Autonomia differenziata: non serve la difesa dell’esistente

16 Febbraio 2019
4 Commenti


Tonino Dessì

Continuiamo la riflessione sul tema caldo dell’autonomia differenziata con questo contributo, come sempre fuori dal coro, di Tonino Dessì.

Non condivido praticamente nulla di quanto in alcuni ambienti della sinistra si sta agitando contro il procedimento di attuazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione avviato dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
Naturalmente vorrò vedere i contenuti del disegno di legge che -pare- il Governo avrebbe varato o varerà e che dovrà essere approvato con una particolare maggioranza rinforzata (la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera) dal Parlamento.
Può essere infatti che contenga previsioni talmente esorbitanti e squilibrate da minare la coesione finanziaria e conseguentemente quella economica e sociale del Paese.
Se così fosse andranno efficacemente contestati e contrastati i contenuti concreti e perfino l’intero impianto del disegno di legge.
Ma quella modalità di conferimento di un’autonomia differenziata alle Regioni ordinarie è prevista dalla legge costituzionale di riforma del Titolo V proposta e approvata dal centrosinistra ulivista nel 2001, confermata da apposito referendum costituzionale nello stesso anno e rafforzata dall’esito di ben altri due successivi referendum costituzionali, nel 2006 e nel 2016, che hanno respinto altrettante leggi di revisione volte a modificarla in un senso o nell’altro.
I limiti di quella riforma costituzionale alcuni di noi li evidenziammo, anche nella discussione che si sviluppò in Sardegna, senza tuttavia esser ascoltati.
Fra questi, vorrei ricordarlo, l’eliminazione dall’articolo 119 della costituzionalizzazione della questione meridionale e di quella insulare come questioni “nazionali” della Repubblica e la mancata riforma del Parlamento con la costituzione del Senato delle Regioni.
Fu certamente un precedente gravido di conseguenze anche l’approvazione della riforma costituzionale col solo voto della maggioranza di governo (ancorchè il referendum poi abbia consacrato quella riforma con l’approvazione popolare).
Prevalse allora, oltre che l’istanza “federalista” -ma al fondo, se non secessionista, quantomeno dualista- della Lega, anche il centronordismo (una forma non esplicita di leghismo) ormai penetrato nella cultura politica delle Regioni a guida di sinistra e nel corpo strutturato fondamentale del partito di riferimento.
In Sardegna, d’altra parte, prevalse nella sinistra la convinzione esplicita che la riforma segnasse il definitivo superamento della specialità e che ormai l’unico compito da assolvere fosse quello di adeguare il nostro ordinamento particolare al nuovo ordinamento generale ordinario.
Dovrei sorprendermi nel leggere che tra quanti si stracciano oggi le vesti ci sia chi allora sostenne stolidamente quell’orientamento: ma in realtà quello di oggi mi pare il riflesso dello stesso atteggiamento di allora.
Nel frattempo la riforma del Titolo V un assestamento lo ha trovato e anche i contenziosi fra Stato e Regioni, grazie alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, son stati appianati: oggi ormai sono rientrati in una dimensione fisiologica.
Quello che non è stato superato è il dualismo del Paese, che anzi si è accentuato. Però diciamocela tutta: questa accentuazione del dualismo è anche conseguenza di scelte consapevoli dei governi che si son succeduti, senza particolari differenze, sul punto, fra governi di centrodestra e governi di centrosinistra.
