l’impiego…

.…e chiama Piano di Lavoro, questa Giunta, l’ultimo suo investimento di 120 milioni di euro, destinati all’apertura, per appena 8 mesi, di cantieri comunali. E costa 85 milioni di euro l’anno la cassa integrazione in Sardegna e, per stare dentro un territorio vicino a Cagliari, 9 milioni l’ultimo provvedimento per mille dipendenti Alcoa, già regalata agli svizzeri. Allo stesso modo la Regione finanzia i russi con 74 milioni per riaprire Euroallumina, 380 posti di lavoro, autorizzando l’innalzamento della collina dei fanghi rossi, quel disastro dei fanghi rossi: una partita di giro Alcoa e Euroallumina, che non produranno mai nulla, mentre svizzeri e russi se ne andranno via dalla Sardegna, con i nostri soldi.

A proposito, in quel territorio, cosa sta succedendo?

A risarcimento del disastro economico e sociale di questi decenni, la Regione stanzia 627 milioni per il Piano Sulcis, una grande quantità di finanziamenti che, si dice, sia stata impegnata per nuove attività produttive, ma di cui ben poco si sa sulla effettiva spendita del danaro stesso. Ma continua la devastazione del territorio le lavorazioni inquinanti della Portovesme srl, che vanta 1200 posti di lavoro, vero business dello smaltimento di fumi di acciaierie e sempre alla ricerca di luoghi dove gettare i residui delle lavorazioni. Il risultato finale di questo quadro: un danno inestimabile per l’agricoltura e la pesca, attività tradizionali ormai interdette nell’intera zona, e centinaia e centinaia di pescatori e contadini, appunto, da indennizzare a loro volta, disastro sociale e ambientale che si ripete, in Sardegna, in tutti i luoghi devastati dall’industria dei Poli. Nei territori delle Servitù militari, della RWM, contro le quali il Css mantiene forte la sua opposizione e, per quanto riguarda la fabbrica di bombe, la richiesta di riconversione immediata.

Si denunciano scelte sbagliate e gravi ritardi, ma in Sardegna c’è ancora una forte coscienza civile che chiede conti alla politica. Da dove ripartire, su quali prospettive muoversi e sollecitare i cittadini alla partecipazione e all’impegno per lo sviluppo della Regione?

Edilizia, turismo stagionale, grande distribuzione, notiamo una timida ripresa nell’edilizia residenziale, ma di breve respiro, se non si programmeranno case popolari nel cagliaritano, nel territorio cioè, più intensamente abitato della Sardegna, a seguito dello spopolamento che colpisce i paesi dell’interno. Ci dobbiamo impegnare in questa direzione e per un turismo che promuova lo sviluppo del territorio ad opera di piccola e media imprenditoria, che già esiste, non di multinazionali interessate solo al drenaggio delle risorse.
Noi attribuiamo grande importanza al riordino dei Centri per l’impiego, che in Germania contano 115 mila addetti, mentre in Italia solo 9500, ed hanno finalità ben precise verso l’ inserimento nel mondo del lavoro, verso l’integrazione. E da questo punto di vista, sia il Decreto dignità che le altre misure di contrasto alla povertà, messe in atto in queste settimane dal Governo nazionale, vanno viste con attenzione. Ma attribuiamo grande importanza, dal punto di vista delle attività produttive da promuovere in Sardegna, in particolare all’agroindustria, all’azienda agricola e all’industria conserviera e del freddo, che presuppongono, naturalmente, massicci investimenti in agricoltura. Dobbiamo partire da qui per opporre una seria politica alla povertà in cui i governanti locali hanno sprofondato l’Isola: importiamo l’80% di ciò che mangiamo, come se l’Europa ci imponesse di non produrre e, siamo destinati, in Sardegna, ad acquistare dalla grossa distribuzione, a garantire benefici e guadagni alle cooperative toscane e emiliane. Abbiamo più Città-mercato della Lombardia, in termini percentuali, di proprietà per lo più straniera, che prendono i soldi dalle casse regionali in cambio di ‘assunzioni’ di giovani precari, a tempo determinato e con salari di fame. Quel capitale straniero che sembra farla da padrone in Sardegna se, anche il Qatar, pensa all’allevamento di salmoni nell’isola, e gli arabi del Mater Olbia, in un contesto di politica regionale che chiama Riforma sanitaria la chiusura degli ospedali, risultano ancora più interessati a ciò che sta tutto intorno al Mater Olbia, sollecitando apertamente l’approvazione di una legge urbanistica, che conceda nuove volumetrie e il superamento della barriera dei 300metri dal mare.

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