Carbonia. Nuova serrata a Bacu Abis, centinaia i licenziamenti anche tra le cernitrici, mentre si consolida l’unità d’azione Cgil - Cisl. Processo per i fatti del 14 luglio contro i minatori di quella località, “Atmosfera da Tribunale speciale”

25 Febbraio 2024
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Gianna Lai

Oggi, domenica, nuovo tassello della storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

Fino al nuovo drammatico annuncio, un vero continuo stillicidio, prevista la smobilitazione del 70% dei lavoratori della miniera, a cominciare dalle cernitrici, su L’Unità del 2 e del 9 luglio: “118 donne licenziate dalla Smcs addette a varie mansioni, 50 cernitrici della laveria, 45 addette alla pulizia degli alberghi operai, donne capofamiglia, vedove di miniera, mentre si prevedono altri 280 licenziamenti tra i lavoratori dell’interno”. Seguono le assemblee in preparazione di un nuovo Convegno sindacale, così impegnativa la situazione se, a fianco alla battaglia contro i licenziamenti e alle agitazioni degli impiegati per il rinnovo del contratto, le Commissioni interne ancora costrette a rivendicare una sede destinata alle riunioni mensili, secondo le disposizioni interconfederali. E Ghirra, che firma in questo periodo gli articoli su Carbonia, descrive l’incontro finalmente concesso alle rappresentanze presso la sede Ceva in cui Spinoglio, senza rispondere alle altre impellenti domande, ribadisce come le direzioni siano “da tempo incompetenti a decidere sui problemi locali”, pur se riferiti “all’indirizzo generale della produzione carbonifera”. Mentre L’Unità del 16 luglio annuncia, “Domani sciopero di 24 ore di impiegati e tecnici”, sicché i lavoratori non possono entrare in miniera, per il venir meno di una parte consistente dell’amministrazione: nuova “alleanza fra Cisl e Cgil”, essendo “l’Associazione mineraria italiana” già disposta “a iniziare le trattative per il contratto degli impiegati”.
Così va delineandosi il futuro di Carbonia, un clima molto teso proprio mentre si svolge il processo per i fatti del 14 luglio 1948, accaduti nel centro di Bacu Abis: 64 lavoratori, 12 in stato di arresto, 52 a piede libero, pubblico ministero il magistrato Cocco, di fronte al Tribunale di Cagliari. Tra i capi d’imputazione, tentato omicidio per l’aggressione del consultore regionale Luigi Fiorito e del democristiano Marras; per l’invasione della sezione sardista, Lecca imputato a piede libero, così come Pietro Cocco. E parla di “provocazione organizzata da elementi della Dc, dopo il comizio del segretario della Camera del lavoro di Carbonia, L’Unità del 12 luglio, mentre “Fiorito, impiegato della Carbosarda, riconosce in aula, fra gli aggressori, il Pischedda”. Così altri testimoni sardisti, Fonis e Rizzu, che accusano donne e operai di essersi introdotti con la forza nei locali della sezione.
Ma è nel corso del dibattimento che i testi d’accusa ritrattano le deposizioni rese in istruttoria, quasi tutti impiegati, guardie giurate o sorveglianti della Smcs. Così l’ingegner Busonera, testimone della pretesa violenza esercitata sugli impiegati costretti, secondo la prima testimonianza, ad abbandonare il lavoro, dice che una delegazione delle Commissioni interne si recò invece a chiederne, più semplicemente, la partecipazione. Ed è in una “Atmosfera da Tribunale speciale”, così L’Unità del 17 luglio, che il pubblico ministero Cocco chiede 175 anni complessivi di reclusione per i 64 lavoratori di Bacu Abis: i comunisti sono “violenti, fanatici, faziosi”, spinti da “una preordinata volontà di uccidere”, come dimostra il ferimento del Fiorito, 18 gli anni di carcere richiesti per i suoi aggressori, nelle conclusioni del magistrato. E interviene Mario Melis, tra i difensori degli imputati, e poi l’avvocato Dolia che denuncia la presenza di provocatori nelle manifestazioni di protesta, i veri responsabili di quegli incidenti. Mentre Iago Siotto, ricordando come l’intera popolazione di quel centro fosse in piazza per protestare, provocatoriamente illustra la tesi del “delitto di folla”, leggiamo su L’Unità del 20 luglio, esattamente come durante il processo contro i minatori di Carbonia, chiedendo “il minimo della pena per gli imputati raggiunti da prove e l’applicazione delle attenuanti”. Esito finale, “110 anni di carcere per 61 operai”, pene varianti dai 12 anni a un mese di reclusione. Al comunista Silesu 12 anni e 3 mesi, a Secchiero 11 anni, 9 a Mereu, 7 a Pusceddu e ad Atzei, Pellicciotta, Pitzus, Tonarelli, e 4 a Spiga e 3 a Meloni e a Falchi. Gli altri 48 imputati, a piede libero, condannati a pene varianti da un anno a un mese, assolti Pietro Cocco, Antonio Selliti e Silvio Lecca, previsto il condono, nelle misure stabilite dalla legge, meno che a Mereu”. Di nuovo durissima l’amministrazione della giustizia nei confronti degli operai sulcitani, “gli imputati hanno intonato l’inno dei lavoratori al grido di Viva Togliatti”, come leggiamo su L’Unità del 20 e del 21 luglio. Per tutta la vicenda vedi anche L’Unità del 15 luglio-17-18-19 luglio. Mentre, su L’Unità del 22, Velio Spano dopo aver denunciato il grave e riprovevole disinteresse della stampa locale per il processo, riprende la classificazione dei comunisti, come faziosi e violenti, contenuta nella requisitoria del pubblico ministero. E denuncia le affermazioni del Fiorito “il sangue di Togliatti non è arrivato a Bacu Abis”, e la gravità delle condanne: “il compagno Silesu condannato a 12 anni, ben 12 imputati relegati in carcere da 2 anni”. E invoca la solidarietà per i condannati, Cgil e partiti della sinistra, associazioni di donne e di giovani, già mobilitati in loro sostegno e difesa, nel contesto delle manifestazioni sulcitane per la pace.

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