Staff: si rafforza un apparato regionale fuori legge!

26 Maggio 2021
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Andrea Pubusa

Fra i tanti discostamenti della costituzione materiale da quella formale, lavoro, sanità, uguaglianza, forse il più dimenticato è quello che riguarda l’amministrazione regionale e locale rispetto al disegno dei nostri padri fondatori. “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. Questo dice l’art. 118 Cost. che vuole tutta l’amministrazione diffusa a livello territoriale, vicino ai cittadini per i quali svolge una funzione di servizio. Esplicito in questo senso è l’art. 44 dello Statuto speciale sardo “La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici“. Quindi, per il nostro costituente la Regione non deve essere dotata di un pesante apparato amministrativo. Le funzioni amministrative stanno generalmente in capo ai Comuni, la Regione ha solo quelle funzioni amministrative necessarie a fare le leggi, a programmare, a coordinare. Un progetto rivoluzionario quello dei costituenti perché ribalta la tradizionale idea di un esecutivo dotato di un apparato proprio per dare attuazione alle leggi. E - a ben pensarci - è lì che si esercita il potere vero, nel corpo dell’amministrazione, è lì che si formano o si stabilizzano i gruppi di comando.E’ li’ che passano i soldi. Non è un caso che anche le grandi rivoluzioni abbiano trovato i loro freni, le loro vischiosità proprio negli apparati amministrativi, che poi attraversano, indenni o quasi, i rivolgimenti sociali e politici, rimanendo intatti quantomeno nel personale.
Ora, stando al dettato statutario sardo, il corpaccione amministrativo regionale è fuori legge, i funzionari dovrebbero essere dipendenti comunali o provinciale sparsi nel territorio, solo coordinati a livello regionale. Ma sono evidenti le ragioni che spingono in direzione opposta: la necessità degli organi di comando regionale di controllare l’apparato e, tramite esso, costruire e alimentare vaste clientele, ottenere ampi consensi a politiche sostanzialmente antipopolari. E’ quanto ha fatto la DC nel primo impianto, creando una corazza amministrativa così forte da renderla intangibile. Poi c’è il trattamento economico, più alto per i regionali rispetto ai dipendenti comunali. Per di più stare in trincea, vicino ai cittadini non piace, bisogna dare risposte appropriate e subito. Prende risalto la funzione, il servizio, si attenua o si annulla il potere.
La legge di Solinas approvata ieri, costo tre milioni e mezzo, sugli staff s’inquadra in questa visione antistatutaria di rafforzare apparati fidelizzati in chiave di potere, anziché pensare ad un’amministrazione diffusa nel territorio protesa a “servire il popolo“. Si rafforza così la palla al piede che blocca e frena all’origine lo sviluppo. Preme di più gestire le risorse, ancor più se sene prevede un incremento col Revovery Plan.
A futura memoria, si sappia che del “ritorno allo Statuto“, qualcuno di noi parlò durante la presidenza Melis, ma anche le orecchie comuniste e sardiste furono sorde, mentre i socialisti di Craxi erano maestri nel piegare la funzione amministrativa a fini deteriori.
E allora, come non condividere le amare considerazioni di Tonino Dessì. In pratica, con la legge sugli staff, “si sta procedendo a sistemare a spese pubbliche proprio quegli apparati e le loro appendici” che premono sui sardi. “Poco importa se l’amministrazione regionale viene ulteriormente picconata (non che non fosse stata già ampiamente logorata dall’incuria e dall’incompetenza di altre maggioranze e di altre Giunte dagli alterni colori politici).
Mica possiamo pretendere che la politica si preoccupi anche degli interessi, del presente e del futuro della Sardegna. Ma quando mai
“.
Se per qualche secolo sono stati i feudatari spagnoli a mangiarsi il  grosso del surplus prodotto dai sardi, poi sono stati prevalentemente i grandi gruppi del Nord, ora come allora, insieme ai gruppi dominanti, sono i ceti parassitari indigeni a fare da supporto per qualche bricciola. Il fatto angosciante è che non si vedono reazioni. All’orizzonte non si vedono i Giommaria, gli Emilio, i Nino. Che disastro!

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