I “diritti dell’uomo”. La “scoperta” dell’Illuminismo caduta nell’oblio

31 Marzo 2020
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Gianfranco Sabattini

Vincenzo Ferrone, autorevole studioso dell’Illuminismo e dell’Ancien régime, in “Storia dei diritti dell’uomo” solleva una questione di peculiare interesse per i politici, i giuristi e i sociologi impegnati a definire i diritti dell’uomo in tutte le sedi internazionali. Essi, però, a parere dell’autore, dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, si sono trovano ad operare in presenza di una “riformulazione di questioni decisive e soprattutto inedite circa il significato autentico del programma politico e culturale degli illuministi, favorendo uno spostamento di accenti e la messa in campo di specifiche domande mai poste”.
Sia lo “spostamento di accenti” che le “specifiche domande” non potevano evitare (soprattutto dopo la “Shoah” e il continuo ripetersi di genocidi) che la definizione dei diritti dell’uomo fosse fondata sulla “certezza, universalmente accettabile, ma purtroppo non ancora universalmente accettata, del valore e della dignità della vita umana”; ovvero, che i diritti fossero concepiti come il “postulato etico” sulla base del quale costruire ordinamenti giuridici liberali e democratici idonei a garantirne l’attuazione e la tutela. Ciò, anche in ottemperanza del fatto che “concetti come umanità e dignità dell’uomo, assenti nella Dichiarazione del 1789, sono stati messi al centro della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948”, dove si afferma che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti”.
Da qui la convinzione dell’autore che sia necessario indagare i caratteri autentici dell’”umanesimo illuministico”, affermatosi nel corso del XVIII secolo, prima ancora dello scoppio Rivoluzione del 1789; un umanesimo la cui cultura è valsa ad affermare il riconoscimento del “principio della sostanziale unitarietà del genere umano, e allo stesso tempo dell’esistenza di civiltà e culture dissomiglianti da noi, rivendicandone però la piena dignità umana indipendentemente dalle apparenti differenze fisiologiche tra i popoli della terra, mettendo così in un angolo […] il furioso battagliare tra ipotersi monogeniste e poligeniste”. L’umanesimo illuminista – secondo Ferrone - ha infatti gettato le basi per la “fondazione di una nuova morale razionale ed universale”, fondata sul “postulato etico dell’eguaglianza dei diritti”, che ha indirizzato lo studio dell’umanità non limitato all’aspetto naturale dell’uomo, ma esteso anche “al suo dover essere morale, per “mettere in campo un riformismo e una nuova cultura” contro quella dominante dell’Antico regime; un riformismo pensato per emancipare l’uomo dal potere, appellandosi “ai governi e all’opinione pubblica con ogni mezzo di comunicazione a disposizione”.
Il tema dei diritti dell’uomo si è consolidato nella seconda metà del Settecento, soprattutto per combattere la concezione assolutistica dello Stato moderno, ma il progetto si è interrotto – afferma Ferrone – con la Rivoluzione francese e il Terrore, finendo per essere “dimenticato in un cono d’ombra storiografico”. Secondo l’autore, per capire come ciò sia potuto accadere, occorre considerare quanto era successo in Europa nei secoli immediatamente precedenti. La guerra civile e religiosa, durata oltre due secoli (dal Cinquecento ai primi del Settecento), era costata milioni di vittime, e la lotta efferata tra cattolici e protestanti aveva “spaccato” per sempre la cristianità e messo definitivamente in crisi l’idea che senza religione non vi potesse essere alcuna forma di comunità umana; lungi da frenare la volontà di potenza, Dio era infatti divenuto l’“incredibile pretesto per uccidersi tra cristiani senza pietà”.
L’efferatezza della guerra civile e religiosa è stata di una tale intensità da spingere i padri del diritto naturale a convincersi della necessità che andasse rifondato il principio d’autorità, slegato però da una religione che metteva tutti contro tutti. Si è fatta così strada la convinzione che la difesa dell’uomo dovesse essere affidata alla ragionevolezza dell’uomo stesso, “e non più ai disegni della divina provvidenza; sono nati così l’Illuminismo e il suo linguaggio politico dei diritti, che hanno dato luogo alla “creazione di una nuova morale razionale e universale basata sui diritti […], attraverso il superamento dell’antico nesso tra morale e religione come principio fondatore della convivenza civile”. In questa prospettiva, i deisti à la Voltaire si sono mossi formulando “una religione naturale comune a tutti i popoli […], pensata per migliorare l’esistenza degli individui, devota a un dio lontano e disinteressato alle vicende umane, per creare i presupposti per la concezione universalistica e cosmopolita dei diritti”.
A parere di Ferrone, solo attraverso lo studio delle genealogia storica del linguaggio sui diritti dell’uomo formulato dagli illuministi e del loro durissimo confronto con i reazionari europei (amanti dell’Antico regime) è possibile comprendere le difficoltà cui è andata incontro sino ad oggi l’accettazione della natura universalistica e cosmopolita dei diritti dell’uomo, sebbene nessuno osi “dubitare del carattere universalista della scienza e del mercato, pur sempre figli di quel mondo”; solo così si può capire perché, con la Grande Rivoluzione del 1789 e il Terrore che l’ha caratterizzata, il progetto emancipatorio dell’Illuminismo ha finito, come già si è detto, col cadere nell’oblio generale, restando “sconosciuto, nei suoi tratti caratterizzanti originali, alla stessa critica storica e alla memoria identitaria dell’Occidente”.
