Guerre, spese per gli armamenti, esercitazioni militari in Sardegna. Bisogna reagire

10 Maggio 2024
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Gianna Lai

Se l’antifascismo ripudia queste guerre, denunciando la grave repressione degli studenti che protestano contro il predominio della forza militare di matrice neocoloniale, sempre più inquietante il quadro delle spese per gli armamenti, giunte a 2.400 miliardi di dollari nel 2023. A scapito naturalmente della spesa pubblica di ciascuno Stato. E chissà quanto costa l’esibizione della potenza delle armi nel nostro porto cagliaritano, pronte per le esercitazioni di primavera! Migliaia di soldati, la Nato e i paesi dell’atlantismo in mostra da Capo Teulada a Capo Frasca a Quirra, il mare interdetto nell’intero Sud della Sardegna. Per “la più importante mobilitazione di forze armate dell’anno organizzata dalla Marina Militare”, un addestramento che si allarga al Mare Ionio e alla Sicilia, a Puglia e Calabria, alla Corsica e alle coste francesi, con un dispiegamento di mezzi aereonavali, caccia e sommergibili e droni marini. Coinvolte la Brigata Marina di San Marco fino alle marine di Spagna, Francia e Usa e poi, per l’Italia, presenza di unità dell’esercito, aereonautica, carabinieri, guardia di finanza, guardia costiera. Al centro la Sardegna, da tempo luogo privilegiato per le esercitazioni atlantiche e, sulle banchine di Cagliari, mezzi blindati verso i poligoni, a simulare azioni di attacco e di difesa mare, terra e aria: un lugubre interminabile corteo di carri armati nelle strade del Sulcis, il traffico civile bloccato fino a Teulada. Nelle ordinanze delle capitanerie di porto esercitazioni previste anche su spazi di mare solitamente non coinvolti gli anni scorsi, tronfio il ministero, “vasta esercitazione navale affidata al comando in capo della squadra navale della Marina militare italiana, mettiamo alla prova capacità operative integrate, restando interconessi attraverso infrastrutture degli innovativi domini cyber e spazio”.

Dato che si potrà contare, questa volta, anche sulla partecipazione di personale civile proveniente dai centri di ricerca e dalle Università italiane, nell’ordine Bari, Genova, Trieste, Statale e Politecnico di Milano, Federico II di Napoli, la Sapienza di Roma, e l’Alma Mater di Bologna, la Luiss di Roma e la Cattolica e la Iulm di Milano, la Sant’Anna di Pisa e l’Università della Tuscia. 65 tra studenti e docenti militarizzati in funzione del loro corso di studi, insieme a organizzazioni del comparto marittimo della difesa e di altri dicasteri. Ad agire in “scenari realistici su diversi temi: tutela dell’ambiente e del patrimonio (sic!), protezione civile, mediazione culturale e politica (sic!), difesa cyber, pubblica informazione”. E, ancora, agire “in ambienti sottoposti a contaminazione di agenti chimici, bilogici, radiologici e nucleari”.

Sempre fondate sulla cultura della pace formazione e istruzione nella scuola e nell’Università italiane, ora vi concorre l’ideologia della guerra, pur se al momento solo simulata. Mentre all’uso degli armamenti di gravissimo impatto ambientale, che produce morti tra le popolazioni locali, si pretende di affiancare la difesa dell’ambiente, mai praticate del resto le bonifiche imposte per legge sui territori fortemente inquinati della Sardegna a causa della presenza militare. Piuttosto esercitazione e prove sull’uso delle armi a testarne efficacia e potenza di morte, direttamente da valutare per il libero mercato. Quali le più vendute, tra le armi di varia produzione, quali le più idonee all’acquisto per ciascuno Stato, uno scambio commerciale di vaste proporzioni che determina il futuro più prossimo del nostro Pil: quanti soldi spendere, quanto ciascuno si avvantaggerà dalla compravendita delle armi in esposizione.

E poi, forse volendo infierire sulla nostra sanità completamente devastata, quasi a prendersene beffa, nel porto di Cagliari un “supporto alla popolazione civile in caso di calamità naturali: attività addestrative con protezione civile e croce rossa e ordine di Malta, in un ospedale da campo al molo Ichnusa”. Li mandassero tutti quei medici nelle nostre strutture del Meridione, ormai al collasso!

Le esercitazioni e la vita dei cittadini, il tramite nei sette componenti il Comitato paritetico…. che, a carattere consultivo, è insediato presso la Regione: né convocato, né informato di quest’ultimo “sbarco”, pur interdette oggi zone ancora più ampie rispetto alle esercitazioni passate, da meritare maggior cura e impegno, quindi, la comunicazione con gli abitanti del luogo. Ma tant’è, se pensiamo che i suoi componenti mai son stati ricevuti dall’ex presidente Solinas. E poiché le Servitù militari restano in capo al Presidente della Giunta, la nuova maggioranza prenda posizione ferma avendo, durante la recente campagna elettorale, discusso ampiamente di questi temi con esperti e società civile impegnata. E, a partire dal Comitato stesso, lavorare insieme ai tavoli tecnici e alle intese definite da protocollo, una volta conclamata la presenza dell’ uranio impoverito, per un alleggerimento delle servitù militari nell’isola. E lavorare all’applicazione delle norme riferite agli osservatori ambientali, sorta di agenzia della Regione che dovrebbe registrare, in questa “la più importante mobilitazione di forze armate dell’anno organizzata dalla Marina Militare”, il tipo di armi, quali e quante le munizioni usate, le relative traiettorie, ecc., onde verificarne l’impatto su tutto il territorio. Lavorare insieme ora che altre novità si prospettano all’orizzonte nella politica dello Stato sulle zone intorno ai poligoni, come la cospicua riduzione degli indennizzi per i pescatori colpiti dalle continue interdizioni del mare costiero ed aperto, materia ben chiara ai componenti il Comitato paritetico in tutti questi anni.

Le armi in campo nel Mediterraneo e la politica, mentre in Italia si modifica la legge 185 di attuazione dell’art. 11 della Costituzione (come specificato fin nell’articolo 1 del testo), “su esportazione, importazione , transito, trasferimento intracomunitario e intermediazione di materiale di armamento” e su “misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa”. In cui a venir meno, nella modifica, è proprio l’impegno alla conversione delle industrie belliche a fini civili e la trasparenza sull’invio di materiale bellico, segreto di Stato, senza neppure l’obbligo di tracciamento. Una volta eliminata la procedura dell’autorizzazione all’impresa, movimentazione di armi all’interno Ue e spostamenti intercomunitari più celeri, più agevole per banche e imprese la partecipazione al mercato degli armamenti.

Le armi in campo nel Mediterraneo e l’Università, mentre in una Lettera aperta al Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, altri docenti delle università italiane chiedono la “sospensione dell’Accordo di cooperazione industriale scientifica e tecnologica fra Italia e Israele per rischio di dual use” civile e militare della ricerca stessa. E denunciano la brutalità degli eventi nella striscia di Gaza, dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, i docenti, ricordando l’ordinananza emessa dalla Corte internazionale di giustizia sul rischio plausibile che Israele stia commettendo crimine di genocidio a Gaza, perciò indicando “le misure cautelari urgenti atte a impedire che questo avvenga”. E un invito finale alla “cooperazione con le Università palestinesi e con colleghi e colleghe che si trovino in situazioni di pericolo, come è stato fatto in occasione di precedenti conflitti e crisi”. Proposta importante, di fronte all’immane difficoltà di condurre una lotta per la pace e il disarmo contro tale imponente schieramento di forze. .

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