Carbonia. I 72 giorni. Dicono gli storici, Giannarita Mele, Antonello Mattone, Maria Luisa Di Felice, Ignazio Delogu, Claudio Natoli. Coscienza di classe e funzione dirigente.

25 Settembre 2022
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Gianna Lai

 

 

Come ogni domenica, oggi nuovo post sulla storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

 

La professoressa Giannarita Mele, Storia della Camera del lavoro di Cagliari nel Novecento, descrive le ragioni e i modi di quella mobilitazione, esprimendo un giudizio ben preciso sulle responsabilità della SMCS di fronte alle proteste del movimento operaio sulcitano: “All’intervento unilaterale della Carbosarda sui canoni degli alloggi, sulle forniture di carbone e di energia elettrica ai suoi dipendenti e sulle tabelle del cottimo, la Federazione Provinciale dei Minatori risponde con la non collaborazione, cioè con il rigido rispetto del mansionario, senza straordinari nè cottimi”. E mette in luce, la professoressa, le considerazioni del prefetto, atte a giustificare l’intervento illegittimo della SMCS “- I dirigenti dell’azienda sono venuti nella determinazione di diminuire i salari in misura proporzionale al diminuito rendimento, provvedimento questo che,… trova la sua giustificazione nella inderogabile necessità di combattere decisamente un atteggiamento che si concreta in un aperto danno per la produzione e per gli stessi lavoratori-”. E ancora, dallo scritto della professoressa, “La protesta si acuisce tra tentativi falliti di conciliazione e momenti di grande tensione, fatta di fermate del lavoro e di licenziamenti, cui segue anche l’occupazione dei pozzi, con una presenza sempre più massiccia delle forze dell’ordine, tanto che le trattative tra le rappresentanze sindacali e aziendali vengono avocate a Roma”.
Così lo storico Antonello Mattone, che indica il momento più duro di quella lotta nella politica di pressione e di intimidazione attuata dalla Carbosarda contro i lavoratori: “si agevola il crumiraggio, nel mese di novembre i salari vengono decurtati del 30%, decine e decine di operai vengono sospesi indiscriminatamente dal lavoro per due giorni e poi licenziati se continuano a scioperare” Parla quindi della ulteriore decurtazione dei salari al 50%, a metà dicembre, dopo 64 giorni di non collaborazione, quando “si registrano casi di fame e di disperazione. Gli esigui fondi della sottoscrizione promossa dalla Camera del lavoro sono assolutamente insufficienti per aiutare i minatori e le loro famiglie. Si decide tuttavia di andare avanti. Anche in seno alla CGIL ci sono timori e perplessità sugli esiti di una lotta a oltranza: Bitossi e Di Vittorio si fanno interpreti, contro il parere di Spano, di una linea più possibilista, meno intransigente, tesa a trovare una soluzione e un accordo a qualsiasi costo, per evitare una eventuale tragica sconfitta dei minatori. La Carbosarda, però, non intende cedere”. Fino alla sera del 16 dicembre, quando “Bitossi telefona alla Federazione del PCI di Cagliari: la Carbosarda ha firmato un accordo che accoglie gran parte delle richieste sindacali. Il 17, dopo 72 giorni di lotta, i minatori di Carbonia possono tornare al loro lavoro”.
E si esprime ancora lo storico su quella lotta, nell’introduzione a
Riscossa Sardista, guardando agli esiti finali, “L’agitazione guidata dalla CGIL e sostenuta dal PCI dal PSI e dal Psd’AS, si conclude con un accordo positivo che accoglie gran parte delle richieste operaie. La lotta dei 72 giorni costituisce tuttavia soltanto una grande prova di forza da parte della classe operaia, una vittoria importante ma momentanea: in questo senso è destinata a chiudere una fase della storia del bacino minerario sardo. Il movimento operaio delle miniere sarde non riesce, comunque, ad intaccare il meccanismo di sviluppo economico e subisce, di fatto, la restaurazione capitalistica”. E tuttavia, “Proprio dalla crisi dell’industria estrattiva, anche in Sardegna cominciano a mutare i termini classici della questione sarda, attraverso una nuova integrazione capitalistica che accentua gli elementi di squilibrio e di arretratezza dell’economia isolana, cioè la sua sostanziale marginalità nello sviluppo, in una linea di tendenza che ancor oggi non si può dire del tutto conclusa. Ci preme tuttavia richiamare questa problematica per sottolineare l’inadeguatezza e, sopratutto, la non incidenza delle costituenti istituzioni autonomistiche, Alto Commissario, Consulta regionale, nei confronti della drammatica situazione economica.
Dice la professoressa Maria Luisa Di Felice, mettendo in luce i momenti conclusivi di quella lotta e le questioni irrisolte dopo tanta mobilitazione, “Nonostante l’accordo raggiunto, lo sciopero dei 72 giorni non sarebbe stato decisivo per le sorti dell’industria mineraria e per il futuro dei minatori che avrebbero conosciuto il persistere della crisi e la progressiva smobilitazione. La rilevanza del lungo sciopero avrebbe riguardato piuttosto i legami che avrebbero coniugato, anche negli anni a venire, la difesa della democrazia, la dignità del lavoro e i diritti costituzionali, le istanze dei minatori e delle loro famiglie, il sostegno e la solidarietà dell’istituzione comunale di Carbonia nei confronti del movimento dei lavoratori”. Per concludere, già guardando agli esiti futuri di quell’importante momento politico, “La sconfitta del progetto aziendale aveva rafforzato la coscienza di classe dei lavoratori, ma l’accordo del 17 dicembre sarebbe rimasto lettera morta”, fin già dai primi anni immediatamente successivi.
E Ignazio Delogu, sull’azione repressiva della SMCS e di commissariato e questura:
“che da parte della dirigenza della Carbosarda, delle forze di polizia e dei carbinieri permanga una mentaltà più consona ai vecchi che ai nuovi tempi non può essere negato. Non bisogna dimenticare infatti che in Sardegna i funzionari di prefettura, i dirigenti dell’azienda e delle forze dell’ordine sono ancora quelli del passato regime, abituati ad operare impunemente, a esercitare piccole e grandi provocazioni e, sopratutto, incapaci di intendere i bisogni e le aspirazioni di lavoratori resi diffidenti da tutta una serie di delusioni e di esperienze”. Così in Carbonia, Utopia e progetto. Ma, prima ancora, su Il Contemporaneo del 1959, a proposito di partito e di classe operaia aveva detto: “E’ con la lotta dei 72 giorni… che si ha la piena maturazione, sempre in senso relativo, delle masse e che il movimento assume una fisionomia ben precisata, assai prossima a quella del partito politico… La chiarezza degli obiettivi rende possibile la lotta,… una maturazione per la quale il movimento operaio a Carbonia è uscito dal primitivismo. … Non c’è dubbio che gli anni fino al 1950 son i più creativi, quelli nei quali matura la coscienza della classe operaia e la sua decisione di assumere la funzione dirigente che le spetta nell’azienda. Ma, in questo modo, intervenendo cioè nella direzione del processo produttivo, sia pure parzialmente e collateralmente, la classe operaia mette le basi più concrete per esercitare una più ampia funzione di guida nei confronti dell’intera classe lavoratrice dell’isola”. Il processo si attua nella lotta, nella lotta dei 72 giorni, “nel corso della quale non soltanto gli operai ma la cittadinanza tutta conducono la più ampia e solidale battaglia per la difesa del posto di lavoro contro i licenziamenti, per un indirizzo nuovo della produzione: la lotta dei 72 giorni è la conclusione di un processo”.

