SuperMario: anche tu equilibrista nella pandemia!?

31 Marzo 2021
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Tonino Dessì

Ciascuno di noi, entro i limiti della ragionevolezza, credo abbia titolo per sostenere quel che la propria soggettiva consapevolezza lo induce a percepire della realtà. Io ieri sono rimasto perplesso sulle dichiarazioni di Mario Draghi.
Mi pare che per un verso il Presidente del Consiglio si sia sforzato di adempiere a un dovere, nel diffondere un messaggio ottimistico diretto a un Paese messo duramente alla prova dalla pandemia non solo per gli aspetti sanitari, ma ancor più per le gravi conseguenze economiche e non meno per i sacrifici nelle libertà personali.
Per converso mi pare che Draghi si stia cimentando nelle medesime necessità di equilibrio fra vari interessi, anche politici, sulle quali si era volenterosamente cimentato più o meno analogamente Giuseppe Conte.
Aprire, non riaprire, in che modo, in vista dell’estate?
Rispetto all’anno scorso nel medesimo periodo ci sono differenze e similitudini.
Le differenze stanno nella portentosa opportunità dei vaccini, oltre che nell’esperienza acquisita nelle cure sintomatiche. Ieri in UK, per la prima volta dopo un anno, non si è registrato un solo morto di (massì, neanche con) covid.
Le similitudini stanno purtroppo nel fatto che in Italia marciamo a quattrocento morti fissi al giorno di (massì, anche con) covid, nelle sue varianti.
E che, fatte le debite differenze fra Regioni, il livello medio nazionale di impegno delle terapie intensive per (massì anche con) covid è del quaranta per cento (la soglia di relativa gestibilità è stata fissata al trenta).
La Germania marcia più o meno come noi, la Francia assai peggio, gli USA, nonostante oltre cento milioni di vaccini somministrati (superando a velocità siderale l’incapacità dell’amministrazione Trump), non sono ancora usciti dal picco di fase.
Ora, non credo di auspicare meno di chiunque altro un’uscita dalla crisi pandemica il più sollecita possibile.
Resto però tuttora preoccupato di qualche possibile abbaglio ottico.
Questo virus va combattuto a livello planetario, altrimenti scordiamoci che smetta di insidiarci.
E per ora siamo ben lontani dall’obiettivo.
L’anno scorso ci siamo (ci hanno, anche) illusi che gli effetti del radicale lockdown di qualche mese ormai avessero dimostrato che la questione era risolta.
Così alla vigilia dell’estate si è dato il via libera alla riapertura e alla ripresa.
“Come abbiamo vinto”, titolava il libro del Ministro della Salute, poi prontamente ritirato dall’imminente distribuzione.
E già a luglio abbiamo constatato che non avevamo vinto manco per nulla: anzi, la diffusione era repentinamente peggiorata.
Perciò si, programmiamo con fiducia.
E intanto vacciniamo tutto il vaccinabile, prima che si ponga (come si porrà comunque) il problema di perfezionare i vaccini finora disponibili (quelli veri, non quelli ancora nel limbo delle autorizzazioni).
Ma evitiamo, per carità, di prospettare un “liberi tutti” incondizionato a breve: il buon senso dovrebbe indurci a evitare certe follie.
Anche perché -rendiamocene conto- l’eventuale ripetersi di un errore di previsione analogo a quelli precedenti aprirebbe uno scenario molto inquietante.
Piuttosto che ammettere un nuovo fallimento, il rischio potrebbe diventare quello di un negazionismo istituzionale e politico poggiato sulla prevalenza delle istanze economiche (fermi indefinitamente non si può restare, di questo mi rendo conto anch’io).
E a quel punto una pulsione alla selezione generazionale, demografica, sociale a danno dei più sacrificabili diventerebbe implacabile.
Insomma, pensiamoci bene, a quel che facciamo, ogni momento, come collettività e come individui ed evitiamo di sbracare inseguendo miraggi.

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