Peraltro non ci si deve stupire se alcune Regioni, consolidato quanto acquisito a partire dal 2001, ora puntino a utilizzarne le opportunità costituzionali di sviluppa in termini di poteri e di risorse.
A me non sfugge inoltre che anche questa partita si gioca ora su un terreno tutto politico.
Il disegno di legge in discussione necessita, per l’approvazione, del voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Quel disegno di legge perciò non passa se non concorrono due condizioni: un accordo dentro la maggioranza e un accordo fra maggioranza e parti delle opposizioni. Al momento i media ci informano che il M5S è contrario, nonostante l’argomento rientri nel “Contratto di governo”.
Forse alla Lega non importa nell’immediato portare a casa il risultato. Ma sia chiaro che chi si schiera oggi per principio contro un’intesa raggiunta dopo i due referendum consultivi della Lombardia e del Veneto e dopo l’intesa fra il Governo Gentiloni e la Regione Emilia Romagna rischia di sparire elettoralmente dal centro-nord italiano e allora si che il Paese si spaccherà di fatto pressocchè irreparabilmente.
Ecco perché insisto sul fatto che opporsi e basta non serve a nulla.
Menar scandalo perché determinate condizioni politiche (germinate nella trascorsa legislatura e maturate in quella corrente) stanno portando a conclusione un processo in linea di principio del tutto legittimo a me pare insensato.
Occorre piuttosto riprendere politicamente un filo di attuazione ordinamentale complessiva del Titolo V. In caso contrario vedo più carte in mano alla Lega che al resto delle forze politiche.
Insomma, oltre che vigilare affinché la concessione dell’autonomia differenziata alle tre Regioni più ricche del Paese non abbia le conseguenze che molti paventano, occorrerebbe rilanciare un progetto sostenibile di completamento e di evoluzione dello schema del Titolo V tale da coinvolgere l’intero ordinamento regionale, ordinario, differenziato e speciale, con tutti i riflessi e le conseguenze sull’ordinamento dello Stato a Costituzione vigente.
Quanto alla Sardegna, ci troviamo per l’ennesima volta alla riedizione di una situazione che ben conosciamo.
L’annosa paralisi dell’iniziativa e prima ancora della stessa elaborazione sull’aggiornamento della specialità ci prende nuovamente di contropiede e accentua quel carattere di ritardo che ha finito per connotare l’autonomia sarda, ancorchè costituzionalmente speciale, rispetto alle regioni ordinarie.
Cavalcare anche noi suggestioni neocentraliste per mero motivo di contrasto politico verso i soggetti coinvolti (Governo italiano e Governi di due delle tre regioni interessate) sarebbe davvero paradossale.
Certo è che anche il precipitare di questa vicenda mette in luce la mediocrità del confronto politico e programmatico che ha caratterizzato fin dall’inizio la campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale e per l’elezione del Presidente della Regione Autonoma della Sardegna.
Ho espresso in altre circostanze l’opinione che l’opportunità del terzo comma dell’articolo 116 non sia preclusa alle Regioni speciali, senza attendere la maturazione delle condizioni per una revisione di natura e con procedimento costituzionale dello Statuto speciale. Richiamo anche oggi la questione almeno come tema da discutere.
Purtroppo però mancano ormai poco più di dieci giorni dal voto e temo che siano troppo pochi per aspettarci un salto di qualità veramente coinvolgente su una questione come questa, così cruciale per il futuro della nostra Isola.

