A proposito del libro di Noemi Ghetti su “Gramsci e le donne” Clara Zetkin: «Assicurai Lenin che condividevo le sue idee …»

28 Marzo 2021
1 Commento


Gonario Francesco Sedda

(Clara Zetkin)

Il webinar, organizzato dalla Scuola di cultura politica F. Cocco, sul libro di Noemi Ghetti “Gramsci e le donne”, dopo i primi tre commenti, si arricchisce di un nuovo intervento, quello di Gonario Francesco Sedda, attento studioso del movimento comunista internazionale e di Gramsci, di cui ha tradotto le lettere in sardo ai familiari (”Chentu litteras a sos de domo, ed. Domus de janas, 2013).

Non risulta che Gramsci abbia contrapposto la sua originale e più ricca concezione della lotta per l’emancipazione (e per la liberazione) della donna a quella di Lenin. Quando lo cita – «Senza la partecipazione della maggioranza delle donne la rivoluzione socialista non è possibile» – non rinuncia alle sue idee di dirigente indipendente quale ha saputo e voluto sempre essere; e comunque Gramsci non è un ipocrita né un opportunista tale da poter tacere su un argomento importante come l’emancipazione femminile.
E Pia Carena, Camilla Ravera, Rita Montagnana e Teresa Noce, chiamate a tracciare il profilo del loro compagno di lotte, non danno per niente testimonianza di un Gramsci in contrasto fondamentale con la “deprimente” (Ghetti) concezione leniniana della emancipazione femminile. Loro stesse, rivoluzionarie e donne, non denunciano la rigida ortodossia a cui - secondo la Ghetti - sono improntati tutti gli interventi di Lenin sull’argomento, non vedono la sua modesta simpatia per la questione né l’irritazione o l’aperta ostilità per iniziative femminili a favore delle donne.

1. Clara Zetkin è (con R. Luxemburg, A. Kollontaj e Inessa Armand) una delle rivoluzionarie «intelligenti e allo stesso tempo scomode, uguali e insieme diverse … [che] svolgono una incessante attività politico-organizzativa e, in primo luogo culturale, aperta anche oltre la cerchia delle militanti … con la convinzione, crescente negli anni, che le donne del proletariato, tanto le operaie quanto – e a maggior ragione – le contadine si trovano a confrontarsi con una doppia forma di sfruttamento quello di classe e quello domestico, in famiglia». Così Noemi Ghetti (“Gramsci e le donne”, 2020).
La rivoluzionaria tedesca nel 1925 scrive un resoconto (“Lenin e il movimento femminile”) di un incontro avuto col bolscevico russo. Tutto quello che N. Ghetti riporta di quel colloquio è il risultato di tagli che mettono in evidenza solo le parti più datate e “grezze” del discorso leniniano proiettandole fuori dal contesto storico. Ed è proprio la decontestualizzazione che impedisce a N. Ghetti di capire il modo di partecipare di Clara Zetkin a quel colloquio. La rivoluzionaria tedesca (intelligente e scomoda) si confronta con Lenin da dirigente indipendente e tuttavia non addita le argomentazioni leniniane al disprezzo universale.
«Lenin ascoltava attento … senza alcun segno di noia, d’impazienza o di stanchezza. Si interessava vivamente anche ai particolari d’importanza secondaria. Non conosco nessuno che sappia ascoltare meglio di lui, classificare così presto i fatti e coordinarli […]».
Quando discutono dell’attività politico-organizzativa in Germania C. Zetkin risponde in modo convincente alle critiche di Lenin: «Feci notare che le questioni sessuali e matrimoniali in regime di proprietà privata suscitavano problemi molteplici, che erano causa di contraddizioni e di sofferenze per le donne di tutte le classi e di tutti gli strati sociali. […] Il mondo dei vecchi sentimenti, delle vecchie idee scricchiola da ogni parte. […] Si vedono apparire i germi di nuove primizie ideologiche, che non hanno ancora preso forma, per le relazioni tra gli uomini. […] Fare la critica storica di questa società significa sviscerare senza pietà l’ordine borghese … e stigmatizzare tra l’altro la falsa morale sessuale. Tutte le strade conducono a Roma. Ogni analisi veramente marxista riguardante una parte importante della sovrastruttura ideologica della società o un fenomeno sociale notevole deve condurre all’analisi dell’ordine borghese e della sua base, la proprietà privata; ciascuna di queste analisi deve condurre a questa conclusione: “Bisogna distruggere Cartagine”».
E N. Ghetti commenta: «Ma Lenin non si placa e, ironizzando sull’aria da avvocato della difesa assunta dalla Zetkin nei confronti del proprio partito, insiste che tali dibattiti alimentano una “sete ardente di facili piaceri”»; cioè rimanda all’immagine di un inquisitore inesorabile (“non si placa”) e irrispettoso delle rivoluzionarie “intelligenti e scomode” che lavorano nel movimento femminile. Invece, proseguendo il colloquio, prima di lanciarsi nel territorio “grigio” della sete ardente dei facili piaceri, il capo bolscevico si concede una pausa: «Lenin sorrideva e faceva segni di approvazione»; e poi: «Molto bene. Voi avete l’aria di un avvocato che difende i suoi compagni e il suo partito. Certo, ciò che dite è giusto. Ma potrebbe servire soltanto a scusare l’errore commesso in Germania non a giustificarlo. Un errore commesso rimane un errore». Sembra che a Lenin interessi non solo quanto sia d’accordo con le analisi e le intenzioni di C. Zetkin, ma anche quanto la situazione reale del partito tedesco sia coerente con tali analisi e intenzioni. E sembra che la stessa interlocutrice se ne renda conto: «Al mio amico che mi riprovava spiegai che non avevo perso occasione per criticare, per replicare alle compagne dirigenti, per far intendere la mia voce in luoghi diversi, ma egli doveva sapere che nessuno è profeta in patria e neppure in famiglia. Con la mia critica mi ero attirata l’accusa di restare ancora fedele alle sopravvivenze dell’ideologia socialdemocratica e dello spirito piccolo-borghese vecchio stile. Tuttavia la mia critica aveva finito per portare i suoi frutti. Le questioni del sesso e del matrimonio non erano più al centro delle nostre discussioni nei nostri circoli e nelle riunioni serali destinate alle discussioni».
Poi Lenin si lancia nel territorio “grigio” della sete ardente di facili piaceri. Chi vuole può leggere gli estratti di N. Ghetti o l’intera parte direttamente dallo scritto della rivoluzionaria tedesca. Ma ciò che sorprende è il commento di C. Zetkin: «Lenin aveva parlato con molta vivacità e convinzione […]. Ciò che mi colpiva era di vedere Lenin porre una così grande attenzione, oltre che ai problemi politici più urgenti e gravi, alle questioni secondarie e analizzarle con tanta cura, non limitandosi a ciò che riguardava la Russia sovietica, ma occupandosi anche dei paesi capitalistici. Da perfetto marxista, Lenin affrontava il problema con spirito pratico, sotto qualsiasi forma si manifestasse, e ne valutava l’importanza in rapporto al generale, al tutto. […]». E sorprende anche la sua conclusione: «Come rimpiango, compagno Lenin – esclamai – che centinaia e migliaia di persone non abbiano sentito le vostre parole. Per me, lo sapete bene, non avete bisogno di convincermi. Ma sarebbe estremamente importante che la vostra opinione fosse conosciuta dai vostri amici come dai vostri nemici».

