Carbonia. Spartizione degli aiuti Marshall a beneficio dei grossi gruppi industriali. Velio Spano contro il monopolio SES nell’isola, Emilio Lussu e Cavallera contro Montecatini. Nella penisola il Consorzio Carboni Italiani.

26 Febbraio 2023
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Gianna Lai

Come ogni domenica, dal 1° settembre 2019, un nuovo post sulla storia di Carbonia.

Perché i giochi si determinano a livello nazionale e internazioanle, ben lo capiscono i dirigenti sindacali e di partito. Così nel rimando ai gruppi che controllano la SES, in questo passo tratto dal Candeloro, fin dalla spartizione degli “aiuti Marshall che ammontarono, nei primi quindici mesi di applicazione del Piano, cioè fino al 30 giugno del 1949, a 668 milioni di dollari e nel secondo anno, 1949-50, a 403 milioni di dollari”. E mentre “fino al giugno del 1949 la maggior parte delle forniture di merci fu costituta da cereali (40%), carbone (24%), cotone (15%), e prodotti petroliferi (10%) e macchinari (10%), … la fornitura dei macchinari 1950-51 salì al 32%, …
I maggiori beneficiari di questi prestiti furono la Fiat, l’Edison, la Montecatini, la Finsider, ecc. A questo si devono aggiungere i cospicui finanziamenti tratti dal fondo lire e concessi dallo Stato a questi stessi gruppi e in genere alle maggiori imprese industriali. Si può quindi affermare che il Piano Marshall, passato il primo anno della sua applicazione, nel quale gli aiuti ebbero ancora carattere prevalente di soccorso, tra il giugno del 1949 e il 1952 diede un contributo fondamentale al rinnovamento tecnologico di alcune grandi imprese e quindi alla ripresa del capitalismo industriale in Italia”.
E conoscono molto bene le regole del gioco i dirigenti di Carbonia, forte la denuncia di Velio Spano e di Emilio Lussu in Senato contro il governo, che “protegge i monopolisti SES” nel processo di riduzione dell’energia elettrica prodotta, quando la sola Carbosarda consuma, in Sardegna, un terzo di questa energia: necessario e urgente, quindi, costituire un ente regionale elettrico e costruire una centrale termoelettrica SMCS, da alimentare con il Sulcis, per le esigenze della miniera stessa, come avviene nelle miniere dell’Iglesiente. L’alto Commissario, pur non avendone la facoltà, ha dato autorizzazione alla SES di ridurre l’erogazione dell’energia elettrica, una volta appurato quanto siano ridotti a mal partito i suoi impianti, per incuria della società stessa. Ed allora nazionalizzazione dell’industria elettrica chiedono gli esponenti politici al ministro dei Lavori Pubblici Tupini, che si pronuncia subito contro la costituzione di un ente regionale autonomo, come leggiamo su L’Unità del 19 maggio 1949.
E ancora Emilio Lussu, avendo firmato insieme a Giuseppe Cavallera un ordine del giorno, “Il Senato invita il Governo a voler sollecitamente provvedere alla sistemazione del bacino carbonifero del sulcis e alla sua industrializzazione chimica, secondo i progetti ormai dai tecnici riconosciuti rispondenti alla necessità dello sviluppo industriale del mezzogiorno e dell’economia generale del Paese”. In Senato il 23 giugno 1949, pone all’attenzione “il problema del carbone Sulcis, della Carbosarda,… come problema che va inserito nel grande problema… della ricostruzione industriale del Mezzogiorno e quindi toca il campo generale di tutta l’economia nazionale. Quale è oggi la situazione del carbone del Sulcis? Salari molto bassi, trasferimenti più o meno gistificati, licenziamenti più o meno mascherati, provvediemnti tutti presi per allegggerire l’azienda”. Bassa la produzione di 90 mila tonn mensili che non consentono di abbassare il costo di produzione, “è tecnicamente stabilito in modo certo che, nello spazio di due o tre anni, la produzione del bacino carbonifero del Sulcis può salire a 2 milioni di tonnellate”. Il solo grande bacino carbonifero italiano, lo sviluppo nel Piano Levi per la produzione di energia elettrica e di azotati, che “ha ormai avuto il consenso dei tecnici locali, organizzazioni sindacali, dirigenti Carbosarda, Consulta regionale,… Convegno degli ingegneri industriali di Milano nel novembre del 1948… Al CIR ha riscosso universale consenso” e poi il consenso della Commissione del Ministero dell’Industria e Commercio, per la realizzazione di nuovi impianti di trasformazione del carbone, che “fa voti perchè l’amministrazione dello Stato esamini favorevolmente la possibilità di una pronta realizzazione… dell’impianto in oggetto, attraverso il finaziamento con fondi ERP o altre fonti”. E, con pesante denuncia, “O per caso vi sarebbero concorrenti talmente potenti che impegnano tutta la loro influenza per impedire il potenziamento del carbone Sulcis? La Montecatini per esempio, può destare sospetti. Ne sa qualcosa l’onorevole ministro?” Notevole la somma da investire, “29 miliardi di lire” conclude Lussu, “spese produttive” e, trattandosi di azienda di Stato, ormai matura la necessità di una nazionalizzazione delle indistrie estrattive.
E, a proposito di monopoli che ostacolano il Sulcis, se ci trasferiamo nel Continente troviamo ancora il Consorzio Carboni Italiani, che realizza un utile netto di 1.300 lire a tonnellata di carbone venduto, mentre 7.500 lire a tonnellata è il prezzo base del carbone. Cui si devono aggiungere lire 1.000 per il trasporto a Genova, lire 435 di sbarco, in tutto lire 10.697 a tonnellata quando il carbone arriva a Milano, dove poi viene venduto a 12.000 lire la tonnellata, come apprendiamo da L’Unità del 13 novembre 1949. E, sempre a proposito di monopoli, ma tornando nell’isola e, questa volta, direttamente nel Sulcis, bloccata la costruzione di un tronco statale della ferrovia Villamassargia-Carbonia, già programmata dal Ministero dei Lavori Pubblici, perché l’ACaI vuole mantenere il controllo completo del territorio anche attraverso le Ferrovie Meridionali Sarde, di cui è proprietaria. E se risulta sconvolta persino l’organizzazione dei turni in miniera, a causa delle frequenti interruzioni del lavoro per la mancata erogazione di energia elettrica, il monopolio dell’azienda AcaI, persino contro le sue stesse maestranze, si mantiene padrone dei trasporti nel Sulcis: “L’Acai sabota l’istituzione di servizi automobilistici, che favorirebbero il trasporto degli operai da Giba, dove i treni si fermano, fino a Teulada”, costringendo i lavoratori a raggiungere a piedi le loro case in quell’ultimo tratto di strada

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