George Floyd, la tua vita un insopprimibile valore

12 Giugno 2020
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Andrea Pubusa

Ricordo che quando mio zio tirava il collo al gallo per cucinarlo ci metteva un bel po’, più o meno quanto George Floyd è rimasto a faccia in giù sul marciapiede con il ginocchio di Chauvin sul collo e con Kueng, altro poliziotto, che esercitava una pressione sul busto e Lane, anch’egli della pattuglia, sulle gambe mentre Thao, il quarto agente,  rimaneva nelle vicinanze a guardare l’esecuzione. Il gallo di mio zio menava con forza le ali ed emanava strida strazianti di dolore, Floyd è stato sentito ripetutamente dire “Non riesco a respirare”, “Per favore, per favore, per favore” e “Per favore, amico“. La scena è stata ripresa da testimoni ed è così atroce da essere inguardabile.
Il ricordo, apparentemente irriguardoso di cui mi scuso, dell’ammazzamento del gallo mi è venuto in mente perché una morte per soffocamento di quella natura non è istantanea, richiede tempo, forza e una determinazione ad uccidere che non contempla dubbi, perplessità. C’è dietro una convinzione, innanzitutto sul diritto di vita e di morte di chi uccide e poi sul fatto che la vittima è una cosa, un oggetto, non una persona. Ricordo sempre che mio zio quando faceva fuori il gallo, quasi a giustificare la ferocia della sua azione, diceva: “ Dio gli animali li ha creati per nutrire gli uomini“. Per Chauvin e i suoi colleghi il pensiero è lo stesso: “i neri sono fatti per servire i bianchi“, questi hanno su di loro, come dicevano i romani jus vìtæ ac nècis,  diritto di vita e di morte sugli schiavi, considerati alla stregua degli oggetti, delle cose. Ciò che salvava gli schiavi romani era il loro valore economico, sopratutto se erano giovani e forti. Nessuno normalmente distrugge le sue cose, e questo e solo questo limitava la  vitae necisque potestas, il potere del padrone di dare la vita e la morte.
Si possono fare mille analisi e cogliere mille sfaccettature in queste seriali vicende di ammazzamenti di neri, ma, al fondo, c’è solo una spiegazione chi ammazza ritiene di avere il diritto di farlo e pensa che la potestà di uccidere gli spetti perché il nero non è persona.
Tutto questo è fonte di grave turbamento. Pone interrogativi gravi. Com’è possibile che dopo le dichiarazioni dei diritti dell’uomo, dopo le costituzioni liberlademocratiche e quelle socialdemocratiche, dopo l’abolizione della schiavitù, dopo aver avuto negli States un presidente nero, una coppia di neri, una ottima famiglia di neri alla Casa bianca, possa esistere in modo diffuso questa barbarie? Come, dopo che i neri hanno arricchito l’umanità con la loro genialità in ogni campo, ci hanno regalato la miglior musica del Novecento, il jazz? Come può esistere ancora questa incultura? Sì perché più di mille morti di neri all’anno in USA  per motivi banali e con alternative evidenti è espressione di un modo di vedere diffuso. Geoge è stato ucciso solo per la voglia di uccidere, non giustificava l’azione assassina il fatto precedente (il pagamento di un pacchetto di sigarette con una banconota ritenuta falsa dal tabaccaio) nè lo svolgimento della vicenda: George era a terra immobilizzato con tre poliziotti addoso, ammanettarlo era semplice.
Non rimane che convicerci tutti di una cosa terribile: nel mondo il razzismo, l’idea di un primatismo bianco e più diffuso di quanto crediamo, il Ku Klux Klan ha in forme varie più diffusione di quanto non si creda e aderenti in tutti i luoghi, anche in quelli più impensabili.
L’ondata di indignazione e di lotta che attraversa il mondo è importante, è essenziale, dobbiamo farne un momento permanente di battaglia politica e azione culturale. Conta anche l’abbattimento dei simboli. Il mondo ha strade e piazze infestate dai nomi e dalle immagini di chi ha oppresso i popoli, come quell’Edward Colston che faceva il filantropo in patria coi soldi accumulati con la tratta degli schiavi.  Va bene anche questa ira iconoclasta, ma bisogna rimetterci in marcia, bisogna riprendere a lavorare quotidianamente per abbattere quel razzismo che sta in noi e intorno a noi.

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