La validità di questo giudizio è confermata dal fatto che, nei lavori preparatori per la stesura della Dichiarazione universale dei diritti del 1948, il Comitato dell’Unesco, incaricato di stenderne il testo, ha dedicato tutto il suo impegno alla ricerca dei fondamenti di tali diritti, trovandone le radici – rileva Ferrone – solo “nella Riforma e nel capitalismo, mescolando diritti della persona e diritti delle nazioni, mai facendo alcun cenno all’Illuminismo e alle ragioni del suo universalismo”.
Alla “smemoratezza” del Comitato dell’Unesco va aggiunto che, dopo la fine della Guerra fredda, in alternativa al lemma settecentesco “Rights of Man” (diritti dell’uomo), si è imposto il lemma “Human Rights” (diritti umanitari), che però non esprime la stessa cosa del primo. La cultura d’oltre Atlantico, giovandosi della crisi delle antiche ideologie (dell’internazionalismo socialista, del comunismo e del riformismo democratico) ha potuto presentare i diritti umanitari come espressione di una “forte discontinuità rispetto al progetto culturale e politico dei Rights of Man illuministici”. L’intento è stato quello di far apparire gli “Human Rights” come un’”invenzione recente senza vere radici nella storia del Vecchio Continente”, sottolineandone un presunto carattere universalistico; ciò “in opposizione al vecchio progetto illuministico che mirava invece a trasformare concretamente i diritti naturali in diritti di cittadinanza attraverso lo Stato e la nazione”, considerati dalla cultura post-moderna (affermatasi dopo il crollo delle antiche ideologie) i due “velenosi ingredienti della modernità politica occidentale”, colpevoli di tragedie, quali il colonialismo il razzismo, il totalitarismo e l’Olocausto.
Con la sua genericità, però, la retorica dei diritti umanitari, pur volta a difendere i diritti dell’uomo, ha difeso anche le comunità e i diritti delle nazioni, trascurando il fatto che nel linguaggio degli illuministi la parola uomo “aveva un chiaro significato universalistico, cosmopolita e polisemico”, nel senso che faceva riferimento all’“essere umano”, indipendentemente dalla sua appartenenza ad un dato Stato o a una data nazione.
Nel pensiero illuminista, il concetto di cittadinanza è diverso da quello affermatosi con la Rivoluzione del 1789, caratterizzato dal “mito della Nation”. La cittadinanza illuminista, fondata sui “Rights of Man”, implicava una considerazione universalistica e cosmopolita dell’individuo, a prescindere dai vincoli etnici e dalla diversità culturale, nella prospettiva della realizzazione di “una società civile aperta capace di coniugare merito e virtù”. In generale, sottolinea Ferrone, “nel pensiero politico dell’Illuminismo, al preliminare riconoscimento del primato dell’individuo era sempre corrisposto il tenace tentativo di pensarne la concreta realizzazione nella storia dei popoli […], nel rispetto del delicato equilibrio da realizzare tra soggetto e comunità senza però mai dimenticare l’assoluta centralità e la difesa dei diritti naturali del primo”.
Le diverse posizioni tra “riformatori illuministi” e “rivoluzionari”, in merito ai diritti dell’uomo sono emerse con chiarezza nel dibattito costituzionale che si è svolto in seno all’Assemblea Nazionale post-rivoluzione; un dibattito segnato “dalla sanguinosa esperienza del Terrore giacobino e dalla successiva stagione termidoriana” e svolto nella prospettiva di “rifondare la politica e legittimare su nuove basi il potere e la sovranità al fine di creare un nuovo ordine politico e sociale”. Poiché le tensioni che hanno caratterizzato tale dibattito traevano origine dalla persistenza delle culture politiche dell’Antico regime, non deve stupire – a parere di Ferrone – che sia stata sancita, così, la fine della Rivoluzione e del progetto illuminista.
Dopo decenni di oblio di tale progetto, il linguaggio illuminista dei diritti dell’uomo può essere riproposto, sia pure in presenza delle contrapposizioni che lo hanno caratterizzato, come laboratorio della modernità e superamento delle “complesse tensioni tra universalismo e gerarchie delle nazioni, tra individuo e comunità”, quindi tra coloro che teorizzano l’eguaglianza e chi “vede nella natura solo differenze”; ciò può essere fatto senza che queste tensioni non si svolgano, com’è accaduto nel corso del Settecento, in presenza di teorie razzistiche, in cui il nazionalismo crea le condizioni necessarie per la loro nascita.
A tal fine, conclude Ferrone, occorre approfondire la storia dei diritti dell’uomo, in quanto troppe domande sono rimaste sinora senza risposta, come quelle, ad esempio, sulle cause “dell’interruzione del programma illuministico”, oggi individuabili, non nelle presunte “fragilità filosofiche e teoretiche” del pensiero illuminista, come da più parti si sostiene, ma nella contrapposizione della “lotta politica e culturale nei secoli XIX e XX”. Solo con l’approfondimento della ricerca su tali questioni sarà possibile verificare cosa resti del lascito culturale e liberatorio dell’uomo lasciatoci dai Philosophes.
Questo auspicio, se accolto e realizzato, potrebbe servire anche a ricuperare un’idea, quella socialista, che il Terrore del “socialismo reale” è valso a screditare agli occhi di molti contemporanei, dando “fiato alle trombe” di chi “vede nella natura solo differenze”, alle quali vanno ricondotte le varie forme di disuguaglianza, di nazionalismo estremo e di razzismo, che ostacolano oggi, in gran parte dei Paesi occidentali a regime democratico, il ricupero dell’antico linguaggio dei diritti dell’uomo.

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