2. «La direttiva lapidaria di Lenin, con cui bruscamente chiude l’argomento del lungo colloquio, è chiara: “Nessuna organizzazione particolare per le donne. Una donna comunista è membro del partito non meno di un uomo comunista. Non deve esserci al riguardo un’impostazione particolare. […] Questo non è femminismo: è la via pratica, rivoluzionaria”». Così Noemi Ghetti.
Ma Lenin non si limita a dare una direttiva lapidaria né chiude bruscamente il colloquio: sta discutendo con una autorevole dirigente comunista, intelligente, scomoda, indipendente; fa domande e ascolta (“attento … senza alcun segno di noia, d’impazienza o di stanchezza”), approva o disapprova, dissente o acconsente.
«[…] Quali sono i vostri progetti?» – chiede Lenin. «Glieli esposi. Mentre parlavo Lenin fece più volte cenni di approvazione. Quando terminai lo guardai con aria interrogativa“.
«D’accordo – disse Lenin – Discutetene con Zinoviev. Sarebbe bene se poteste discuterne anche in una riunione di dirigenti comuniste. […] Desidero solo chiarire alcuni punti su cui condivido la vostra opinione. […] Bisogna sottolineare i legami indissolubili che esistono tra la posizione sociale e quella umana della donna: questo servirà a tracciare una linea chiara e indelebile di distinzione tra la nostra politica e il femminismo. […] Il movimento comunista femminile deve essere un movimento di massa, una parte del movimento generale di massa, non solo del proletariato, ma di tutti gli sfruttati e di tutti gli oppressi, di tutte le vittime del capitalismo e di ogni altra forma di schiavitù. […] Senza le donne non può esistere un vero movimento di massa. Le nostre concezioni ideologiche comportano problemi organizzativi specifici. Nessuna organizzazione particolare per le donne. Una donna comunista è membro del partito non meno di un uomo comunista. Non deve esserci al riguardo un’impostazione particolare. Tuttavia non dobbiamo nasconderci che il partito deve avere enti, gruppi di lavoro, commissioni, comitati, uffici o quel che più piacerà, con il compito specifico di risvegliare le masse femminili, di mantenere con esse i contatti e di influenzarle. Il che, è ovvio, esige un lavoro sistematico».
Riguardo alla collocazione della donna nel lavoro rivoluzionario Lenin distingue due piani: quello del partito e quello del movimento femminile di massa. Nel partito una donna comunista è membro non meno di un uomo comunista e non si può certamente affermare il contrario. Non si può neppure sminuirla relegandola in organismi “a lato” del partito che finirebbe di fatto quasi esclusivamente nelle mani degli uomini. Ma per il lavoro tra le masse femminili occorrono enti, gruppi di lavoro, commissioni, comitati, uffici o quel che più piacerà. Questo lavoro deve essere il più ampio possibile. «[…] Non mi riferisco soltanto alle donne proletarie che lavorano in fabbrica o in casa. Anche le contadine povere, le piccole borghesi sono vittime del capitalismo […]. La mentalità antipolitica, antisociale, retriva di queste donne, l’isolamento a cui le costringe la loro attività, tutto il loro modo di vivere: questi sono i fatti che sarebbe assurdo, assolutamente assurdo, trascurare. Abbiamo bisogno di organismi appropriati per condurre il lavoro tra le donne. Questo non è femminismo: è la via pratica, rivoluzionaria».
C. Zetkin coglie i due piani del ragionamento leniniano: «Dissi a Lenin che le sue parole mi davano coraggio: molti compagni, e buoni compagni per giunta, si opponevano decisivamente all’idea che il partito costituisse organizzazioni, particolari per il lavoro tra le donne. Essi la scartavano come femminismo e come ritorno alle tradizioni socialdemocratiche e sostenevano che i partiti comunisti, accordando per principio parità di diritti a uomini e donne, dovessero lavorare senza far differenze di sorta tra le masse lavoratrici. Le donne devono essere ammesse nelle nostre organizzazioni come gli uomini e senza alcuna distinzione. Ogni discriminazione nell’agitazione come nell’organizzazione, dettata dalle circostanze descritte da Lenin, era bollata di opportunismo, considerata da coloro che si opponevano come una capitolazione e un tradimento».
Lenin dice che questa non è una novità e continua: «Perché non abbiamo mai avuto nel partito un numero eguale di uomini e donne, neanche nella repubblica sovietica? Perché è così esiguo il numero delle donne lavoratrici iscritte nei sindacati? I fatti debbono indurci a riflettere. […] Noi odiamo, si, odiamo tutto ciò che tortura e opprime la donna lavoratrice, la massaia, la contadina, la moglie del piccolo commerciante e, in molti casi, la donna delle classi possidenti».
Per conquistare la fiducia delle donne non basta una propaganda meccanica e ripetitiva – «come suonassimo la tromba di Gerico» – sulla necessità della rivoluzione proletaria. Solo nella e con la lotta si conquista «la fiducia delle masse femminili che si sentono sfruttate, asservite, oppresse dall’uomo, dal datore di lavoro, da tutta la società borghese. Tradite e abbandonate da tutti, le lavoratrici riconosceranno che devono lottare al nostro fianco». Solo attraverso la loro esperienza le donne possono «acquistare coscienza del legame politico che esiste tra le nostre rivendicazioni e le loro sofferenze, i loro bisogni, le loro aspirazioni». Così Lenin.