4 commenti

  • 1 Tonino Dessì
    16 Febbraio 2019 - 10:11

    Servizio pubblico.
    Ecco le intese sottoscritte nella scorsa legislatura dal Governo Gentiloni per il tramite del Sottosegretario del Ministero per i rapporti con le Regioni Bressa.

    - Lombardia: https://www.roars.it/online/wp-content/uploads/2019/02/2019-Bozza-Lombardia.pdf

    - Veneto: https://www.roars.it/online/wp-content/uploads/2019/02/2019-Bozza-Veneto.pdf

    - Emilia Romagna: https://www.roars.it/online/wp-content/uploads/2019/02/2018-intesa-bozza-emilia-Bozza-Intesa-articolato-completo-20_12_2018-_def.docx

    Per inciso, il sottosegretario è il dirigente del PD che era venuto a tentare di convincerci, accolto con gran condivisione dal Presidente della Regione Pigliaru e dell’allora Assessore della riforma della Regione Demuro, della bontà della proposta di revisione costituzionale con la quale, fermo restando quanto previsto nel terzo comma nell’articolo 116 della Costituzione per le regioni ordinarie che volessero ottenere l’autonomia differenziata, si attuava per tutte le altre un riaccentramento delle competenze in capo allo Stato e nel contempo si congelavano in una prospettiva di liquidazione le specialità storiche.
    Ad uno sguardo retrospettivo, il disegno della revisione bocciata dal referendum si configura persino più inquietante di quanto opponendoci avessimo pensato.
    Ho già scritto in questi giorni il mio punto di vista generale sulla questione.
    A un primo esame delle intese sembra di poter affermare che si tratta di proposte di devoluzione imponenti.
    Direi anche che non tengono adeguatamente conto delle potestà legislative che l’articolo 117 riserva in esclusiva allo Stato ai fini di garantire l’indirizzo unitario per determinate materie, in particolare per l’istruzione.
    Sottoscrivere quelle intese da parte del Governo Gentiloni è stato certamente avventato.
    Tuttavia non è il quantum delle materie il problema.
    Direi nemmeno le risorse, dato che praticamente le tre Regioni cesserebbero di avere i finanziamenti statali e corrispettivamente utilizzerebbero quote delle entrate tributarie riscosse sul loro territorio.
    Il problema riguarda invece la garanzia che l’istruzione resti disciplinata in un quadro generale pubblico, democratico, laico e ad accesso egalitario e che la sanità, benché “regionalizzata” resti un servizio nazionale accessibile a parità di costi per tutti i cittadini italiani e per gli stranieri aventi diritto.
    Queste garanzie al momento nel contenuto delle intese non ci sono.
    Dentro una diversa cornice, tuttavia, posto che anche tutte le altre regioni potrebbero chiedere e ottenere le stesse cose, non si tratterebbe invece di una novità tale da travolgere la coesione nazionale.
    Il Governo in carica non ha approvato il disegno di legge che dovrebbe recepire queste intese. Si oppone al momento il M5S.
    Ma la questione resta sul campo e ritengo opportuno confermare, anche per le prospettive della specialità sarda, quanto ho scritto nei giorni scorsi.

  • 2 Aladin
    16 Febbraio 2019 - 10:46

    Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=93516

  • 3 admin
    16 Febbraio 2019 - 11:07

    Caro Tonino,

    questa tua puntigliosa ricostruzione mostra per tabulas le responsabilità originarie e recenti degli attuali esiti della c.d. autonomia differenziata. A suo tempo fu il PDS al governo a volere l’attuale art. 116 in funzione apparentemente anti Lega, in realtà a favore di una versione di leghismo simile a quello attuale. I dirigenti del PDS del centro-nord iniziarono a parlare di “QUESTIONE SETTENTRIONALE”, e, in ossequio a questa visione estranea alla tradizione della sinistra, misero mano all’originario 119, eliminando dalla Carta la questione meridionale e quella insulare, ossia il principio di solidarietà nazionale, con al centro la lotta al dualismo storico Nord/Sud.
    Tu ben puoi oggi dire ciò che scrivi perché allora fummo in pochi a mettere in guardia dagli esisti disastrosi della modifica del 119 in chiave antimeridionale.
    Queste origini spiegano la sintonia di Chiamparino con i presidenti leghisti del Lombardo-Veneto e l’adesione dell’Emilia Romagna, nonché la funzione di Bressa come sottosegretario alla presidenza Gentiloni. Fu lui, con lle valigie già pronte, a firmare la preintesa coi presidenti leghisti, come lascito al futuro governo. Questo spiega anche la sintonia PD/Lega sulla TAV e il fatto che Salvini è il loro comune riferimento in seno al governo contro le resistenze del M5S, assediato concentricamente da tutti.
    La ricostruzione dei fatti smentisce la vulgata di un PD antiSalvini e mostra una realtà più complessa e inquietante, in cui bisogna ben centrare contro e con chi stare. (A.P)

  • 4 Aladin
    16 Febbraio 2019 - 14:48

    Sul sito di intellettuali cattolici C3dem, ripreso da Aladinews, un aggiornamento del dibattito in corso: http://www.aladinpensiero.it/?p=93524

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