Carbonia. E se, invece che represso con violenza, il movimento dei minatori del Sulcis avesse potuto esprimersi liberamente ed essere ascoltato? Il questore su Carbonia, “allorché per un motivo qualsiasi, anche a scopo intimidatorio, viene sparato un colpo d’arma da fuoco, tutte le dimostrazioni, anche se violente, si sciolgono ed è facile ristabilire la calma”

8 Gennaio 2023
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Gianna Lai

Dopo le feste natalizie riprendiamo i post sulla storia di Carbonia, iniziata il 1° settembre 2019.

La Carbosarda azienda di Stato che sollecita l’intervento della forza pubblica contro i lavoratori e li affama riducendone il salario, le famiglie degli operai licenziati, o in carcere, sostenute esclusivamente dalla solidarietà popolare: il quadro contribuisce probabilmente a dare ancora più significato a quelle lotte e a quella cultura mineraria. Così come lo sprezzo ostentato dalla rappresentanza governativa locale, nei confronti del movimento, in ogni nota destinata al ministro. E resta perciò sempre vivo il ricordo di quella esperienza, il faticoso impegno degli operai sulcitani per la costruzione di una Sardegna democratica, giunto fino ai giorni nostri anche grazie agli scritti dei dirigenti del tempo, alle ricerche degli storici e alle testimonianze dei protagonisti.

E se invece che represso con violenza il movimento dei minatori di Carbonia avesse potuto esprimersi liberamente ed essere ascoltato, nuova classe dirigente in formazione? Perché, come ricorda De Luna, La Repubblica inquieta, nei tre anni 1946 - 1948 “era successo di tutto, non certo all’insegna dell’ immobilismo e della conservazione: il 2 giugno del 1946 si era andati a votare,… si era scelta nella repubblica la nuova forma di Stato,… ci si era dati una Costituzione,… un patto di cittadinanza efficace e carico di valori civili in cui potersi riconoscere”, mentre “l’indice della produzione industriale era ritornato quello dell’anteguerra”, a sancire la piena ricostruzione, anche economica, dalle macerie del conflitto mondiale 1)

E, per quanto riguarda il movimento popolare, si possono riferire le parole più recenti di Domenico De Masi, in occasione dei Cento anni dalla nascita del Pci, sulla funzione svolta dai comunisti in quel tempo di grandi trasformazioni, “Un popolo di proletari, una plebe che diviene soggetto sociale, grazie all’intervento del PCI, che ne intuì la forza potenziale e che lottò per conferirle dignitosa consapevolezza, prospettando un modello di società in cui, riscattando se stessa, essa sarebbe riuscita a riscattare l’intera umanità”. E quelle di Loris Campetti, “Categorie potenti come classe, proletariato, rivoluzione, avanguardia delle classi subalterne, che aspiravano a un mondo nuovo, a una redenzione collettiva”. E poi quelle del prof. Sotgiu sulla Sardegna, le prospettive di quel dopoguerra, verso un futuro più certo e raggiungibile: “Il gruppo che assunse la direzione del Pci con la segreteria di Spano (ottobre 1947), particolarmente attenta ai problemi fondamentali della costruzione del partito, e poi con quella di Laconi, una direzione che in modo più vivo ed originale era sensibile ai problemi dell’iniziativa autonomistica posti da Togliatti, riuscì a creare un movimento di portata politica e sociale estremamente ampia”. E a dare risposte “alle rivendicazioni immediate dei lavoratori, nel quadro di una prospettiva di rinnovamento di ampio respiro quale era quello dell’attuazione di un piano organico per la rinascita economica e sociale della Sardegna” 2).

I minatori si muovono, contro l’oppressione dell’azienda e della forza pubblica, in un mondo che cambia e che loro stessi contribuiscono a trasformare, attingendo alle lotte dei lavoratori della Penisola, all’insegnamento dei dirigenti sindacali e di partito in città, all’esempio dei Soviet in Russia, il popolo della rivoluzione vincitore sui nazifascististi. Incoraggiati dalla grande spinta di massa che si alza forte nell’intero Paese per costruire un mondo nuovo di pace e di giustizia sociale, ben oltre il vecchio Stato liberale sconfitto venti anni prima da Mussolini: la democrazia dei partiti. Nasce “dalle macerie della seconda guerra mondiale, dice lo storico, una prodigiosa voglia di vivere e dimenticare gli orrori della guerra e le distruzioni, un dinamismo progettuale che si concretizzò nella rapida ricostruzione e un lungo periodo di stabilità assicurato dai nuovi sistemi democratici e Costituzioni, in cui si afferma lo Stato sociale, i diritti del cittadino e, a fianco, il riconoscimento dei diritti sociali a tutti i settori della popolazione”3) Consapevole fiducia degli operai nella democrazia della Repubblica fondata sul lavoro, non si può certo dire che la lotta di Carbonia fosse l’esito di programmi vaghi e irrealizzabili: forte l’impegno a tradurre quella solidarietà diffusa de i 72 giorni in vera unità di lotta popolare, partendo dalla nuova autorevolezza conquistata in fabbrica, così necessaria a cambiarne i rapporti interni. Una volta divenuto chiaro e tangibile il riconoscimento raggiunto a livello sindacale e politico, gli operai nel solco della Carta costituzionale, eversivo il governo che la ignora e non la riconosce, prendendo di mira proprio il lavoro.

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