3. “Gratta un comunista e troverai un filisteo!”
«Il lavoro di agitazione e propaganda tra le donne, la diffusione dello spirito rivoluzionario tra di loro, ven­gono considerati come questioni occasionali, come fac­cende che riguardano unicamente le compagne. Soltanto alle compagne si rivolgono i rimproveri se il lavoro in questa direzione non procede più speditamente ed energicamente. Ciò è male, assai male. È separatismo bello buono, è femminismo […] alla rovescia! Cosa c’è alla base di questo atteggiamento sbagliato delle nostre sezioni nazionali? In ultima analisi non si tratta altro che di una sottovalutazione della donna e del suo lavoro. Proprio così! Disgraziatamente si può ancora dire di molti compagni: “Gratta un comunista e troverai un filisteo!”. Evidentemente do­vete grattare il punto sensibile: la loro concezione della donna. Può esserci prova più riprovevole della calma acquiescenza degli uomini di fronte al fatto che le donne si consumano nel lavoro umiliante, monotono della casa, sciupano, sperperano energia e tempo, acquistano una mentalità meschina e ristretta, perdono ogni sensibi­lità, ogni volontà? Naturalmente non alludo alle donne della borghesia che scaricano sulla servitù la responsabi­lità di tutto il lavoro della casa, compreso l’allevamento dei bambini. Mi riferisco alla schiacciante maggioranza delle donne, alle mogli dei lavoratori e a quelle che pas­sano le giornate in un’officina. Pochissimi uomini – an­che tra i proletari – si rendono conto della fatica e della pena che potrebbero risparmiare alla donna se dessero una mano “al lavoro della donna”. Ma no, ciò è contra­rio ai “diritti e alla dignità dell’uomo”: essi vogliono pace e comodità. La vita domestica di una donna costi­tuisce un sacrificio quotidiano fatto di mille nonnulla. La vecchia supremazia dell’uomo sopravvive in segreto. […] Conosco la vita dei lavoratori non dai libri soltanto. Il nostro la­voro di comunisti tra le donne, il nostro lavoro politico, comporta una buona dose di lavoro educativo tra gli uomini. Dobbiamo sradicarla del tutto la vecchia idea del “padrone”! Nel partito e tra le masse». Così Lenin.
A ciascuno il suo. Poi il dissenso (parziale o totale) o il consenso (parziale o totale, critico o passivo) è un’altra “quistione”.

 

1 commento

Lascia un commento