Fra autonomia e tutela paesaggistica, luci e ombre dopo la sentenza della Corte costituzionale del 23 dicembre

29 Dicembre 2021
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Tonino Dessì

Sono piuttosto sconcertato dalle valutazioni che leggo sulla stampa in relazione alla sentenza dello scorso 23 dicembre con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 1 della legge regionale sarda 13 luglio 2020 n. 21.
Gli uffici regionali che hanno predisposto la nota pubblicata dall’Assessore dell’urbanistica Quirico Sanna e una successiva intervista all’ex Assessore regionale degli Affari generali della Giunta Pigliaru Gianmario Demuro, docente di diritto costituzionale, non mi sembra chiariscano affatto la portata delle questioni coinvolte e sembrano convergere più che altro sul punto che occorrerebbe, per adeguare il riparto delle competenze fra Stato e Regione, modificare sia lo Statuto speciale sia le relative norme di attuazione.
Per converso, da altre voci, si plaude indiscriminatamente alla sentenza, perchè avrebbe nuovamente sventato un tentativo di travolgere la pianificazione paesaggistica derogando alle norme di tutela di ambiti ambientali particolarmente delicati, quali in particolare le zone umide adiacenti ai centri abitati e segnatamente alla conurbazione cagliaritana.
Ogni volta che ci si trova di fronte a queste vicende, chi abbia una certa sensibilità sul versante dell’autonomia istituzionale speciale sarda, ma nel contempo ne abbia una non meno radicata sulla tutela del territorio e dell’ambiente, non può non provare una certa intima lacerazione.
Bilanciati sul piano strettamente materiale e contingentemente politico gli oggetti in campo, per quanto con qualche rammarico (autonomistico), purtroppo tocca condividere la soddisfazione e persino il sollievo per la sentenza.
Il tentativo oggetto della censura costituzionale non è peraltro nuovo (ce ne fu uno del tutto simile nella scorsa legislatura da parte di una maggioranza e di una giunta di diverso colore) e che sia stato nuovamente bloccato resta un fatto positivo.
L’autonomia e la specialità, o dimostrano di servire interessi generali e beni comuni, oppure perdono di credibilità e di sostegno, c’è poco da fare.
Idem, per li rami, per ogni invocazione di una propagazione della soggettività istituzionale, declinata che si voglia in chiavi federaliste o indipendentiste.
Tutto ciò precisato, la sentenza ricostruisce una vicenda sulla quale permangono reticenze anche storiche.
Il conferimento delle funzioni esclusive alla Regione Autonoma della Sardegna in materia di pianificazione paesaggistica risale al decreto legislativo n. 480 del 1975, recante norme di attuazione dello Statuto speciale.
Di trasferimento trattasi e non di delega.
Non c’è mai stato dubbio che un trasferimento pieno verso una Regione speciale, determinato con la procedura paritetica “a competenza riservata” che presiede alle norme di attuazione dello Statuto, non sia più ritrattabile dalla legislazione ordinaria statale.
Non vi era obbligo di copianificazione con lo Stato.
La situazione non mutò istituzionalmente neppure nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione, in quanto la preesistente potestà (legislativa) esclusiva dello Stato, derivante dall’articolo 9 Cost. in materia di tutela del paesaggio è stata puramente e semplicemente ricompresa nell’elenco delle materie di cui al comma 2 dell’art. 117 del nuovo testo costituzionale.
Il concetto di copianificazione viene introdotto nel Codice Urbani (decreto legislativo n. 42 del 2004), ma la sua estensione alle funzioni amministrative e di pianificazione già trasferite alle Regioni speciali, pur trattandosi di norma di grande riforma economico-sociale ai sensi dell’articolo 3 dello Statuto speciale della Sardegna, non sembrava poter essere invocata.
Anche le norme di grande riforma economico-sociale infatti vanno intese nella loro portata di principio, non possono cioè essere interpretate nè applicate unilateralmente e alla lettera alle Regioni speciali in deroga ai poteri riconosciuti alle medesime dalle riforme previgenti.
Talchè quando approvammo il PPR per l’ambito costiero, nel 2006, non era intercorsa alcuna attività di copianificazione.
Il PPR sardo, costituito da una rielaborazione omogeneizzata dei materiali conoscitivi e cartografici accumulati durante e dopo la prima pianificazione paesaggistica regionale del 1993, fu approvato senza alcuna copianificazione con le amministrazioni statali.
Come ben ricostruisce la sentenza, la copianificazione come vincolo alle successive attività regionali in materia paesaggistica, viene introdotta con un’intesa fra Regione sarda e Stato del 2007.
A me pare di poter definire quell’intesa come una sorta di “cessione di sovranità”, da un lato derivante da pressioni statali volte all’omogeneizzazione delle procedure di pianificazione paesaggistica a livello nazionale, dall’altro vissuta dalla parte politica e istituzionale regionale allora in carica come una forma di “controassicurazione”, nella prospettiva di possibili cambi di regime politico domestico e pertanto come paletto di garanzia, sia pure di ispirazione “prefettizia”.
Fatto sta che la sentenza della Corte basa, sì, la decisione sullo sfondo formale della portata del Codice del Paesaggio del 2004 e della sua incidenza anche sulle funzioni esclusive della Regione Sarda ai sensi dell’articolo 3 dello Statuto speciale, tuttavia concretamente cassa la legge regionale impugnata in quanto violerebbe l’obbligo della “leale collaborazione” derivante specificamente da quell’intesa del 2007.
Una questione sulla quale davvero riflettere, perché ancora una volta richiama l’attenzione su un rapporto istituzionale e costituzionale con lo Stato non propriamente coerente e lineare.

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