Autonomia differenziata: egoismo del Nord o inerzia del Meridione?

22 Luglio 2019
2 Commenti


Andrea Pubusa

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Si leggono da tante parti molte critiche al regionalismo differenziato. Attenterebbe nientemeno che all’unità del Paese. Renderebbe i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. E’ un progetto perverso delle regioni del Nord a guida Lega/PD ed altre amenità di questo genere.
Beniamino Moro da L’Unione sarda ci ha ricordato che taluni parlano addirittura di “golpe tecnico”, perché queste decisioni riguardanti tutti gli italiani sono rimesse all’esecutivo nazionale e a tre regioni del Nord. L’economista cagliaritano, con più moderazuione, paventa invece “soltanto” un “salto nel buio”.
Vogliamo dire la verità? In questa vicenda non c’è nessun complotto e nessun golpe. Tutto si è svolto alla luce del sole e in linea col dettato costituzionale. Il regionalismo differenziato non è frutto di un colpo di mano pepetrato nottetempo, è frutto della revisione del titolo quinto di marca centrosinistra (2001), confermato con referendum popolare. E vogliamo aggiungere un’altra considerazione, che ne costituisce corollario? Erano le forze del centrosinistra del Nord a porre, negli anni ‘90, la c.d. “questione settentrionale”, ossia a spiungere sull’idea di rafforzare le regioni dell’alta Italia. E vogliamo ricordare che fu in quella temperie che fu cancellata dalla Costituzione la storica questione meridionale recepita nell’originario terzo comma dell’art. 119: “Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali”. Come si vede non si prevedono solo “scopi determinati“, ossia interventi speciali, ma anche la “valorizzazione“, che evoca interventi organici per lo sviluppo. Evidente qui la matrice politica e culturale comune con l’art. 13 dello Statuto sardo: “Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano oranico per favorire la rinascita economica sociale dell’Isola“. Ora, mentre l’art. 119 è stato modificato, la norma statutaria è ancora vigente. La Sardegna ha dunque a disposizione la procedura volta ad attivare l’autonomia differenziata ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., la stessa su cui s’incentra l’iniziativa del Lombardo-Veneto e dell’Emilia Romagna nonché l’art. 13, che è pur sempre norma costituzionale, su cui si può fondare un piano di valorizzazione organica della nostra Isola.
Riassumendo: tutte le regioni italiane possono ricorrere all’art. 116, comma terzo, e chiedere il rinforzo delle loro competenze. Non lo fanno complottando, ma in applicazione della Costituzione nel testo voluto non da chissacchì, ma dal centrosinistra. La Sardegna a questa opportunità somma anche il ricorso all’art. 13 dello Statuto che è un pezzo di Costituzione.
E allora basta lamentazioni! Lasciamo stare la fantapolitica del complotto antiunitario! In Sardegna l’unica richiesta in campo è quella d’inserire l’insularità in Costituzione, un obiettivo molto indietro rispetto a quanto si può e si deve fare goià ora. Impegnamoci subito sul terreno delle proposte di sviluppo dei poteri e dell’economia, su cui abbiamo copertura costituzionale. Se non lo facciamo non attribuiamo la responsabilità alle manovre e alle cattive intenzioni altrui, prendiamocela con noi stessi.
Vogliamo dircela tutta? Noi in Sardegna e al Sud siamo degli incorreggibili chiacchieroni. Gli altri invece fanno. Di grazia, possiamo fare qualcosa anche noi? Che non è la semplice opposizione (perdente) alle iniziative altrui, ma semmai avanzare una proposta volta a mantenere un giusto bilanciamento tra esigenze unitarie dell’ordinamento e ragioni dell’autonomia e a modellare un nuovo accettabile equilibrio tra i poteri autonomi e le risorse finanziarie delle diverse regioni.

2 commenti

  • 1 Aladin
    22 Luglio 2019 - 08:31

    Anche su Aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=98835

  • 2 Maria Paola
    23 Luglio 2019 - 07:27

    È sufficiente la legittimità procedurale verso l’autonomia differenziata per non preoccuparsi seriamente degli esiti a cui può portare?
    Anzi che optare per una forma federale di Stato, possibile con riforma costituzionale, sembra che le regioni, con la riforma del titolo V, e singolarmente prese, possano “contrattare” con lo Stato condizioni migliorative sulle materie di loro competenza e sul piano della fiscalità.
    Non le sembra, però, che, così facendo, si apra una sorta di guerra guerreggiata tra le regioni con gli strumenti dell’amministrazione? Non apre, già questo, scenari secessionistici preoccupanti che minano la stessa Costituzione?

    Risposta

    Queste obiezioni furono avanzate nel 2001 da alcuni di noi nella sinistra sarda, ma inutilmente. Ora un riequilibrio sarebbe possibile se dal fronte felle regioni venisse una spinta corale che consenta un contrapepso rispetto a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Se spinge solo l’asse Lega/Pd del Nord, la rottura degli equilibri territoriali e non solo e’ nei fatti. (A.P.)

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