Zedda, non hai nulla di cui render conto all’area democratica?

19 Giugno 2019
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Andrea  Pubusa

 Avete letto l’intervista di Zedda a L’Unione sarda sul voto di Cagliari. Ha perso il Comune e la Regione e lui che dice? Che non si pente di nulla, che, riavolgendo il nastro del tempo, rifarebbe tutto quello che ha fatto. Non solo. Ribadisce che le scelte più che sue sono della coalizione, che gli avrebbe imposto un sacrificio pur di uscire da questo momentaccio senza una perdita completa delle truppe. “Siamo caduti in piedi - dice il condottiero del centrosinistra - dunque, non c’è nulla di cui pentirsi“.
Nessuna autocritica, dunque. Semmai la débacle cagliaritana è da addebitare agli altri, a certi ambienti dello stesso PD o ai soliti “estremisti” alla sinistra, che preferiscono il mare all’urna. Insomma, non sono i dirigenti a doversi interrogare, ma gli elettori a doversi pentire delle loro scelte o del loro scarso entusiasmo. Ci dovevano credere di più e non lo hanno fatto.
Il ragionamento non sembra lineare, fa più d’una grinza, e presenta due pecche piccole, piccole. La prima. Come mai si è giunti così in affanno alle elezioni regionali e poi a quelle comunali? D’accordo che i rimedi dell’ultimo momento spesso sono necessitati, ma quale linea ha condotto alla sfascio? E questo a chi è imputabile agli elettori o ai gruppi dirigenti? Cinque anni fa il centrosinistra vinceva a man bassa alle regionali e alle comunali, con Zedda che passava al primo turno. Se oggi in viale Trento c’è Solinas e a Palazzo Baccaredda s’insedia Truzzu, qualche errore ci deve pur essere stato? Salvo voler imprecare contro il destino cinico e baro. Proviamo a guardare in faccia le cose? Più che la sorte bisogna chiamare in causa la rottura con una vasta area democratica, che si è  in passato turata il naso, poi dal voto utile è passata, dolorosamente e con molti travagli, all’astensione. E’ un’area impegnata nel sociale e nelle attività culturali, non una massa di scazzati. E’ una componente che professa l’astensione come scelta consapevole, come orgogliosa denuncia della privazione di fatto, per mano altrui, dei diritti politici. Perché di questo stiamo parlando, ossia della compressione di un fondamentale diritto costituzionale ad opera del sistema politico che non offre proposte e programmi appetibili per questa area. Vi sembra poco tutto questo? Vogliamo elencare le ragioni della disaffezione prima e della ostilità poi di quest’area? La battaglia referendaria in difesa della Costituzione è la causa principale del distacco. Lì Zedda, Uras & C. sono stati miopi. Hanno opportunisticamente parteggiato per il NI, tagliando i ponti con una parte di elettorato assai vicina a loro più che al PD. Un elettorato esigente, ma sempre pronto a dare una mano.
E la politica intesa come azione di apparati, c’entra? Zedda, anche nell’intervista di ieri, insiste nel dire che lui ha lasciato Cagliari perché glielo ha chiesto la coalizione, per preservarla dall’ulteriore smottamento. Ora, è innegabile che queste siano esigenze politiche non trascurabili, ma la percezione dei normali democratici della strada è diversa. Più che alle esigenze di apparati, pensano si debba tener conto di quelle dei cittadini. Per costoro il voto chiesto e ottenuto da Zedda per il municipio doveva essere onorato fino in fondo, tanto più in una fase così pericolosa, in cui i vuoti vengono riempiti da Salvini e soci. Perché lasciare anzitempo anziché consolidare nei due anni rimanenti la postazione?  Del resto, nel centrosinistra c’erano e ci sono altre figure stimabili e di prestigio, capaci quanto Zedda di unire la coalizione. Ganau, ad esempio, ha interpretato con garbo e apertura il ruolo di Presidente dell’Assemblea. Perché non poteva essere chiamato lui a guidare la lista per il Consiglio regionale? Insomma, mettendosi dal punto di vista dei cittadini democratici e non dei vertici, si potevano fare scelte più sensate e accettabili. Che in tutta questa vicenda che ha condotto alla disfatta, ci sia un attivismo eccessivo, una sovraesposizione di ciò che resta di Campo progressista, è sotto gli occhi di tutti e non da tutti gradita.
Da questo punto di vista anche la candidatura della Ghirra è stata avanzata maldestramente. Lei è stata brava, ha recuperato nella campagna elettorale un suo spazio e una sua credibilità. E l’esito finale mostra che ha fatto un buon lavoro, che ha conquistato fasce altrimenti destinate all’astensione. Ma è innegabile che all’inizio il suo nome è stato giocato e percepito come la candidatura di Zedda e Uras, ossia di una parte del centrosinistra molto agguerrita nel difendere le postazioni di potere. E’ parsa, insomma, più la pedina in un gioco d’apparati che una candidatura della e per la città. E questo, alla fine, un qualche guasto lo ha prodotto. Quello scarto di 80 voti, un soffio, un arrivo al fotofinish, trova anche in questo una spiegazione.
Fin qui siamo rimasti in superficie anche se si tratta di situazioni sintomatiche di deficit democratici più profondi. Rimediare è difficile. Evocare riconteggi in modo generico è un palliativo, un diversivo propagandistico. Chi se n’è andato deluso, difficilmente torna sui suoi passi. Ci vorrebbe una riflessione autocritica aperta e severa. In questo senso, l’atteggiamento di Zedda dell’intervista a L’Unione non aiuta, va in controtendenza. Di fronte a queste scoppole, dire non si ha nulla su cui interrogarsi, è la premessa per prenderne altre. O no?

 


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