A volte ritornano. L’insularità cancella8ta dall’art. 119 forse ora torna in Costituzione, ma per rendere effettiva l’uguaglianza ci vuole la lotta del popolo sardo, e pure dura

1 Novembre 2021
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Andrea Pubusa

 

 

A volte ritornano. Corsi e ricorsi. L’insularità, esistente nell’originario testo della Costituzione all’art. 119 (”Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali“), è stata cancellata nella revisione del titolo V del 2001, nell’indifferenza generale anche delle forze politiche delle isole, ed ora è in corso il reinserimento con una nuova formulazione: “Lo Stato riconosce il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità e dispone le misure necessarie a garantire un’effettiva parità e un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili”.
Il nuovo testo è più specifico e prescinde dal contesto, che invece è ben presente nel testo originario. In questo infatti è costituzionalizzata la questione meridionale ed in essa è inserita l’insularità. I costituenti avevano ben presente lo sviluppo duale dell’Italia e volevano porvi rimedio attraverso una valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole. Questo disegno poi per la Sardegna aveva una specificazione nell’art. 13 dello Statuto speciale che prevedeva l’adozione di un piano organico di sviluppo. E l’organicità del piano comprende anche gli aspetti connessi all’insularità. La finalità è evidente creare effettiva parità ed eliminare i fattori economico-culturali che hanno presieduto alla formazione delle disparità e al loro perpetuarsi. Il nuovo testo, invece, partendo dall’insularità, vuole impegnare la repubblica nell’adozione delle misure volte all’effettiva parità e al godimento dei diritti individuali e inalienabili. Forse sarebbe stato meglio accanto a quelli individuali prevedere il pari godimento anche dei diritti sociali. In ogni modo, non sarebbe cambiato molto. Lasciando perdere la minuta analisi delle differenze nella formulazione dei due testi, possiamo dire che entrambe intendono impegnare la Repubblica nell’arduo compito di dare alle isole le stesse opportunità delle regioni di terraferma. Si tenga conto poi del fatto che l’art. 13 dello Statuto è sempre vigente e, dunque, un nuovo piano può e deve essere adottato.
C’è stato un forte giubilo da parte dei promotori per i passi avanti del nuovo testo in Sensto e si comprende. In effetti, è un successo della loro meritoria inziativa. Ne siamo felici. Ciò che lascia perplessi è piuttosto l’ingenuità nell’individuare  gli effetti ch’essi attribuiscono all’eventuale revisione. Lungi da me svilire l’aspetto formale dell’inserimento in una Carta costituzionale rigida di un principio. La rigidità del testo annette alle sue disposizioni il triplice effetto di essere parametro invalicabile di legittimità delle leggi ordinarie (sono illegittime quelle contrastanti), canone interpretativo (non sono ammesse interpretazioni contrastanti) e principio propulsore della futura legislazione. Quindi, dall’inserimento dell’insularità nella Carta deriva al legislatore il dovere di attuazione rigorosa. Tuttavia, è ben noto che sotto la vigenza del vecchio testo il divario non è  stato colmato, anzi per certi aspetti si è aggravato. Perché col nuovo testo questo miracolosamente dovrebbe sparire, perchè dovrebbe esserci stavolta un automatico adeguamento? Come si è detto, hc’è anche l’art. 13, sempre vigente. Qui vengono le dolenti note e in questo blog lo abbiamo già sottolineato proprio a proposito dell’insularità. Le Carte sono esattamente pezzi di carta e tali rimangono se non ci sono forze che le traducono in misure legislative, normative, finanziarie, efficaci e viventi. Per il Piano di Rinascita ci fu un grande movimento e una forte elaborazione a partire dal Congresso del Popolo sardo, di cui però oggi non si vedono testa né gambe per una replica. Non bisogna però disperare. Diciamo che il reinserimento dell’insularità in Costituzione è un primo passo, una premessa, una spinta. E allora? Allora al lavoro e alla lotta, come si diceva e si faceva un tempo. Facciamo un nuovo Congresso del Popolo sardo. Magari, per essere moderni, chiamiamolo meeting!

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