Ed ancora su Carbonia. Storia di una città: “Lo sciopero dei 72 giorni, svoltosi tra l’ottobre e il 18 dicembre del 1948, rappresenta una delle esperienze più alte della solidarietà e della capacità di resistenza non solo dei lavoratori ma dell’intera popolazione di Carbonia, dalla quale la città esce con una identità incomparabilmente più definita e più solida e con una personalità più accentuatamente sarda. E ciò non soltanto perchè la popolazione operaia è in grande maggioranza sarda, nonostante i consistenti apporti di nuclei provenienti da differenti regioni italiane, prima e anche dopo la guerra, ma perchè la costante crescita politica e culturale dei lavoratori e della popolazione ha reso più intensi i rapporti tra Carbonia e il Sulcis Iglesiente e, in definitiva, i rapporti fra Carbonia e la Sardegna”.
Ed infine Claudio Natoli, in
Miniere e minatori a Carbonia: una città e un territorio dal fascismo alla costruzione della democrazia. Fu evento “emblematico lo sciopero dei 72 giorni, che mobilitò l’intera cittadinanza, e che fu all’origine di straordinari episodi di solidarietà umana e di classe,… pensiamo allo stringersi dell’intera città e del territorio attorno allo sciopero bianco dei minatori, in uno scontro durissimo con le ricostituite autorità dello Stato, che manifestarono a più riprese mentalità e comportamenti repressivi del tutto estranei al dettato costituzionale…Vi è qui una dimensione corale e progettuale in cui emerge anche il problema dei piani per il rilancio del settore carbonifero, che conferirà ai minatori di Carbonia il ruolo di soggetto attivo del movimento più generale per la rinascita della Sardegna, tra gli anni ‘40 e ‘60”. All’interno di uno scontro fra “due logiche opposte e, in definitiva, inconciliabili: quella di una utilizzazione pluridimensionale dell’industria carbonifera, con l’attivazione di nuovi settori produttivi legati al trattamento chimico del carbone…; e quella meramente aziendalistica della Carbosarda, sostenuta dai governi centristi, una linea volta alla disgregazione del sindacalismo di classe ed al tempo stesso alla riduzione della manodopera e dei costi, sino alla progressiva chiusura delle miniere”.

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